I recenti avvicendamenti nell’ambito della Segreteria dell’economia e la successione del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede accelerano il tema della riforma curiale. Capitolo complesso, delicato e da apprezzare. A margine degli eventi un lettore suggerisce alcune domande critiche sul metodo.
Il 2 luglio scade il mandato del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede; il 30 giugno il papa lo riceve (stiamo parlando del card. Müller) e il 1° luglio la Sala stampa vaticana comunica il nome del nuovo prefetto: l’arcivescovo Ladaria.
Più fulminea di così la comunicazione non poteva essere.
Il successore
Intendiamoci: l’arcivescovo gesuita Ladaria Ferrer ha tutte le carte in regola per ricoprire il nuovo incarico.
73 anni, originario dell’isola di Maiorca, si è laureato in giurisprudenza presso l’Università di Madrid nel 1966, e il 17 ottobre dello stesso anno entra nella Compagnia di Gesù. Compiuti gli studi di filosofia e teologia presso l’Università Pontificia Comillas e la Philosophisch-Theologische Hochschule Sankt Georgen, ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 29 luglio 1973. Nel 1975 ha conseguito il dottorato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Dal 1984 è ordinario di teologia dogmatica alla Facoltà di teologia della Gregoriana e, dal 1986 al 1994, vice-rettore della medesima università.
Nel 1995 è stato nominato consultore della Congregazione per la dottrina della fede e, nel 2004, segretario generale della Commissione teologica internazionale. Il 9 luglio 2008 è stato eletto arcivescovo titolare di Tibica e nominato segretario della Congregazione per la dottrina della fede. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 26 luglio per l’imposizione delle mani del cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone. Il 2 agosto 2016 è stato nominato da papa Francesco presidente della Commissione di studio sul diaconato delle donne.
Interrogativi
Intendiamoci ancora: non vogliamo passare per critici a tutti i costi e anche (magari) a sproposito. Però si potrebbero avanzare alcune domande o dubbi.
Ad esempio: comunicare ad un prefetto di Congregazione che il giorno dopo cessa dall’incarico, sarà una prassi educata? Sarà una prassi corretta? Impeccabile forse secondo le regole del diritto canonico, però si dimostrano rispetto e considerazione per un cardinale di curia?
Oppure. Se il prefetto di Congregazione ha espresso pubblicamente e in diverse occasioni pareri, osservazioni, che ai più sono sembrate delle critiche al papa stesso, perché mai ha sentito il bisogno di restare al suo posto? O, se è stato male interpretato, perché non ha corretto il tiro?
Oppure ancora. Se il papa o un’altra autorità (tipo un vescovo, un superiore generale, un decano di università o un preside di facoltà, un parroco…) viene contestata o quanto meno criticata, come si comporta? Manda via la persona che avanza delle critiche o cerca un dialogo?
Una prassi da rivedere
Il tema di questo articolo non è allora il cardinale Müller e neppure le sue posizioni e neppure sono a tema le posizioni del papa. Il tema è il metodo di lavoro.
La domanda è: nella Chiesa fino a che punto si può discutere liberamente? Come si gestiscono i collaboratori all’interno di una struttura complessa e articolata come è la curia romana dove convivono dirigenti di diversa estrazione, provenienza, cultura?
La domanda è lecita (speriamo…). La risposta, o meglio le risposte, che abbiamo avuto finora si dimostrano un po’ carenti sul piano del rispetto reciproco, del dialogo, della ricerca di un consenso.
E le vicende di queste settimane dimostrano quanto sia difficile – e allo stesso tempo urgentissimo, anzi imprescindibile – trovare delle regole per organizzare e gestire il dibattito interno, anche il dissenso. Di solito il dissenziente lo si elimina (vedi la storia). Oggi non sembra una soluzione intelligente e neppure misericordiosa. Speriamo domani si trovino strade migliori.
Gentile A. G. almeno su Settimananews firmiamoci con nome e cognome. È il minimo che dobbiamo a uno spazio di libera circolazione delle idee, soprattutto se lo usiamo.
Cordialmente, Marcello Neri
La cosa più antipatica e’ che Muller è stato “silurato”, secondo i giornali, perché conservatore.
Ma Muller è amico personale di Gustavo Gutierrez con cui ha pure scritto un libro a 4 mani sui poveri, uno che si è laureato con tesi su Bonhoeffer e passava le estati insegnando insieme a Gutierrez (http://www.stpauls.it/jesus/1310je/gutierrez.htm qua il suo racconto) in Perù.
Liquidato come un pizzo e merletti qualsiasi, forse bisognerebbe riflettere su cosa significhi oggi essere progressisti o conservatori.