Che cosa è la Chiesa cattolica in Italia? La prima risposta più immediata è semplice: l’istituzione religiosa e cristiana più ampia e diffusa nel nostro Paese. Migliaia e migliaia di parrocchie, moltissimi gruppi, confraternite, associazioni, che a livello formativo e sociale operano affermando variamente di avere il Vangelo di Gesù Cristo come punto di riferimento della loro azione con particolare, logica attenzione all’interpretazione che ne viene dal vescovo di Roma e dai suoi confratelli nell’episcopato a cui sono affidate le molte diocesi italiane.
Tanto bene continuano fare moltissime persone e varie istituzioni cattoliche, nel quadro della vita italiana, a livello culturale, spirituale e sociale. Questo discorso, del tutto positivo, vale per ogni stato di vita: presbiteri, laiche, religiose, laici, religiosi). Ciononostante ci sono numerosissime situazioni di crisi e di degrado che sarebbe sciocco negare o fingere di non vedere.
Ci sono, infatti, dei dati incontrovertibili, che hanno assunto un rilievo ancora maggiore dalla fase del Covid-19 in poi. Partiamo dalla dimensione che per molti secoli e, purtroppo. nella mente di non pochi, ancora oggi, ha determinato il calcolo del numero dei cristiani cattolici in Italia. Mi riferisco alla partecipazione alle messe, in particolare quelle domenicali. Il numero di persone che frequenta regolarmente le celebrazioni eucaristiche domenicali è circa il 19% della popolazione, una cifra che si è ridotta del 33% in diciotto anni (cfr. Avvenire, 30 settembre 2023). L’età media di chi partecipa è molto alta e il calo della presenza di chi ha meno di trent’anni è molto rilevante.
Non credo assolutamente che – a differenza di quanto si è pensato e detto per molti secoli e alcuni continuano a ripetere ancora oggi – l’identità cristiana e, in specifico, cristiano-cattolica si possa determinare essenzialmente e anzitutto dalla partecipazione regolare all’eucarestia domenicale.
Quello che si può sapere direttamente dalle fonti di riferimento essenziali, ossia anzitutto i vangeli canonici, di che cosa sia imprescindibile per dirsi cristiani, dice che l’amore concreto nei confronti degli altri, ad immagine e somiglianza dell’amore del Dio di Gesù Cristo per gli esseri umani, è l’obiettivo esistenziale essenziale per chi desidera essere cristiano. Per perseguire tale scopo, partecipare ai momenti di culto, di cui l’eucarestia è certamente quello culminante, è importante per trovare costante slancio in proposito (e io sono tra coloro che tale frequenza settimanale ha mantenuto esattamente in questa logica).
Pertanto, chiedersi perché la partecipazione alle celebrazioni sia in notevolissimo calo è comunque doveroso. Se un numero crescente di persone non la sente più significativa per la propria vita, nel senso che, anzitutto, reputa più utile e/o interessante fare altro nel tempo una volta dedicato alla presenza settimanale in chiesa, farsi delle domande in proposito mi pare indispensabile.
Il linguaggio dei riti è spesso incomprensibile? Le omelie sono spesso tutto fuorché un invito efficace a cogliere qualche idea fondamentale dalle letture bibliche proposte a vantaggio della vita quotidiana? Non si è capaci di spiegare che il pane e il vino consacrati non diventano «magicamente» il corpo e il sangue di Gesù Cristo, ma che l’ostia che si riceve è un simbolo importante della donazione per gli altri per la quale il Nazareno stesso è vissuto, morto e risorto?
A queste condizioni è ben comprensibile perché si registra un grande calo nella presenza alle celebrazioni eucaristiche. Ed è facile prevedere che tale diminuzione sarà sempre più rilevante, quando, tra non molto tempo, saranno scomparse le generazioni più anziane, spesso educate ad un’idea prioritaria e totalizzante di tale presenza al rito domenicale e, per alcuni, anche quotidiano.
In un quadro ecclesiale nel quale, a livello strutturale e culturale, permane spesso, oltre ogni buon senso, l’idea della posizione centrale del presbitero e di quella «satellitare» delle persone che presbiteri non sono, la cellula fondamentale ecclesiale, ossia la parrocchia potrebbe conservare e migliorare questo ruolo evangelizzatore basilare.
Che cosa sarebbe indispensabile fare in proposito? Decidere che l’autorità ultima in una comunità parrocchiale, a livello progettuale e gestionale corrente, sia affidata non sempre e soltanto a preti, ma a persone di altri stati di vita. Ciò avviene, per esempio, in varie parrocchie della Svizzera tedesca e, in misura minora, francese, dove laiche e laici ricoprono, ordinariamente e ufficialmente, il ruolo che in Italia è affidato essenzialmente a parroci presbiteri.
Da parecchi anni si stanno moltiplicando in tutto il nostro Paese le formule più varie – reti pastorali, comunità pastorali ecc. – in cui a singoli presbiteri vengono affidate le responsabilità ultime su un numero spesso abnorme di parrocchie oppure vengono messe a vivere insieme persone – presbiteri – che sono state formate per gestire il potere da sole e hanno vissuto lungamente da sole.
Non occorre particolare senso della realtà e notevole intelligenza formativa per capire quanto sarebbe ecclesialmente più utile, anche pensando alla prospettiva sinodale su cui si sta riflettendo da qualche anno nella Chiesa cattolica, se i vescovi affidassero una o più parrocchie a delle équipes pastorali costituite, per esempio, da un prete, una coppia di laici e una religiosa.
Essi sarebbero responsabili, pur con tutte gli organismi di cooperazione e confronto attivabili a livello liturgico, catechetico e caritativo, delle comunità loro affidate, mostrando nei fatti che cosa significhi ministerialità e operatività nella Chiesa secondo prospettive fedeli alla fisionomia auspicata nel I secolo d.C. Mi riferisco, in particolare, al formidabile testo di Atti 2,42-47, che non è la fotografia della «Chiesa delle origini», ma il quadro dei valori e dei rapporti a cui, sin da allora, ogni cristiano era chiamato a guardare per essere fedele al suo Signore.
Facoltà di teologia e Istituti Superiori di Scienze Religiose hanno laureato o diplomato nel corso degli ultimi trent’anni persone in grado di svolgere, con opportuni adeguamenti formativi, la funzione pastorale che ho prima indicato. E le risorse economiche per retribuire seriamente i «non presbiteri» coinvolti si potrebbero trarre, anzitutto, dal denaro non più ripartito tra i non pochi preti che vengono meno e certamente non necessario per i preti ordinati negli ultimi anni, che sono un numero assai esiguo rispetto a qualche decennio fa.
Nessuno pensa che questa scelta, per molti rivoluzionaria, che consente di organizzare in modo diverso rispetto agli ultimi secoli il potere all’interno della normalità della Chiesa cattolica, sia una sorta di «bacchetta magica» per far uscire dalla crisi multiforme in atto l’insieme della comunità religiosa oggi guidata da papa Francesco. La pluralità di sensibilità religiose e culturali riscontrabili da un capo all’altro del Pianeta, rendono sempre più incongrue decisioni che siano «uguali per tutti» ferma restando ovviamente la centralità universale dell’ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture bibliche e la pratica non devozionistica dei sacramenti.
Un’animazione biblica dell’intera pastorale ecclesiale, senza tentazioni erudite e spiritualistiche, ma radicata nell’esistenza concreta delle persone, potrebbe essere la via maestra per consentire a Diocesi, parrocchie e altre istituzioni ecclesiali di vedere recuperata e realizzata sempre meglio la propria efficacia formativa, messa in atto da credenti credibili nel Dio di Gesù Cristo, capaci di rispondere, senza paure e stravaganze, alle sfide della cultura contemporanea.
Vorremmo continuare e approfondire queste brevi e schematiche riflessioni, che su SettimanaNews tante altre persone hanno variamente proposto negli ultimi anni con efficacia e passione. Invito cordialmente lettrici e lettori di queste righe a interagire con quanto vi è scritto e a proseguire il confronto in proposito: ne va, mi pare, del futuro della Chiesa cattolica in Italia, se non vuole diventare sempre più marginale a livello culturale e sociale.
Tra le molte pubblicazioni oggi disponibili, per andare al cuore di molti problemi evocati da quanto detto sin qui, segnalo i seguenti titoli: G. Campanini, Senza preti. Nuove vie per evangelizzare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2016; B. Sesboüé, Non abbiate paura. Sguardo sulla Chiesa e sui ministeri oggi, tr. it., Queriniana, Brescia 2019; Alle radici della comunità. Liturgia, catechesi e carità per vivere insieme, a cura di E. Borghi – G. De Vecchi, San Lorenzo, Reggio Emilia 2021; A. Mastantuono (a cura di), Verso una Chiesa sinodale, EDB, Bologna 2023; Relazioni di potere nella Chiesa, «CredereOggi» XLIII (256/2023).
Ernesto Borghi è biblista professionista dal 1992. Insegna Introduzione alla Sacra Scrittura presso l’ISSR «Romano Guardini» di Trento e Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli (sez. San Tommaso d’Aquino). Dal 2003 presiede l’Associazione Biblica della Svizzera Italiana (www.absi.ch) e coordina la formazione biblica nella Diocesi di Lugano. Tra i suoi libri più recenti: (con G. De Vecchi, a cura di), Per vivere con se stessi e gli altri da esseri umani, Cittadella, Assisi (PG) 2024; Verso la verità della Chiesa. Leggere gli Atti degli Apostoli oggi, ETS, Milano 2024.
Buonasera!
Fermo restando che ogni opinione, detta con rispetto degli altri, può essere legittima, molte delle reazioni al mio testo – sorvolo sulle accuse di “apostasia” e su altre lezioncine di teologia e di filosofia che rimando ai mittenti – testimoniano quanto lavoro occorre continuare a fare perché il tradizionalismo più biblicamente infondato e la tendenza a preoccuparsi prima e più di essere “cattolico” che “cristiano” possano essere avviate seriamente a superamento. Penso ai miei figli e ai coetanei dei miei figli e a tanti altri giovani e adulti che non trovano ragioni per restare all’interno della Chiesa cattolica anche perché troppe persone continuano a ragionare e ad operare – nei diversi stati di vita – con lo sguardo rivolto ad un passato che spero proprio – e so che molti altri lo pensano analogamente – venga archiviato. Ringrazio “Settimana News” per avere accolto il mio contributo come quelli di tante altre persone prima di me. In uno degli interventi più positivi si chiede che approfondisca quello che ho scritto sul tema “eucarestia”. Segnalo, per esempio, un mio contributo del 2008 (“Per un cristianesimo contemporaneo davvero eucaristico: fondamenti neo-testamentari ed osservazioni ecumeniche”, in “Annali di Studi Religiosi” 9 (2008), 215-242), e un capitolo del mio libro “Il mistero appassionato. Lettura esegetico-ermeneutica del vangelo secondo Marco”, edito da EMP a Padova nel 2011. Buona serata a tutte e a tutti!
Gravissimo testo stracolmo di errori teologici e pieno di confusione culturale. L’autore vada a scrivere su riviste protestanti.
Perché questa rivista è cattolica??? Non scherziamo…
Alla cortese attenzione del professor Borghi.
Più che Thurian che rappresenta il nulla a riguardo delle sue esternazioni sulla parola reale, la invito a leggere e riflettere a fondo su quanto insegna il santo padre Francesco:
“L’Eucaristia è la risposta di Dio alla fame più profonda del cuore umano, alla fame di vita vera: in essa Cristo stesso è realmente in mezzo a noi per nutrirci, consolarci e sostenerci nel cammino”. A ribadirlo è stato il Papa, ricevendo in udienza i membri del Comitato organizzatore del Congresso eucaristico nazionale degli Stati Uniti d’America. “Purtroppo, al giorno d’oggi, a volte tra i nostri fedeli qualcuno crede che l’Eucaristia sia più un simbolo che la reale e amorevole presenza del Signore”, il monito di Francesco: “È più di un simbolo, è la reale e amorevole presenza del Signore”. Di qui l’auspicio che il Congresso Eucaristico “ispiri i cattolici del Paese a recuperare il senso di meraviglia e di stupore per questo grande dono che il Signore ci ha fatto, e a trascorrere del tempo con lui nella celebrazione della Santa Messa, così come nella preghiera personale e nell’adorazione del Santissimo Sacramento”. “Credo che noi in questo tempo moderno abbiamo perso il senso dell’adorazione”, la denuncia del Papa: “Dobbiamo riprendere il senso di adorare in silenzio, adorare. È una preghiera che abbiamo perso, poca gente sa cosa sia questo, e voi Vescovi dovete catechizzare i fedeli sulla preghiera di adorazione; l’Eucaristia ci chiede di farlo”.
E potrei citare ancora il serafico Francesco o i beati che sono vissuti,nel secolo scorso, cibandisi per decenni e decenni solo della Santissima Eucarestia e la cui fame fisiologica non poteva essere sfumata dal simbolo dell’ ostia.
Alla cortese attenzione del professor Borghi .
sìmbolo s. m. [dal lat. symbŏlus e symbŏlum, gr. σύμβολον «accostamento», «segno di riconoscimento», «simbolo», der. di συμβάλλω «mettere insieme, far coincidere» (comp. di σύν «insieme» e βάλλω «gettare»)]. – 1. Nell’uso degli antichi Greci, mezzo di riconoscimento, di controllo e sim., costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto (per es., un pezzo di legno), che i discendenti di famiglie diverse conservavano come segno di reciproca amicizia. 2. fig. a. Qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso, il quale viene pertanto assunto a evocare in partic. entità astratte, di difficile espressione: il focolare è s. della famiglia; la palma è s. del martirio; la volpe è s. dell’astuzia, il leone della forza, il cane della fedeltà, la colomba della pace; in Dante, Ulisse diventa il s. dell’ansia di conoscenza; eroe, personaggio che assurge a s., che assume valore di s., elevato a s. (di una nazione, di un’idea, di un carattere, di una tendenza, ecc.). Con riferimento a città, stati, movimenti, partiti e sim., segno distintivo e rappresentativo: il giglio è il s. di Firenze; la croce è il s. del cristianesimo; il panda è il s. della fondazione WWF. b. Nella scienza giuridica, ognuna di quelle formalità rituali che, spec. nelle civiltà più primitive, servono a costituire la celebrazione dei negozî giuridici. Analogam., con riferimento a fenomeni religiosi e culturali, ogni funzione rituale la cui realtà è sentita dai fedeli come simbolica dell’arcano essere divino. Questa la definizione di simbolo che probabilmente come lemma, dott. Borghi, le sfugge. Per quanto poi alla teologia sacramentale, alla dottrina autentica della Santa Madre Chiesa, nonché alle preghiere eucaristiche di consacrazione e di conseguente transustanziazione, termine di per sé che dice e attesta un cambiamento di sostanza da pane in Corpo e da vino in Sangue, le parole che nessuno al mondo può cambiare sono:” prendete e mangiate questo è il mio Corpo, prendete e bevete questo è il mio Sangue” e quindi Gesù stesso attesta che nondimeno simbolo si tratta ma di essenza reale. Non mi dilungo ma ricordo a me stesso che ho avuto la gioia immensa di poter visitare come ministro di Dio, da solo, il miracolo Eucaristico di Siena. Ebbene questo privilegio fu dato anche a sua santità San Giovanni Paolo II il quale, in ginocchio di fronte alle Sacre Specie, in adorazione disse:” E’ la Presenza”. Le è chiaro? Non disse è un segno o un simbolo che, se fosse tale, scientificamente si sarebbe consunto. E per dirla tutta, non mi prostro durante le celebrazioni, di fronte a un simbolo ma a Cristo vivente, presente, reale.
Ho l’impressione che il dibattito stia evidenziando che non sappiamo più in che cosa crediamo …
Buona giornata.
Mai come in questo caso ho capito il detto: ha indicato la luna ma hanno guardato il dito. Ci vuole pazienza, egregio Borghi, una pazienza che molte infatti abbiamo finito.
Buon pomeriggio! Credo sia giusto esplicitare qualcosa che mi pareva ovvia, visto il contesto dell’articolo. Valore “simbolico” per l’eucarestia non significa “di scarso rilievo, di poco peso”, ma “riassuntivamente intenso” nel senso che “simbolo” ha in teologia e in filosofia. Ringrazio coloro che si qui hanno commentato il mio articolo.
Il problema è che ormai ognuno scrive a capriccio suo con un’idea personale di Chiesa che vorrebbe plasmare e in un certo senso imporre agli altri. Il tutto mentre le Chiese letteralmente si svuotano e le comunità scompaiono. Sembra il mito di Sisifo, ogni giorno ognuno si sveglia rotola la sua idea di Chiesa in cima alla montagna per voi vederla franare giù… Passa la voglia pure di ascoltare.
Ma perché usare espressioni ambigue?
Perché dire e non dire?
In italiano “simbolo” significa pressappoco “segno che rappresenta”.
Come la bandiera simbolo della patria.
Perché dare ad una parola di uso comune un significato che non ha?
Non bastava astenersi dallo scrivere quella frase?
Non sarebbe stato utile richiamare la dottrina della Transustanziazione?
In ogni caso questa discussione simboleggia perfettamente i tempi che viviamo: nulla è più certo, neppure che i cattolici credano nella Presenza Reale.
Ma com’è possibile che non ci si renda conto che quanto descritto è pura e semplice apostasia? A che serve una chiesa più radicata nel territorio se essa è ridotta ad una associazione puramente umana?
Guardiamo caritatevolmente all’intervento del prof. Borghi e diciamo pure che “simbolo” è stata una parola infelice, vista la controversia protestante.
Pur comprendendo lo spirito del testo, scrivere che «l’ostia che si riceve è un simbolo importante» giustifica lo stupore scandalizzato di chi mi ha preceduto.
In merito alla lettera, l’analisi è facilmente condivisibile al contrario della proposta dove il ruolo di «una coppia di laici e una religiosa» rientra nell’ottica di supplenza, perciò di azione temporanea da cui recedere al ritorno delle condizioni ottimali, anziché di piena e continua partecipazione basata sul comune Battesimo.
Ancora una volta, laici e religiose (perché i religiosi sono inclusi nella categoria dei preti…) sono pensati come supporto disciplinato al clero, come oggetti di pastorale e mai soggetti.
Un’ultima osservazione. Le Pontificie Università, Facoltà Teologiche e ISSR sono enti che offrono, con diverse finalità, una buona formazione. È sufficiente per avviare una pastorale più attraente e inclusiva? I problemi denunciati sono risolvibili solo con una formazione che, se non cambia, darà sempre gli stessi risultati di ieri e di oggi?
Prima di preoccuparsi della frequenza alla liturgia (è parte della formazione ricevuta: avere la chiesa piena!) non sarebbe più opportuno domandarsi perché la Chiesa e i credenti non riescano più a proporre risposte di senso e significato tali da attrarre e mantenere i fedeli?
Per favore, aiutatemi un po’ a capire. 70 anni di liturgia vernacolare e partecipazione “attiva” e il risultato sconfortante è questo. E la cura proposta è quella di smantellare ulteriormente le strutture del sacro?
Si stupisce? L’ideologia (che è la patologia dell’idea) gli impedisce ogni tipo di retto ragionamento, Aumentiamo la dose di veleno al malato..così guarisce! Più laici ..più simboli…più il nulla. Il Signore avrà pietà di loro?
Ho incominciato a leggere questa lettera aperta ma sono rimasto inorridito quando, a riguardo della Santissima Eucarestia, l’autore scrive: “che l’ostia che si riceve è un simbolo importante della donazione per gli altri per la quale il Nazareno stesso è vissuto, morto e risorto? Un simbolo importante! Vergogna. È una follia! L’Eucarestia non è nessun simbolo ma è Cristo stesso presente sotto le specie del pane e del vino con la Sua Carbe, Anima e Divinità
DON ANGELO BATTISTA HA PERFETTAMENTE RAGIONE ! Nostro Signore Gesù Cristo è realmente presente nella SS.Eucarestia in CORPO, SANGUE, ANIMA E DIVINITÀ. Sii prenda visione del sito del beato CARLO ACUTIS,internet http://www.miracolieucaristici.org. Inoltre a Bogotà, il giorno 10 agosto 2024,durante l adorazione eucaristica, l’ostia nell ostensorio ha pulsato per 20 minuti di fronte a circa 300 persone.Tutti possono prendere visione del fatto, anche col cellulare,basta scrivere BOGOTÀ, MIRACOLO 10 Agosto 2024. GLIULTIMI MIRACOLI EUCARISTICI STUDIATI DALLA SCIENZA SONO AVVENUTI IN POLONIA NEL 2013 E 2008,IN MESSICO NEL 2006,IN ARGENTINA NEL 1992,1994,,1996, QUANDO ERA ARCIVESCOVO DI BUENOS AIRES,L ATTUALE PAPA FRANCESCO.I ITALIA , A LANCIANO, I PROFESSORI LINOLI E BERTELLI HANNO STUDIATO IL MIRACOLO EUCARISTICO AVVENUTO,PROPRIO A LANCIANO, NEL 750 DOPO CRISTO. GLI STUDI SCIENTIFICI SU LANCIANO SONO ORMAI ,DA ANNI, DIFFUSI IN TUTTO IL MONDO. PER ULTERIORI RISCONTRI SUI MIRACOLI EUCARISTICI STUDIATI ANCHE DALLA SCIENZAM SI PRENDA VISIONE DEL CONTENUTO DEL SITO INTERNET http://www.istitutoscientificoventurelli.it
Buongiorno, don Angelo! Da persona teologicamente formata Lei dovrebbe sapere che “simbolo” vuol dire qualcosa di molto intenso e profondo sia in teologia che in filosofia. Legga quanto ho scritto più sotto come spiegazione e, se può servirLe, vada a cercare gli scritti sull’eucarestia e sulla presenza reale di Cristo nell’eucarestia, per es., di Max Thurian: spero riuscirà bene a comprendere anzitutto il senso dell’aggettivo “reale”. Buona settimana!
L abbandono alla Messa domenicale, ormai così triste e pesante soprattutto nelle nuove famiglie pur definendosi Cristiane, è per me legata alla quasi mancanza da parte dei sacerdoti di voler trasmettere il significato stesso della Messa. Messa è la transustanziazione del Corpo e Sangue di Cristo nell’Ostia consacrata. Se già l Ostia viene definita come “simbolo”, siamo messi male ,molto male.. Siamo quasi ,quasi protestanti. Prendere come esempio la Svizzera e la Francia è solo da piangere. In quei paesi la laicità è diventata padrona di tutti gli aspetti della vita. Penso che le chiese si svuoteranno sempre di più, andando avanti cosi
Anch’io come Anima errante sono piuttosto perplesso sull’eucaristia come simbolo….
Mi piacerebbe molto che l’autore approfondisse il tema. So che non è un’opinione solo sua. Mi interessa perché da diversi anni mi sorgono vari dubbi, pur accostandomi regolarmente al sacramento anche nelle messe feriali quando posso. Solo che io spero che non sia un simbolo, perché non saprei cosa farmene. Non si vive senza simboli (lo dice anche la psicanalisi), ma spero tanto che l’eucarestia sia qualcun di più. Chiudo con una famosa (?) e caustica uscita di Flannery O’Connor: Una volta la scrittrice si trovò a cena da Mary McCarthy, altra nota penna dei suoi anni, che le disse di considerare l’Eucarestia solamente come un «simbolo». La risposta della O’Connor fu netta: «Beh, se è un simbolo, che vada al diavolo»
Se la Chiesa cattolica in Italia vuole rimanere radicata sul territorio dovrà necessariamente aprirsi alla condivisione della missione ai laici e alle donne. Se così non sarà dovranno chiudere molte realtà pastorali. La missione non è da tempo una esclusiva del clero e in questo tempo storico la missione necessita della sinodalità e viceversa.
L’autore si dilunga nel dire che ci vuole una reale partecipazione partecipazione dei laici alla gestione della vita ecclesiale
E su questo penso siamo quasi tutti d’accordo.
Poi fa capire che questi laici sarebbero i laureati e diplomati dei vari istituti teologici, enti a cui lui appartiene.
Praticamente vole depotenziare la ‘casta dei preti’ mettendo al loro posto una ‘casta dei laici formati’ scelti in vario modo (e di sicuro trasparente…) da lui e i suoi pari.
Parliamo poi della frase più problematica di tutto l’articolo
‘Non si è capaci di spiegare che il pane e il vino consacrati non diventano «magicamente» il corpo e il sangue di Gesù Cristo, ma che l’ostia che si riceve è un simbolo importante della donazione per gli altri per la quale il Nazareno stesso è vissuto, morto e risorto?’
Allora, la critica a come il mistero della presenza di Cristo nel pane e nel vino eucaristici viene vista da molti cattolici è giusta, e fa seguito a tanti altri che da decenni denunciano la cosa.
La soluzione proposta invece è estremamente problematica, e se per ‘simbolo’ l’autore intende solo un ricordo privo di qualsiasi identità o partecipazione reale con ciò che rappresenta allora le sue affermazioni sono quantomano problematiche, e il Sacramento viene visto solo come un”incoraggiamento all’azione’.
Non spegnete lo Spirito. Lo Spirito continuamente soffia sulla Chiesa, suscitando una creatività buona nel cuore dei credenti. Questa è l’ unica speranza del presente e del futuro delle nostre comunità. Ma, mi chiedo quanto ancora il clericalismo soffochi e reprima. Il peso è ancora molto e non sappiamo fino a quando.
Si…lasciamo entrare lo spirito del.mondo a continuare la devastazione. L ubbidienza allo Spirito Santo….no grazie…dovrei cambiare le mie idee bacate per fare la Volontà di Dio.
Concordo pienamente l’analisi svolta da Ernesto Borghi. Dice un popolare adagio: “volere è potere”. Il punto che non si vuole e quindi non si può/non si fa.
Volere è potere? Ma volere di chi?