È una buona notizia che il quotidiano dei cattolici ospiti anche contributi non confessionali e persino incentivi la dialettica tra sensibilità ecclesiali diverse. Avvenire ha infatti conosciuto stagioni in cui non andava esattamente così.
Tuttavia, l’articolo di Marcello Veneziani (qui), ospitato fra i primi di una serie sulla speranza che sembra voler accompagnare l’intero anno giubilare, ha in sé qualcosa di diverso dalla semplice offerta di un punto di vista. Le sue argomentazioni piuttosto maldestre costituiscono un’azione politica, una sorta di pressione e di chiamata a raccolta del maggior numero di lettori, in particolare dei tiepidi e degli sconfortati. La tesi è che alla Chiesa occorra riconciliazione. Le parti in conflitto ricalcherebbero la sinistra e la destra politica, progressisti e conservatori: sì, di nuovo.
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A interessarsi dei tiepidi e degli sconfortati sono oggi gli irritati, che non digeriscono ancora l’inversione di rotta richiesta da Evangelii gaudium (2013), in nome di Evangelii nuntiandi (1975). In effetti, l’autoreferenzialità, malattia mortale della Chiesa e di ogni esperienza umana, non concepisce cambi di rotta e predilige le continuità: le narra e le idealizza, anche quando i dati le smentiscono.
Larga parte della Chiesa italiana non ha mai smesso di rappresentarsi come una Chiesa di popolo, rimuovendo l’evidenza del fossato che si approfondisce e si allarga nel tracollo della credibilità del clero, nella distanza fra la cultura diffusa e le istanze evangeliche, nel crollo della pratica religiosa e della contribuzione economica.
È finita una simpatia, ma persino la versione italiana della via sinodale – il mantra di una Chiesa che dialoga con tutti e idealmente piace a tutti – resiste alla questione fondamentale di ogni conversione: chiedersi che cosa si è sbagliato, riconoscerlo, ricominciare con umiltà sulla via anticonformista, forse minoritaria, comunque lieta, delle beatitudini. Il tracollo è proiettato sull’esterno, si tratti del papa o della secolarizzazione, dei media o del cambiamento d’epoca. Tutto va bene, purché il nemico sia là fuori.
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Veneziani coglie bene di scrivere a un gregge abbacchiato, a vescovi esausti, in un Paese che non vede traduzione possibile della profezia di Francesco. Il papa alla Chiesa ha chiesto di cambiare agenda, ma Laudato si’, Fratelli tutti e persino Dilexit nos non si lasciano declinare nelle prassi, nei calendari, negli organigrammi consueti. Senza una loro mediazione parrocchia per parrocchia, seminario per seminario, regione per regione, nel frattempo frana non solo il Paese ma la sua coesione sociale.
Deve aver sbagliato qualcun altro: non c’è sensus fidelium che tenga. Riconciliarsi, dunque: è preferibile ridurre a fazione anche il papa e un Concilio Ecumenico – il più universale della storia – in perfetta linea col revisionismo che va travolgendo in Occidente i guadagni filosofici, spirituali e giuridici del secondo Novecento.
Interrogarci su che cosa ci è avvenuto costa troppo, costa ammettere come si sia osteggiata e tradita un’eredità che impegna alla profezia, cioè all’uscita dall’ipocrisia, dal do ut des col potere. Quella stessa eredità, che dobbiamo a chi ha conosciuto l’orrore bellico e totalitario, ma anche l’ambiguità della gerarchia e l’esaurimento della stagione teologica antimoderna, la sterilità di una prassi liturgica senza creatività, senza libertà, senza pluralismo, viene messa sotto accusa per strizzare l’occhio a chi ne ha temuto sin qui gli impegnativi effetti.
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Riconciliazione, rappacificazione, unità della Chiesa sono le istanze che il non cattolico Veneziani serve su un piatto d’argento a chi già lavora a imbastire un conclave che vorrebbe vicino. Secondo i vangeli, il diavolo sa usare parole suadenti e persino la Sacra Scrittura per deformare la percezione delle sfide. Chi ama la Chiesa dovrebbe almeno intuirlo.
Non esiste affatto la “tradizione di sempre”, di cui Veneziani scrive, non esiste una liturgia immutabile che il Concilio avrebbe mutato, non esiste l’alternativa tra chi ama l’antico e chi preferisce il vangelo. Sono menzogne, una mistificazione della storia.
Quella della Chiesa è storia di salvezza, proprio perché storia di visioni e revisioni, di fedeltà nella pluralità: lo testimoniano l’arte, i riti, i codici, le teologie, i santi. È una Chiesa modellata dalle Scritture, caleidoscopio di stili, di generi, di vicende in cui Dio ruba terreno, passo dopo passo, alle sue false rappresentazioni, alle sue strumentalizzazioni politiche e clericali. Veneziani mette in scena false alternative, dà dignità di chiesa a chi avvelena la comunione ecclesiale, manifesta neppure troppo velatamente l’interesse delle destre non cristiane a trovare fra i cattolici chi neutralizzi la spinta del pontificato a vincere l’autoreferenzialità che ha indebolito per decenni l’incidenza culturale e trasformativa del cattolicesimo.
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Meglio una Chiesa che si occupi di se stessa, si guardi addosso e si lecchi le ferite, meglio dare tempo e spazio a frange antimoderne marginali e violente, piuttosto che vedere il Vangelo incontrare le istanze di un mondo a pezzi, spingendo il paradigma dominante a un cambio di rotta. Veneziani rappresenta bene e soprattutto è utile a chi, anche nella Chiesa italiana, voglia segnalare a settori della politica e a componenti sociali ammaliate dal trumpismo che papa Francesco passerà e con lui, magari, il Concilio stesso tornerà in congelatore. In nome dell’unità: quella che Gesù non è venuto a portare.
Dialogare con la gente e interpretarne i dolori e le angosce, le gioie e le speranze, stimare ciò che i giovani pensano e dicono della Chiesa, rivedere i propri insegnamenti traducendo la grande Tradizione entro nuovi paradigmi culturali: questo produce riconciliazione e speranza. È in missione una Chiesa che esce da se stessa, che non si preoccupa di se stessa. Tutte le sue risorse sono anche per chi diffida di lei, per chi ha smesso di frequentarla.
Purtroppo, l’azione politica investe ancora su insofferenza e paura. Per questo occorre alla Chiesa sganciarsene, se non vuole precipitare in quella mondanità che, al momento, la vorrebbe lontana dalle traiettorie su cui il Magistero la conduce.
Ringrazio di cuore l’autore.
Non trovo toni polemici o di contrapposizione in questo articolo ma quel senso di profezia che ci sveglia da facili addomesticazioni.
Riflessioni e considerazioni che condivido e che vorrei fossero più al centro magari di un Consiglio permanente della Chiesa italiana…
Grazie.
Essere disponibili a dialogare “fuori” ma non anche “dentro” è contraddittorio in sè. Ma ormai la vis polemica prevale sul raziocinio.
Dialogare ad intra significherebbe ammettere di non essere i ‘veri cattolici ‘
Molto belli articoli e interventi: stiamo però tranquilli, perché il passato è passato e non ritorna. Viviamo perciò il presente con serenità e proiettiamoci, pieni di speranza, nel futuro.
Un tentativo di conciliazione c’è già stato ad opera di Benedetto XVI.
Egli si convinse di due cose:
1) Il Concilio Vaticano II si può interpretare soltanto alla luce della millenaria Tradizione della Chiesa,
2) Lo strappo liturgico operato da Paolo VI si può ricucire con un arricchimento reciproco fra messa nuova e messa di sempre.
L’elezione di Bergoglio ha interrotto questo progetto.
Il nuovo papa, con i fatti più che con le parole, annuncia invece che il Vaticano II non è un Concilio ma “il concilio”, l’unico vero, l’unico autentico.
Corollario di tutto questo è un vero fastidio per i riti tradizionali e, soprattutto, per la messa.
Come ha operato allora Francesco?
Ha fatto di tutto, riuscendoci solo in parte, per separare la chiesa.
Ha agevolato il transito dei cattolici legati alle vecchie forme verso i lefebvriani.
Chiude le messe nelle parrocchie e, contemporaneamente, concede ai levebriani di confessare e celebrare le nozze.
Insomma lui ci sta dicendo: andate lì.
Ha desiderato erigere una barriera fra i cattolici “normalizzati” e quelli “resistenti”: ha paura della possibilità di contaminazione.
Ha paura di ciò che Benedetto XVI desiderava.
Vedrete che ora concederà anche almeno un nuovo vescovo alla FSSPX.
L’appello di Veneziani è giusto ma è destinato a cadere nel vuoto.
Embeh, io avrei dei dubbi sulla riuscita della ‘riconciliazione ratzingeriana’: ricordo benissimo le reazioni di tantissimi ratzingeriani di ferro nel gruppo fb di Messainlatino la sera dell’elezione di Bergoglio, con metà gente che in poche ore era virata verso un pessimismo.
In verità la transizione verso i ‘resistenti’ dei fedeli legati al mondo tradizionalista era già presente prima di Francesco, sia perché quelli ‘vecchi’ (UnaVoce, i vari gruppi della TFP etc) avevano collaborato con Mons Lefebvre prima del 1988, sia perché dopo Summorum Pontificum molti preti e gruppi per imparare a celebrare si sono rivolti alla FSSPX, venendone influenzati e spesso stabilendo relazioni durature ( è un segreto di pulcinella che la Fraternità possieda un network di preti, soprattutto diocesani, che spesso mandano fedeli da loro).
Insomma, SP era un’idea buona e potenzialmente positiva e arricchente per la Chiesa, ma nella realtà è stata la causa del potenziamento dei ‘resistenti ‘.
La pandemia del 2020-22 per molti è stato solo per il pretesto per il gran salto, ma molti lo avevano già fatto molto prima
Comunque parliamo di numeri quasi ridicoli, la blogosfera cattolica (me compresa) sara’ composta da poche decine di persone, che si spostano da un sito all’altro. Per questo sono cosi’ arroccate sulle proprie posizioni. Nelle parrocchie si bisticcia piu’ per questioni di piccole posizioni di potere che per chi sa quali questioni dottrinali. Anche dei Lefebvriani si diceva ” Meglio primi a Econe che secondi a Roma”. Sono meschinerie spesso, piu che approfondimenti teologici. A molti poi piace essere “contro” perché li fa sentire speciali. Il 90℅ degli articoli che commentiamo e’ contro qualche cosa o qualcuno. Forse perché proporre e’ piu’ difficile, soprattutto da attuare…
Cara Angela, molta gente è ‘consumatrice passiva’ di questi contenuti, e il mondo dei social è molto più numeroso e attivo, con ricadute anche nel mondo reale.
Il montante fenomeno del ‘Codice Ratzinger’, che è finito anche sui media generalisti e ha suscitato le apprensioni di vari vescovi, ne è a mio avviso il termometro più evidente: fenomeno nato online su un blog, poi diventato libro, poi ha raccolto attorno a sè preti, associazioni, personaggi pubblici…
Il mondo si e’ spostato a destra e una parte dei cristiani (cattolici e non) segue il mondo prima del vangelo. Negli anni ’60 e’ successo con la sinistra e le correnti marxiste, non e’ una grande novita’. Paradossalmente in questo periodo mi sembrano piu vitali i vertici della Chiesa, le facoltà teologiche o le case editrici della base sempre brontolante. Stanno tenendo la barra dritta, in un periodo in cui le istituzioni europee ed internazionali sembrano sfaldarsi.
“Meglio primi a Econe che secondi a Roma” vale a dire:
“meglio testa d’alicetta
che coda de sturione”.
Teniamo conto che la FSSPX ha un’alta tendenza alla frammentazione, soprattutto verso la ‘Resistenza’ e i sedevacantisti
Un articolo troppo polemico. Condivido le osservazioni di Roberto Beretta. Anch’io sono per il rinnovamento,a se dobbiamo dialogare con tutti gli esterni non possiamo trovare i nemici all’ interno della Chiesa.
A me l’articolo di Veneziani è piaciuto. La divisione nella Chiesa esiste, come no, e anche se io ho determinate preferenze e lotto perché siano riconosciute come più vicine al Vangelo, non posso negare la mia fratellanza a chi sceglie invece la cosiddetta tradizione. Il Giubileo, sostiene giustamente Veneziani, dovrebbe servire anche al dialogo tra queste due anime. Che ci sono, e sono ambedue Chiesa
Il suo commento è ammirevole nello spirito, ma a mio avviso siamo arrivati a un punto in cui le due anime nella Chiesa ormai stanno andando su binari separati e non si parlano più.
Perfettamente d’accordo con lei!
E se invece si dialogasse con loro per il semplice fatto che ormai i cattolici conservatori/tradizionalisti sono (diventati) tanti, sono agguerriti e sono anche abili ad attirare simpatia?
Amici, ho letto l’articolo su Avvenire qui citato… Che reazione nervosa! A maggior ragione, bisogna far pace con se stessi: sono sessant’anni (mamma mia!) che spallate sinistrorse e destrorse si contendono la piazza. Chi tira di qui, chi pende di là, ciascuno con le sue altissime giustificazioni del caso. Povero Dio, tirato per la giacchetta dei gusti personali. Magari ammettere la cosa è il primo passo per calmare gli animi, no? Se invece pensate che benedire coppie gay, proclamare l’amore libero e ordinare donne sia la strada maestra per riacquistare credibilità, siete da commiserare più del Veneziani