Uno dei punti fermi, su cui è possibile riconoscere la vitalità o la staticità, la fecondità o la aridità di una tradizione, è costituito dal rinnovarsi e dall’arricchirsi dei suoi simboli fondamentali. La croce, l’agnello, la porta, l’acqua, il pane, il vino e tanti altri sono simboli cristiani. Essi sono antichissimi e hanno grande autorità. Ma sono simboli per due motivi: perché significano una fede, una trascendenza e perché restano radicati nella cultura, nella immanenza. Così mantengono questa autorità non semplicemente “ripetendo se stessi”, ma subendo nuove letture, piegandosi a nuove storie, entrando i nuove vite, rileggendosi in nuovi contesti. Restano simboli se restano aperti a nuove letture e rendono possibili nuove avventure. Restano simboli se sappiamo impararli, disimpararli e reimpararli, come dice bene un testo dell’instrumentum laboris per il Sinodo sull’Amazzonia (IL 102).
Questo è stato il pensiero che mi è saltato in testa non appena ho collegato le due immagini che affiancano questo mio testo: lo stemma del nuovo cardinale e la barca dei migranti. Nello stemma viene ripresa, in forma stilizzata, quella immagine della realtà quotidiana. Questo accostamento inatteso mi ha fatto pensare all’immaginario ecclesiale della “barca”, che è antichissimo e pesca nei testi biblici e che i Padri hanno utilizzato almeno con due grandi prototipi: l’arca di Noè e la barca di Pietro. Un’interpretazione penitenziale e un’interpretazione ecclesiale hanno accompagnato per secoli l’immaginario e la simbolica della barca, come forma plastica di relazione con Cristo e con la Chiesa.
Ma nello stemma del cardinale Czerny accade qualcosa di nuovo. Ovviamente tutto quello che è stato rimane come sostrato, come linguaggio che supporta l’immagine. Ma l’immagine stessa, per quanto stilizzata, non è semplicemente una barca, ma una barca con uomini, con profughi, con migranti. Ecco la novità: la barca diventa non solo “salvezza dal peccato”, non solo “identità ecclesiale”, ma “provocazione alla accoglienza”. Domanda di porto. Domanda di approdo.
La barca e il viaggio che cambiano
Credo che per la prima volta, guardando lo stemma del card. Czerny, mi sono reso conto di quanto è cambiato il nostro sguardo sul viaggiare (per mare o per terra o per aria). Tutto ormai è programmato. Sai orari, destinazioni, luoghi, tempi, modalità. Hai “navigatori” che ti dicono continuamente la strada, le deviazioni, le alternative, i rallentamenti, i tempi di arrivo. Anche i pellegrinaggi sono ormai con aria condizionata e con arrivo direttamente a destinazione. Nello stemma del cardinale ci sono gli ultimi pellegrini. Quelli che non sanno se arriveranno, dove arriveranno, da chi arriveranno. Hanno però una meta che è custodita dal desiderio e che spera nella accoglienza. Si affida a un’accoglienza possibile, ma non garantita. Il viaggio ha avuto nei secoli sempre questa caratteristica “da migranti”. Ogni viaggiatore diventava, per breve o lungo tempo, un migrante. Tutti coloro che viaggiavano entravano nella condizione dei migranti. Raccontano che J.S. Bach, per andare ad ascoltare il grande Buxtehude, ai primi del ’700 abbia fatto un viaggio di 4 settimane (che diventarono 4 mesi), da solo, a piedi, senza alcuna garanzia, per arrivare a Lubecca, coprendo 400 Km e poter scoprire l’arte del grande organista. Oggi viaggiano così soltanto i migranti. La nostra fatica nel riconoscerli e nell’accoglierli dipende da memoria corta e da indifferenza lunga. Accoglierli diventa elemento distintivo, profetico, evangelico, in una cultura della autodeterminazione che elimina ogni inconveniente e va dritta alla meta, con immediata e controllata regolarità. Senza memoria e con indifferenza.
“Suscipe” sta scritto in basso. Questo è il motto di Ignazio e del cardinale gesuita. Si può tradurre: prendi, assumi, accogli, ma anche fatti carico, ma anche prendi su di te, ma anche reggi, ma anche sostieni. Il soggetto a cui è rivolto, il destinatario dell’imperativo è Dio, ma è non solo Dio. Un Dio contagioso permette di leggere la barca come “barcone”. E la Chiesa come porto. E si invertono le simboliche. E si rinnova la fede. Uno stemma cardinalizio diventa una ermeneutica ecclesiale e culturale di prima qualità. E puoi esibire tutti i rosari del mondo, puoi invocare tutti i cuori immacolati che conosci, ma quella immagine ti si pianta nella carne e non ti dà più tregua. Suscipe. Sume.
Pubblicato il 6 ottobre 2019 nel blog: Come se non.