Ancora oggi vi sono persone che intendono l’esperienza cristiana come incentrata sull’obbedienza ad un insieme di norme date da Dio e insegnate dai pastori che sono relative alla preghiera e all’etica. Secondo tale visione, se si è fedeli ai momenti di preghiera richiesti, soprattutto alla messa domenicale, e si rispetta sostanzialmente la legge morale, si è dei buoni cristiani, e si può ragionevolmente supporre di ottenere a suo tempo il premio eterno.
Tra i molti limiti di questa visione vi è il fatto che misconosce sia la necessità dello Spirito Santo per essere fedeli a Dio sia la bellezza dell’esperienza cristiana, che va ben al di là della soddisfazione di essere brave persone.
Lo Spirito e la bellezza dell’assoluto
Così scrive a questo riguardo il padre Congar: «Lo Spirito Santo agisce dal di dentro, ove penetra come una unzione. Egli ci fa sentire, ad un livello più profondo di quello del dispiacere di questa o di quella colpa, l’attrattiva sovrana dell’Assoluto, del Puro, del Veridico, di una vita nuova offerta dal Signore Gesù e ci dà, di fronte a tutto questo, una coscienza acuta della nostra miseria, della menzogna e dell’egoismo di cui la nostra vita è piena. Ci sentiamo giudicati, e, nello stesso tempo, prevenuti dal perdono e dalla grazia. Cadono allora le nostre false scuse, il sistema di auto-giustificazione e di costruzione egocentrica della nostra vita» (Y. Congar. Credo nello Spirito Santo. 2. Lo Spirito come vita, Queriniana, Brescia 1982, 136).
Secondo il teologo domenicano, la conversione non nasce dai buoni propositi, ma dall’azione dello Spirito. Questi non agisce davanti a noi, come potrebbe fare una persona amica, ma dentro di noi, cioè nei nostri pensieri, nelle nostre emozioni, interagendo misteriosamente con le dinamiche più profonde del nostro essere, pur nel rispetto della nostra libertà.
Lo Spirito, poi, non parte dal rimprovero – come avviene in certe omelie –, ma aprendoci gli occhi, cioè facendoci cogliere la bellezza di ciò che è assoluto, puro e vero. È la bellezza di Dio e di ciò che viene da lui.
Lo Spirito ci fa comprendere la grandezza di quella vita nuova che Gesù ci sta offrendo, diversa, almeno in parte, da quella che abbiamo vissuto fino al presente.
Davanti a tutto questo, noi diveniamo consapevoli del nostro peccato, cioè dell’egoismo che è sempre radicato nella nostra vita e che ci impedisce di accogliere e vivere questo dono.
Tutto questo significa che la conversione cristiana non può ridursi semplicemente ad un miglior rispetto di quei valori morali che sono accessibili anche a chi non è cristiano con la luce della ragione, come l’amore per i poveri, la cura dell’ambiente, il rispetto delle legittime diversità, e così via.
Nella conversione cristiana, ovviamente, si riconoscono e si vivono questi valori, ma si va molto oltre, approdando a stili di vita che non possono essere capiti e apprezzati da chi non si è lasciato illuminare dallo Spirito e non ha cominciato ad accogliere la vita nuova offerta dal Signore. La bellezza del Vangelo è reale, ma nascosta.
In un tempo in cui l’adesione al cristianesimo nel mondo occidentale è in calo, è molto forte la tentazione di ridurlo a un complesso di valori etici che possono essere condivisi a prescindere dalla fede in Gesù. Non è questo, però, il modo per essere una Chiesa in uscita.
Non si tratta di decostruire il Vangelo e la vita morale che esso rende possibile perché possano dirsi cristiani anche quelli che non credono in Cristo. Si tratta, invece, di trovare nuove vie per facilitare l’azione dello Spirito, che agisce incessantemente nell’interiorità di ogni persona per aiutarla a cogliere la bellezza dell’esistenza cristiana.
La mentalità narcisista
In secondo luogo – come rileva Congar nel testo citato –, l’esperienza cristiana comporta necessariamente l’accettazione di un giudizio di Dio sulla propria vita, anche se questo giudizio non è che la necessaria premessa dell’esperienza della sua misericordia.
In effetti, lo Spirito ci guida progressivamente a cogliere la bellezza della vita in Cristo, e quindi a guardare con sofferenza – o con orrore – alle dinamiche peccaminose che sono sempre presenti nella nostra esistenza.
Purtroppo, la comprensione del valore di questa dimensione del giudizio risulta oggi particolarmente difficile. La mentalità narcisista, così diffusa nel nostro contesto culturale, spinge molte persone, soprattutto giovani, a ritenersi perfette, onnipotenti e grandiose, e a cogliere qualsiasi critica come ingiusta e insopportabile.
In tale logica, però, si fa fatica a cogliere la bellezza di qualcosa di diverso dalla propria persona, e si è incapaci di accettare che un giudizio negativo su qualche aspetto della propria vita possa corrispondere alla verità delle cose. Viene più spontaneo accostarsi a Dio alla pari, come si farebbe tra colleghi, fermo restando che egli non ha alcun diritto di fare critiche o di ritenersi offeso per qualcosa che si è scelto di fare.
Per questa ragione, l’annuncio evangelico di una bellezza che non è la nostra e di un giudizio che rivela le inevitabili ombre che segnano la nostra vita è anche un aiuto a recuperare una visione più realistica di sé stessi e a riconciliarsi con il bisogno autenticamente umano di essere amati e perdonati.
La valenza educativa e culturale di questo aspetto della testimonianza cristiana lo fa rientrare a pieno titolo, accanto alla cura dei poveri e dell’ambiente, nella dimensione politica della missione ecclesiale. Anch’esso, infatti, è un modo di umanizzare le persone e quindi di far crescere il regno di Dio in questo mondo.
L ‘esperienza della vita di fede mi ha insegnato che non esistono bravi cristiani ma solo buoni cristiani. Il concetto bravo è prerogativa della ragione il concetto buono è una prerogativa del cuore sensibilizzato dalla fede.
mario🙏
Sull’ipocrisia di chi si sente un bravo cristiano, apposto come i farisei del Vangelo mi permetto di segnalare https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/09/cattolicesimo-borghese1.html.
Ottimo esordio e bel respiro spirituale. Grazie. Peccato la scivolata di sapore moralistico e giudicante sul ‘narcisismo’, che finisce per imitare proprio quelle predicazioni ‘rimproveranti’. Si vede che noon possiamo resistere alla tentazione di accusare qualcosa o qualcuno. Senza dimenticare il monito: “Chiesa: togli prima la trave narcisistica dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza narcisistica dall’occhio del tuo fratello”.
Insomma dobbiamo ringraziare Dio, chiedere perdono dei nostri peccati e invocare il suo aiuto e la sua misericordia. Proprio come la chiesa ha sempre insegnato.