Désiré Tzarahazana, arcivescovo della diocesi di Toamasina e presidente della Conferenza episcopale del Madagascar sarà creato cardinale, assieme ad altri 13, nel concistoro di giovedì prossimo, 29 giugno. La Fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” ha colto l’occasione per intervistarlo sulla situazione della Chiesa malgascia e su quella del suo Paese che si sta preparando alle elezioni presidenziali del prossimo novembre. Secondo quanto il vescovo ha dichiarato, le principali sfide che la Chiesa e il Paese devono affrontare sono un’evangelizzazione in profondità, la mancanza di preti, l’invasione dell’islam, la grande povertà della gente, e soprattutto la corruzione. Non bisogna dimenticare che il Madagascar è uno dei più poveri paesi del mondo. Qui di seguito l’intervista.
– Mons. Tzarahazana, qual è la sfida principale per la Chiesa nel suo Paese?
L’evangelizzazione in profondità. Io mi pongo infatti questa domanda: perché ci troviamo in questa situazione così critica, mentre c’è un aumento del numero dei cristiani (56%, secondo il recente Rapporto mondiale sulla libertà religiosa, ndr) e i nostri capi politici sono in maggioranza dei cristiani? Se fossimo veramente cristiani, non ci troveremmo in questa situazione. Di qui la domanda: qual è la profondità della nostra fede? Il numero va bene, ma non è l’essenziale. Se uno professa la sua fede e il giorno dopo defrauda il suo vicino o non si interessa affatto degli altri, allora si tratta di una fede che non è pienamente vissuta.
– Quali sono i punti forti della Chiesa cattolica?
Noi siamo pronti a denunciare ciò che non va. Abbiano il coraggio di parlare e di dire la verità senza fare della “politica”. Non siamo un partito interessato come altre religioni (per esempio, ci sono dei pastori che vogliono essere ministri o presidente…). Posso testimoniare che la sola istituzione credibile qui è la Chiesa cattolica. Tutti si rivolgono a noi perché la Chiesa dice la verità ed è affidabile.
– Vi siete anche confrontati con l’avanzata dell’islamismo?
Sì, la crescita dell’islamismo è tangibile! È visibile! È un’invasione. Col denaro dei paesi del Golfo e del Pakistan, comperano la gente: vediamo dei giovani partire per andare a studiare in Arabia Saudita e, quando ritornano in Madagascar, sono degli imam. Abbiamo organizzato un incontro con gli imam per condividere le nostre preoccupazioni e uno di loro ha parlato. Era un ex seminarista. Ovviamente non si può dire che sia stato attirato dal denaro, ma è ciò che avviene qui a causa della povertà. Esiste una vera pressione. Per esempio, nel Nord viene dato del denaro alle donne perché per la strada indossino il velo integrale, il burka, per far vedere l’espansione dell’islam nel Paese. E la sera rimettono i loro abiti normali.
Nella mia diocesi si costruiscono moschee dappertutto anche se i musulmani non sono così numerosi. C’è un progetto per costruire 2.600 moschee nel Madagascar! Fanno anche venire dei musulmani in massa dalla Turchia, ed è un fenomeno che ci inquieta molto: una o due volte la settimana la compagnia aerea Turkish Airlines sbarca gruppi di musulmani che si installano nel Paese. In piena campagna, non si sa bene cosa facciano lì, ma si installano e non se ne partono più! La popolazione è povera ma il Paese è ricco ed è enorme per 22 milioni di abitanti, quindi c’è spazio per loro.
– Vede concretamente il pericolo di un islam radicale?
Per il momento non lo si vede ancora molto, ma non sappiamo per l’avvenire. I fondamentalisti cominciano ad installarsi e a mano a mano che il loro numero aumenta, ci si domanda quando vorranno realmente mostrare chi sono, e questo ci inquieta veramente.
Le isole Comore, qui accanto, hanno gran parte della popolazione che vive questo islam estremista e molti sbarcano in Madagascar, in particolare a Mahajanga sposano donne malgasce e i bambini che nascono da questi matrimoni vengono cresciuti in un islam radicale.
– Come reagisce il governo a questo fatto?
Ci sono stati incontri a più riprese per mettere in guardia i responsabili delle istituzioni e spiegare loro la situazione, ma non fanno niente, è tutta un’ipocrisia. Ci si domanda se gridiamo nel deserto. Incontriamo spesso dei dirigenti, anche di alto rango, per spiegare loro ciò che non funziona, come per esempio, la rapina delle terre. Il nostro terreno è stato rubato da un fuorilegge conosciuto da tutti, che non solo non è stato arrestato, ma ha anzi vinto la causa davanti alla giustizia. Siamo veramente governati da persone corrotte…
– Ci saranno le elezioni presidenziali il prossimo novembre?
È tutto un po’ complicato, noi non sappiamo che cosa succederà e dove si andrà a finire, ma preghiamo il Signore che vada tutto bene e che lo Spirito Santo ci guidi per evitare il caos.
– Lo scorso anno ci sono stati numerosi attacchi contro conventi cattolici. Com’è la situazione oggi?
Questi attacchi per qualche tempo si calmano, poi riprendono. Purtroppo questo fenomeno di insicurezza continua ed è doloroso, sia nelle città come nelle campagne. La gente ha paura di andare a lavorare per l’insicurezza. E a causa dell’ingiustizia, la gente si fa giustizia da sé: oggi regna la giustizia popolare… Come vede, ci sono molte sfide da assumere per mettere ordine nel nostro Paese.
– Ci sono sufficienti preti per svolgere quell’evangelizzazione in profondità di cui lei parlava all’inizio?
Nella mia diocesi (Toamasina) io non ho preti sufficienti, per cui chiedo aiuto ai missionari e cerco di dare una buona formazione a tutti, cominciando dai seminaristi. Il numero dei seminaristi aumenta ma, a causa dell’estrema povertà che è molto diffusa, dobbiamo sempre chiederci se si tratta di vere vocazioni o se c’è sotto un desiderio di sicurezza materiale. Perciò dobbiamo discernere bene. Inoltre, sempre a causa della povertà, non ci sono strade o mezzi di comunicazione per accedere alla popolazione di ciascun villaggio, è tutto molto difficile.
La nostra sfida è di avere una stazione radio che trasmetta in tutti gli angoli della diocesi in modo che la parola della Chiesa possa essere ascoltata in ogni famiglia. E perché no, in seguito, anche una catena televisiva?
– Pensa che papa Francesco verrà in Madagascar, come è stato proposto lo scorso mese di marzo? Quale messaggio attendete dal papa?
Non posso prometterlo al 100%, ma ho questa speranza. Egli sa molto bene che noi lo vogliamo e c’è una grande probabilità che venga a visitarci l’anno prossimo. Ci sono molti messaggi che noi vorremmo ricevere, ma soprattutto che egli possa sottolineare l’importanza di essere giusti, di fermare la corruzione, e guidare bene il Paese…, perché tutti cerchino di essere dei buoni cittadini e buoni cristiani.
– Desidera rivolgersi ora ai nostri benefattori?
La situazione in Madagascar è realmente molto critica e ora stiamo entrando in una nuova crisi. Perciò abbiamo bisogno del vostro sostegno. Inoltre, ringrazio tutti i benefattori per le loro iniziative e preghiere. Per favore pregate perché qui possano avvenire dei cambiamenti in armonia con il Vangelo e pregate anche per me. Mille grazie!