L’«iper-ruralità» è la condizione dei contadini che abitano aree agricole o montane marginali in cui si accumula la questione ambientale (un’agricoltura non «mercantile» e un ambiente alla deriva) con la questione sociale (decrescita demografica, invecchiamento, emarginazione dei singoli e delle famiglie).
Il fenomeno dei «gilet gialli» della Francia trova qui una delle sue radici: la protesta di quanti sono esclusi dai vantaggi della globalizzazione e dai circuiti delle città. Ma non è molto dissimile la protesta clamorosa dei contadini sardi che rovesciano il latte sulle strade piuttosto di venderlo a sottocosto.
Una lettera dei vescovi in Francia
È di qualche interesse in merito leggere la lettera pastorale di quattro vescovi francesi della regione di Auvergne, un’area montana e agricola a qualche centinaio di chilometri a Ovest di Lione, zona depressa e impoverita. Il titolo del documento è «Sperare. Al cuore dei cambiamenti del mondo rurale». I nomi dei vescovi sono: François Kalist (Clermont), Laurent Percerou (Moulins), Luc Crepy (Puy-en-Velay), Bruno Grua (Sant-Flour). La data è febbraio 2019.
L’intento è quello di ripensare l’organizzazione locale delle Chiese diocesane, nella volontà di alimentare una «prossimità» che ha bisogno di nuovi ministeri e nuovi protagonisti. In un contesto di vissuto degradato e in crescente difficoltà. È saltato il dualismo campagna – città perché è rientrato nello stesso «sistema», cioè: stessa cultura, valori, consumi, flussi economici, interdipendenza.
Contestualmente si è prodotta la diversità delle ruralità. Il testo ne indica tre: a) le aree agricole prossime alle città che vivono dei flussi cittadini, demograficamente crescono e conoscono un certo dinamismo economico e culturale; b) le aree più lontane e marginali che tuttavia hanno buone comunicazioni con la città e una demografia stabile; c) le aree più isolate e distanti, poco abitate con un forte invecchiamento e un evidente processo di pauperizzazione. Nel caso specifico esse rappresentano il 42% del territorio con l’8% della popolazione.
È l’«iper-ruralità», «la frazione più agricola, più chiusa, più distante dai servizi, la meno dotata di poli di vita economica e decisionali». Conseguentemente i contadini vivono con sensibilità diverse nelle differenti ruralità. Anche se i cambiamenti delle produzioni agricole, i mutamenti dello spazio rurale, la trasformazione dei rapporti umani rende per tutti la vita più complicata e, in alcuni casi, disperante. Un buon numero di loro oscilla fra scoraggiamento e ridiscussione del proprio lavoro. «Quale vita possibile nelle campagne quando i contadini scompaiono e il terreno è abbandonato?».
Iper-ruralità e re-incanto
È necessario un ripensamento di cosa significa la campagna e l’agricoltura mettendo in opera una coabitazione necessaria e solidale fra i diversi modelli di agricoltura, per uno sviluppo durevole a servizio della sanità e della vita di tutti. Utilizzare al meglio il «ritorno alla campagna» dei giovani che data ormai da alcuni decenni e dare forma a qual «re-incanto» del mondo rurale che trascina con sè un’attesa di umanizzazione e una domanda di vivere insieme, ormai estranee in una città che non produce più socialità. La crudezza della vita agricola e le povertà che la connotano alimentano i serbatoi della collera. Non mancano le domande alla Chiesa. Il desiderio dei contadini è che almeno la Chiesa non li abbandoni.
Le comunità parrocchiali, anche senza presbitero residente, sono uno dei pochi luoghi ancora riconoscibili. Il primo compito è percepire la gravità della situazione, spesso sottostimata, mascherata da indicatori sociali non affinati e da inadeguate interpretazioni.
Il secondo è investire sulle aspirazioni che trovano una immediata sintonia con il Vangelo: autenticità, impegno, stabilità, gusto della terra, rispetto della creazione. Coinvolgendo e interpretando le domande di umanizzazione largamente condivise e sostenendo le virtù connesse.
Il testo riprende, ad esempio, la testimonianza di un amministratore locale che, persuaso di dover prendere distanza dall’iper-stimolazione del modello di consumo e degli stereotipi più condivisi, scrive: «Persuaso di tutto questo cerco nelle mie funzioni di sostenere la giusta causa (delle aree rurali) con la speranza di una presa di coscienza collettiva per interrompere l’emorragia che depotenzia le nostro campagne da molti anni». Il terzo compito è all’interno della vita ecclesiale.
Da un lato è relativo alla custodia del patrimonio delle Chiese e delle devozioni (chiese, cappelle, cimiteri ecc.) che vanno preservati anche con la sollecitazione delle istituzioni pubbliche (in Francia tutte le chiese costruite prima del 1905 sono di proprietà dello stato). E in secondo luogo favorire nuove ministerialità come quella dei «vigilanti», le persone che si incaricano di tenere aperte le chiese, di organizzare le preghiere (rosario, vespri ecc.), di mantenere vive le tradizioni (devozioni, feste ecc.).
Alla «prossimità» devono ispirarsi anche le figure ministeriali (preti e diaconi, anche itineranti), le comunità religiose e le associazioni laicali. Dentro e oltre i confini delle parrocchie. «La Chiesa non ha soluzioni già pronte per risolvere queste situazioni dolorose, ma cerca, in un dialogo rispettoso con uomini e donne di buona volontà di costruire o sostenere le azioni e le iniziative per una vita migliore e più giusta nelle campagne, esercitando una fraternità attiva e proposta a tutti».
Forme teatrali, acquisti solidali, iniziative civili: tutto può essere utile per coniugare la fraternità con la prossimità e la creatività. I credenti sanno che tutto è nelle mani di Dio. Collaborare con Lui vuol dire prendere iniziative e osare nuove pratiche pastorali.
In Italia?
L’iniziale richiamo alla situazione della Sardegna mi è parso pertinente dopo un dialogo con un vescovo sardo per l’assonanza dei processi sociali: fuga dalle zone rurali centrali a vantaggio della costa, crisi demografica, invecchiamento, disperazione e collera dei contadini e dei pastori.
Una attenzione che la Chiesa italiana dovrebbe rinnovare dopo il documento del 2005 (Frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Mondo rurale che cambia e Chiesa in Italia) e quello del 1973 (La Chiesa e il mondo rurale italiano).