C’è sempre stata una Chiesa che ha avuto attenzione per gli ultimi e i poveri, che li ha curati, li ha accolti, li ha difesi. Laici, ma anche sacerdoti, suore, che hanno speso il loro tempo e le loro risorse per aiutare chi ne aveva più bisogno.
A volte questa realtà è stata oscurata dagli scandali della pedofilia, facendo dimenticare che, per un prete pedofilo, ce ne sono tanti altri che vivono quotidianamente un dono di sé divenuto assai raro nella società dell’individualismo selvaggio e della corsa al benessere soggettivo.
Il silenzio sui diritti sociali
È vero però che, fino a pochi anni fa, i gradi più elevati della gerarchia ecclesiastica erano molto timidi nell’intervenire sui temi della giustizia sociale e dei diritti dei poveri .
C’erano sì, sullo sfondo, le grandi encicliche sociali – ultima, la Caritas in veritate, di Benedetto XVI –, in cui la dottrina della Chiesa risuona alta e chiara, ma, di fronte ai casi concreti che emergevano dalla cronaca quotidiana, non era frequente che il papa o i vescovi si pronunziassero.
Le questioni che stavano loro più a cuore erano quelle legate alla difesa dei cosiddetti «valori non negoziabili» – la vita biologica del nascituro o del morente, la famiglia fondata sul matrimonio, la libertà di educazione (in concreto, la scuola cattolica) –, menzionati così spesso nei discorsi ufficiali della Santa Sede e della CEI, da dare l’impressione che per gli altri valori l’attenzione fosse piuttosto scarsa.
L’apparente indifferenza della Chiesa nel passato
Così, la politica dei «respingimenti» – anticipazione di quella attuale dei «porti chiusi» – attuata dal ministro degli interni leghista Maroni, non destò grandi reazioni ufficiali in ambito ecclesiale.
Rimase isolata la voce coraggiosa del segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti, l’arcivescovo Agostino Marchetto, di cui anzi la sala stampa del Vaticano arrivò a dire che «parlava a titolo personale».
Né fu oggetto di un’esplicita condanna della Chiesa, nel 2009, l’infame emendamento – proposto dalla Lega e poi ritirato per l’opposizione di altre componenti della maggioranza di destra – secondo cui l’extra-comunitario clandestino, se si fosse rivolto a una struttura pubblica per essere curato, avrebbe potuto essere denunziato dai medici.
Anche se, in quell’occasione una dura lettera di denunzia, proposta dal sottoscritto e firmata da settantaquattro intellettuali cattolici di tutta Italia, fu pubblicata su «Avvenire» (ma nel silenzio delle gerarchie ecclesiastiche).
La difesa integrale dell’uomo
Oggi, per grazia di Dio, le cose sono cambiate e – malgrado ci sia chi dice che la Chiesa sta andando in rovina – le prese di posizione della gerarchia non riguardano più prevalentemente la vita nel suo inizio e nella sua fase terminale, ma dal concepimento alla fine, incluso lo svolgimento intermedio e, senza perdere di vista la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna (su cui papa Bergoglio ha detto parole molto forti), presentano come non negoziabili tutti i valori che riguardano la persona.
Vanno in questo senso le parole che Francesco ha rivolto, nel giugno del 2015, ai membri dell’Associazione «Scienza e Vita» in occasione del decennale della sua fondazione:
«Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente».
A questo punto, però, è chiaro che ad essere al centro dell’attenzione della Chiesa sono i più deboli: i bambini non nati e le persone in stato vegetativo, certamente, ma anche tutti gli emarginati e i poveri.
Con i più deboli in mente
E ora a parlare con estrema decisione dei poveri e degli ultimi sono gli esponenti più alti della gerarchia ecclesiastica.
Come è accaduto in occasione del «Decreto sicurezza», di fronte al quale i vescovi della Conferenza episcopale siciliana, rivendicando di essere come un’«eco del Magistero di Papa Francesco», hanno espresso il loro sdegno nei confronti di «norme gravemente restrittive dei diritti dei migranti»: «Un animale in questo momento arriva a valere di più, in protezione, di un fratello nel quale il credente sa che c’è la visita stessa di Dio!».
Si collocano in questo contesto due episodi emblematici di questi giorni.
Casal Bruciato e i cittadini di seconda classe
Uno è la ferma, dolente solidarietà di papa Francesco ai rom, dopo le barbare proteste di una parte degli abitanti del quartiere periferico romano di Casal Bruciato, appoggiate da CasaPound, contro l’assegnazione di un alloggio popolare alla famiglia Omerovic – padre, madre e dodici figli – cui spettava per legge, perché erano rom. «Li vogliamo vedere tutti impiccati, bruciati», sono state le parole di alcune donne radunate nel cortile condominiale. «Ti stupro!», ha gridato un giovane alla madre della famiglia.
Il Pontefice ha voluto che la famiglia, oggetto immediato della persecuzione, venisse in Vaticano, e si è intrattenuto cordialmente con loro. Successivamente, ha presieduto un incontro di preghiera con il popolo rom e sinti esprimendo vicinanza ai circa 500 presenti: «Prego per voi – ha detto Francesco – soffro quando sul giornale leggo qualcosa di brutto, perché questa non è civiltà. L’amore è la civiltà, perciò avanti con l’amore».
E ancora: «È vero, ci sono cittadini di seconda classe, ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente, perché non sanno abbracciare, sempre con gli aggettivi in bocca, e scartano, vivono scartando, con la scopa in mano buttano fuori gli altri. Invece la vera strada è quella della fratellanza con la porta aperta. E tutti dobbiamo collaborare».
Più tardi, incontrando i parroci della Capitale, nella basilica di San Giovanni in Laterano, ha fatto un’analisi di ciò che sta accadendo, riferendolo espressamente al fenomeno del populismo.
«Conosco la realtà di Roma, so che in alcuni quartieri è in atto una guerra tra poveri , c’è razzismo, xenofobia. Oggi ho incontrato in vaticano 500 rom, e ho sentito doloroso il loro dramma (…). «Xenofobia. State attenti eh?, perché il fenomeno culturale è mondiale. Il fenomeno europeo dei populismi cresce seminando paura».
Autorità della Chiesa e autorità civili
La divaricazione totale fra Chiesa e autorità politiche italiane non potrebbe essere meglio espressa che dal commento del vicepremier Salvini: «Oggi ho letto che il Papa ha incontrato 500 rom, è libero di farlo, ognuno incontra chi vuole. Il mio obiettivo è la chiusura di tutti i campi rom».
E ha ribadito la visione delle cose: «In Italia non c’è posto per tutti. In Italia, dove governa la Lega, prima vengono gli italiani. Per le case popolari, per i bonus bebè, per i posti di lavoro, vengono prima. È così».
Più moderato l’altro vice-premier, di Maio, che, dopo un irritato «Raggi aiuti i romani, non i rom», ha ripiegato su una linea più legalista, invocando il cambiamento della legge che ha permesso agli Omerovic di avere la casa: «Non bisognerebbe schierarsi ma usare il buon senso – ha aggiunto –. Dobbiamo rivedere delle leggi a livello nazionale: se c’è un italiano che aspetta una casa da 20 anni e poi ci sono dei cittadini stranieri che in 5 anni che sono qui, scavalcano quello che aspetta da 20 anni, è chiaro che succede un casino come quello che sta avvenendo». Anche se, veramente, Imer Omerovic è in Italia da trent’anni…
La comunità di Biagio Conte
L’altro episodio è la mobilitazione di Biagio Conte e di tutta la Chiesa di Palermo, con a capo il suo arcivescovo Corrado Lorefice, per scongiurare l’espulsione di Paul Aning, un ghanese di 51 anni, che da dieci anni vive e lavora all’interno della «Missione speranza e carità», fondata da fratel Biagio, che sostiene un migliaio di poveri di tutti i Paesi.
Da 10 giorni Biagio Conte fa lo sciopero della fame e dorme, accanto a Paul, su giacigli con scatole di cartone per protezione sotto la tettoia che ospita la statua di don Pino Puglisi, a Brancaccio, nel luogo in cui il beato di Palermo fu ucciso il 15 settembre ’93.
Ma non è solo. Tutta la comunità cristiana è con lui. «Queste sono le conseguenze dei decreti disumani», ha denunziato con forza mons. Lorefice, riferendosi al «Decreto sicurezza».
Sono solo esempi della nuova situazione che si è creata tra governi e gerarchie ecclesiastiche, dopo l’apparente idillio del passato. Ora lo scontro è aperto e appare finalmente in tutta la sua chiarezza che il vangelo è rivoluzionario. Mi dispiace per chi è convinto che la Chiesa stia andando al collasso. Vedo bene tanti pericoli e contraddizioni della sua condizione attuale, ma a me sembra che nel complesso ora assomigli di più al suo Maestro.
Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo. Post pubblicato nella rubrica «I chiaroscuri» (su www.tuttavia.eu), il 10 maggio 2019.