La consacrazione un paio di settimane fa di un vescovo clandestino in Cina, senza l’autorizzazione della Santa Sede, appare da un punto di vista politico (questioni ecclesiali a parte) un forte schiaffo inferto direttamente al papa e al principio cattolico dell’unità della Chiesa.
La cosa minaccia poi ripercussioni sia sul pontificato di Bergoglio, sia sulla trattativa in corso tra Santa Sede e Cina, sia su Pechino, che in queste trattative sta scommettendo.
La consacrazione in sé potrebbe essere l’azione di un paio di scriteriati. Del resto se ne sa pochissimo: che un vescovo probabilmente di Lanzhou (nella provincia del Gansu) di cognome Wang ha consacrato un prete in una diocesi, Zhengding, dove già c’era un vescovo clandestino, non riconosciuto da Pechino. Il consacrante potrebbe essere un giovane, considerato da alcuni una specie di mezzo santo, “miracolato” per essere scampato a un colpo di fulmine; o un vescovo emerito anziano che vaga per la Cina, motu proprio, andando di diocesi in diocesi.
La consacrazione è certamente avvenuta perché una frangia della comunità locale si è ribellata al fatto che il vescovo attuale, Giulio Jia, sarebbe accomodante con le autorità del governo. La “colpa” di Jia, in particolare, è di avere detto in un’intervista a Gianni Valente dei mesi scorsi di essere favorevole ai colloqui in corso tra Vaticano e Pechino. In una serie di interviste a Vatican Insider Valente mostrava per la prima volta che tutto l’episcopato “clandestino” era per il papa e favore dei colloqui. Ciò era contrario a quanto alcuni ambienti cattolici invece sostenevano, che cioè dei vescovi clandestini si opponevano alle trattative.
Comunque alcuni preti riterrebbero che tali colloqui (peraltro non conclusi) siano un tradimento contro la Chiesa, un tradimento talmente grave da imporre uno scisma. Infatti, per la Chiesa l’ordinazione di un vescovo senza l’autorizzazione di Roma è un atto scismatico che comporterebbe la scomunica. Il vescovo Jia ha perciò già scomunicato questa ordinazione.
Certo, non è la prima volta che in Cina si nominano vescovi senza autorizzazione di Roma. Negli anni ’80 papa Wojtyla aveva concesso alla Cina lo “stato di necessità”. Cioè, viste le difficoltà di rapporto tra Cina e Roma la Chiesa cinese fedele al papa poteva nominare nuovi vescovi senza autorizzazione papale. Per questo “stato di necessità” la Chiesa “clandestina”, che rifiutava di collaborare con Pechino, e la Chiesa ufficiale “collaborazionista” nominarono ciascuna nuovi vescovi autonomamente. A cominciare dagli anni ’90 poi la Chiesa romana riconobbe vescovi sia clandestini sia ufficiali.
Tale stato di necessità fu però eliminato da papa Ratzinger e quando gli ufficiali negli anni passati nominarono ancora alcuni nuovi vescovi essi erano da considerarsi automaticamente scomunicati. Inoltre in quel momento Ratzinger affermava con forza l’esistenza di una sola Chiesa in Cina, negando finalmente la divisione tra clandestini e ufficiali.
I nuovi vescovi di quel periodo vennero nominati sotto pressioni delle autorità cinesi locali o centrali. Tali autorità, non cattoliche, erano preoccupate, più o meno ingiustamente, del possibile ruolo destabilizzatore della Chiesa in Cina, quindi con queste nomine di uomini “suoi” e non “di Roma” cercavano di arginare tale destabilizzazione.
I vescovi ufficiali consacrati avevano agito cioè senza Roma perché sotto pressione. Tali pressioni però non ci sono certamente nel caso attuale del nuovo “vescovo” di Zhengding.
Inoltre, mentre il motivo delle nomine ufficiali passate era chiaro (arginare il potenziale destabilizzatore della Chiesa), oggi il motivo appare oggettivo parallelo e contrario: creare un ostacolo alla trattativa in corso tra Roma e Pechino, lanciare un siluro contro il Papa, che non ha fatto mistero di sostenere tale trattativa, e quindi tentare di destabilizzare la Chiesa.
Se poi a questa prima consacrazione ne seguissero altre e se soprattutto seguisse qualche voce di sostegno internazionale, nei fatti la Chiesa rischierebbe di affrontare uno scisma. Qui la vicenda Cina potrebbe essere la miccia di tante altre questioni in cui una parte della curia e dell’apparato ecclesiale pare mal digerire il papato e la grande popolarità di Bergoglio.
In tale contesto allora arriva forse il punto vero e più importante dell’episodio: chi ha ispirato direttamente o indirettamente la consacrazione di Zhengding?
Vista la natura della Chiesa e dell’episcopato cinese “clandestino”, fortemente legato a Hong Kong, per decenni suo ponte con Roma, è molto difficile che il consacrante o il consacrato si siano mossi da soli.
Forse a tale scelta hanno contribuito dei presuli. Un clima di dissenso e scetticismo per i colloqui nella Santa Sede è cresciuto per anni. Uno scetticismo e una differenza di opinioni è certamente legittima e salutare per la vita della Chiesa e per ogni scelta delicata come le trattative. Ma è possibile che nell’enorme distanza mentale e fisica delle campagne cinesi tale legittima diffidenza sia stata ingigantita e distorta. Ciò forse dovrebbe imporre un cambio di tono di un certo dissenso a Roma? La posta è infatti l’unità della Chiesa e il suo futuro.
Potrebbe però forse anche esserci dell’altro, e la storia della Chiesa certo non ne è esente. Potrebbero esserci attori dentro o fuori la Chiesa stessa che abbiamo artatamente passato messaggi distorti e distorcenti in Cina allo scopo di destabilizzare il papato, la Chiesa e forse anche a indurre la dirigenza in Cina in uno scivolone di un qualche genere.
La delicatezza di questa vicenda dimostra però quanto il papa e il cardinale Parolin siano nel giusto nel sottolineare l’importanza enorme della partita Cina per la Chiesa e il futuro di pace nel mondo. È chiaro infatti che in tale rapporto non è in ballo solo l’avvenire della Chiesa in Cina ma anche tante prospettive di inserimento pacifico nel mondo e di sviluppo per la Cina e per il pianeta.
Ma quanti sarebbero I cattolici a Lanzhou e Gansu ? Credo pochissimi.
A parte i non credenti, a giudicare dal numero di moschee e monasteri, mi sembrano praticamente tutti buddisti o musulmani.