«È una dinamica alternativa e complementare, perché lo Spirito Santo provoca disordine con i carismi, ma in quel disordine crea armonia. Chiesa libera non vuol dire una Chiesa anarchica, perché la libertà è dono di Dio. Chiesa istituzionalizzata vuol dire Chiesa istituzionalizzata dallo Spirito Santo. Una tensione tra disordine e armonia: è questa la Chiesa che deve uscire dalla crisi. Dobbiamo imparare a vivere in una Chiesa in tensione tra il disordine e l’armonia provocati dallo Spirito Santo. Se mi chiede un libro di teologia che possa aiutarla a comprenderlo, sono gli Atti degli apostoli. Ci troverà il modo in cui lo Spirito Santo deistituzionalizza quello che non serve più e istituzionalizza il futuro della Chiesa. Questa è la Chiesa che deve uscire dalla crisi» (A. Ivereigh, Intervista a Papa Francesco, in La Civiltà Cattolica, 8 aprile 2020)
Quanto presento di seguito è una serie di domande – formulate qui in maniera schematica in occasione di un momento ecclesiale – che sono emerse in questi mesi dalla lettura di alcuni capitoli degli Atti degli Apostoli, dall’osservazione attenta di alcune possibili istanze della Chiesa nel nostro tempo, dal confronto con amici e amiche, tra cui ricordo Carlo Bondioli e Maria Chiara Piccinini.
- «In quei giorni… mormorarono…» (At 6,1)
Si tratta di un disagio – personale e comunitario – da ascoltare. Come coltivare il senso della realtà senza oscuramenti e rimozioni, senza fantasie e fughe? In Atti i problemi risolti aprono orizzonti e mettono a disposizione nuovi strumenti. Come affrontiamo i nostri problemi e conflitti?
- «Venivano trascurate le loro vedove» (At 6,1)
Come essere vicini ai poveri, solidali con chi non ha nessuno e vive l’urto di una società con disuguaglianze crescenti? Come vedere davvero – senza filtri paternalisti e avvilenti – le persone?
- «Non è giusto che noi lasciamo da parte/trascuriamo la parola di Dio» (At 6,2)
Come viviamo l’impresa umana – la sete – di cercare un senso alla vita? Come ricerchiamo un significato a partire dalla parola di Dio? Domande oggi non più scontate: come custodire il senso di un’esistenza e di un’esistenza nel ministero?
- «Quelli di lingua greca… contro quelli di lingua ebraica» (At 6,1)
Come gestire le differenze e le parzialità culturali? Come gestire il travaglio, la crisi, il cambiamento e il pulsare delle identità? Come immaginare e camminare, nella nostra diversità e parzialità, verso un progetto comune condiviso?
- «Cercate tra voi… ai quali affideremo questo incarico/bisogno» (At 6,3)
Chi coinvolgere? A chi – uomini e donne – affidare forme di ministero? Come far spazio e dare la parola? Si pensi qui al bell’esempio della signora Marianne Pohl-Henzen nominata delegato episcopale – ossia dentro al consiglio episcopale – per la parte tedesca della Diocesi cattolica di Losanna
- «Fratelli e padri ascoltate…» (At 7,2)
Come raccontare la nostra vicenda personale e collettiva? Come trovare un senso – non rancoroso e non bloccante – alla nostra storia? Come non lasciarci intrappolare dal passato e dalla frustrazione? Come affrontare nel nostro cuore lo strappo – in Stefano è il martirio – per cercare di essere fedeli al vangelo nelle scelte che ci stanno di fronte?
- «Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo…» (At 7,55)
Quanta tensione contemplativa c’è? Contemplazione della realtà umana e della storia di Gesù. Come combiniamo – senza annullare nessuno dei due poli – contemplazione della via di Gesù e meditazione attenta sui nodi e sui drammi – biografici e collettivi – della nostra storia?
- «Signore Gesù accogli il mio spirito/Signore non imputare loro questo peccato» (At 7,59-60)
Come recuperare i tratti elementari del cristianesimo di Gesù ossia come vivere, essendo ministri, una vita da uomini e da cristiani (mi permetto di esemplificare: presenti a sé stessi e alle cose, leali, coraggiosi, non banalizzanti la vita, persone che amano, responsabili, che sanno guardare lontano, sapienti che hanno imparato dalla vita)?
- «Resistenza allo Spirito» (At 7,51)
Si oppone «resistenza allo Spirito» (At 7,51) tutte le volte che in nome di una tradizione mal intesa e fossilizzata si difende la propria costruzione sacra. È bellissima e utile l’espressione «Chiesa/assemblea del deserto» (At 7,38) che indica una Chiesa più disponibile al cammino: se e come si manifesta l’attaccamento ad una Chiesa installata e irrigidita – con ruoli ossificati e in difensiva – che ci fa opporre alla mobilità della via cristiana (At 9,2)?
- «Tutti si dispersero/disseminarono» (At 8,1)
Come passare dunque dal modello di Gerusalemme (realtà mono culturale con ancora al centro il tempio, le istituzioni, le classi sacerdotali e le leggi di un tempo) al modello di Antiochia (At 11,20) e da lì verso i confini della terra (ossia lontani dal tempio, nella pluriculturalità caotica e viva, con una ministerialità dinamica e plurale, riconoscenti al passato ma con una storia ancora tutta da scrivere)?
Per concludere: Giuseppe Dossetti soleva dire che ogni generazione ha un proprio compito storico, oggi la domanda – forse – potrebbe essere qual è il compito della nostra?
Qual è il compito della nostra generazione? Quello di andare avanti, di continuare a camminare con la velocità e i modi che possiamo. Dobbiamo passare il testimonio a chi farà la frazione successiva della staffetta e farlo nel migliore dei modi. Continuare quindi a camminare avendo come stella polare l’amore di Dio per noi e la nostra corresponsabilità nel continuare la Sua creazione.