Questo tempo – secondo l’arcivescovo di La Plata – può essere utile per un ripensamento del modo di essere Chiesa e della prassi sacramentale.
Il Boletín Religión Digital di Madrid ha pubblicato un interessante colloquio-intervista del suo direttore José Manuel Vidal con Victor Manuel Fernandez, arcivescovo di La Plata (Argentina). Interessante perché è noto che Victor Manuel Fernandez, molto noto con il soprannome di “Tucho”, è strettamente legato a papa Francesco. Per la verità, dev’essere una persona molto dotata.
Viene dalla regione di Cordova, ha 58 anni e le sue biografie si sprecano nel qualificarlo teologo (studi anche alla Gregoriana), biblista, scrittore, poeta, ex docente universitario, rettore emerito delle Pontificia università cattolica argentina (Uca), arcivescovo di La Plata dal 2018. Ha collaborato con Bergoglio alla redazione del Documento di Aparecida (2007). È risaputo che papa Francesco è ricorso a lui per la redazione di importanti documenti e viene spesso consultato. Per questo la sua intervista ha alcuni spunti di riflessione, tenendo conto anche dell’intervento della CEI in riferimento al decreto governativo, di cui ha parlato il presidente Conte domenica sera 26 aprile, che ha suscitato l’aspra reazione dei vescovi.
In Argentina, in questo tempo di coronavirus, la Chiesa – dice Victor Manuel Fernandez – «sta tenendo una presenza discreta perché sappiamo che, di fronte a queste circostanze così straordinarie, occorre essere molto umili e nessuno può sentirsi sapiente».
E allora? «Credo che in una situazione come questa non conviene parlare molto».
Quali effetti potrà avere il coronavirus sui fedeli? «Credo che, negli ultimi tempi, siamo cresciuti nel dialogo con le nuove necessità spirituali delle persone e vedo molti sacerdoti più disposti a cercare un linguaggio esistenziale che risponda meglio alle nuove sensibilità». Però l’arcivescovo avverte: «Attenzione a non cadere in un nuovo gnosticismo per rispondere alle ricerche di oggi. Sto parlando dall’America Latina, dove i gruppi pentecostali che più sono cresciuti sono quelli che, in qualche maniera, “rubano” o ricreano i sacramenti della Chiesa cattolica, perché hanno scoperto che la sintesi tra spiritualità pentecostale e segni sacramentali risponde meglio alle necessità popolari».
Una parola severa l’arcivescovo ce l’ha anche nei riguardi della messa on line, che definisce un «controsenso». «L’aspetto sacramentale della spiritualità cattolica è un prolungamento del mistero dell’incarnazione, di maniera che per noi non sarà mai la stessa cosa una messa da una scuola domenicale. La messa ha bisogno della carne, la vicinanza sensibile, la presenza fisica. Dobbiamo essere molto responsabili per fare attenzione alla salute del nostro popolo e non possiamo forzare il ritorno delle messe con il popolo, però neppure possiamo dire che ci dà la stessa cosa o che dobbiamo orientarci verso una spiritualità virtuale».
E papa Francesco, riguardo alla messa senza la presenza fisica delle persone, ora quasi inesistente? «Non so come farà papa Francesco che ha insistito tanto sulla vicinanza fisica, sul “corpo a corpo”, che lui ha sempre vissuto intensamente. Non penso proprio che sia disposto a rinunciarvi».
La domanda dell’intervistatore tocca un punto importante: la pandemia ha risvegliato nel laicato la coscienza di essere “popolo sacerdotale” e quindi l’esigenza di assumere ministeri ordinati? Risposta: «L’intento di Francesco con Querida Amazonia fu di mostrare che la grande sfida è far sì che i laici abbiano più potere in modo che non vi sia l’unione stretta tra sacerdozio e potere. La sua proposta è quella di “distribuire” il potere con nuovi ministeri e funzioni laicali “dotati di autorità”. Questo purtroppo non è stato raccolto e non si sta lavorando seriamente su questa linea».
Anche la prassi sacramentale, soprattutto quella eucaristica e penitenziale, potrà subire cambiamenti? «Vi sono cose che talvolta crediamo immutabili e in realtà non lo sono. Il precetto domenicale, per esempio, non è indispensabile ed è qualcosa che potrà cadere. La forma del sacramento della penitenza ha cambiato tantissimo nel corso dei secoli. Quanti leggono per la prima volta la storia di questo sacramento osservano sempre che la forma attuale è solo una delle forme possibili. In qualche modo, la Chiesa cattolica non si capisce senza l’eucaristia. Per cui vi sono diversi modi di concepire il suo posto: uno può interpretarla in una maniera puramente ritualistica o molto intimistica o può intenderla come la grande fonte della comunione e dell’impegno fraterno. Per i cattolici nell’eucaristia la stessa Parola di Dio raggiunge la sua massima efficacia, per cui non è sana una contrapposizione tra Parola e sacramento».