Nel riconoscimento dei 21 martiri copti in Libia (11 maggio 2023) come nell’avvio della quarta forma del riconoscimento di santità (dare la vita per gli altri; Maiorem hac dilectionem, 11 giugno 2017) l’esperienza martiriale supera i confini confessionali e attinge a una comunione universale (salvare l’umano di tutti). I testimoni della fede trascinano le Chiese oltre i loro confini, intercettano la coscienza del popolo cristiano e aprono alla comunione con tutti i “giusti”.
Nell’incontro con Tawadros II, papa della Chiesa copta (11 maggio), papa Francesco ha concluso così il suo discorso: «Non ho parole per esprimere la mia gratitudine per il dono prezioso di una reliquia dei martiri copti uccisi in Libia il 15 febbraio 2015. Questi martiri sono stati battezzati non solo nell’acqua e nello Spirito, ma anche nel sangue, un sangue che è seme di unità per tutti i seguaci di Cristo. Sono lieto di annunciare oggi che, con il consenso di vostra Santità, questi 21 martiri saranno inseriti nel Martirologio romano come segno della comunione spirituale che unisce le nostre due Chiese».
Tawadros, usando l’immagine di un grande cerchio dei credenti attorno al Dio di Gesù, ha sottolineato: «Ognuno di noi si trova in un punto di questo cerchio e ogni volta che ci avviciniamo a Dio, anzi al centro del cerchio, ci troviamo ad avvicinarci l’un l’altro, ci capiamo per la vicinanza alla luce divina e il nostro amore cresce di giorno in giorno attraverso la nostra vicinanza a Dio».
Copti nel martirologio cattolico
Nel 2001 alcuni santi ortodossi sono stati introdotti nel Martirologio e l’auspicio di un martirologio comune era già presente in Giovanni Paolo II con l’enciclica Ut unum sint (1995), ma è la prima volta che l’inclusione avviene con l’esplicita approvazione del responsabile di una confessione acattolica. Suggerendo così che le altre confessioni possano avere voce nel riconoscimento del martirio.
Tanto più che – sottolineano alcuni – il riconoscimento ecclesiale ha il peso dell’infallibilità. «L’ecumenismo dei martiri è la sfida più centrale dell’ecumenismo» ha detto il card. Kurt Koch del dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani. E papa Francesco, a proposito dei martiri di Lubecca, vittime del nazismo ha riaffermato: «Se i dittatori riuniscono noi cristiani nella morte, come possiamo noi giungere e separarci nella vita?».
Lo stato islamico fece prigionieri in Libia 21 operai edili cristiani, li fece sfilare ammanettati sulla spiaggia indossando tute arancioni. Furono decapitati e i loro corpi vennero recuperati nel 2017 dopo la rivelazione di uno dei responsabili del massacro. Immediatamente onorati dal popolo sono oggi conservati nella cattedrale di san Marco al Cairo.
La ventunesima vittima, probabilmente provenienti dal Ghana, non era cristiano. Per la realtà di grazia propria del martirio, la morte è equiparata al battesimo, il “battesimo di sangue”.
Martirio: fra identità e comunione
Il martirio è proprio del cristianesimo nel suo insieme. Come scriveva Annalena Tonelli, uccisa in Somalia nel 2003: «La vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’Amore è inutile… che quell’eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario: questo è il mio corpo, fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, se non ti fai pane e non mangi un pane che ti salva, mangi la tua condanna».
Martire non è chi si toglie la vita, ma chi la dona per gli altri perché possano ricevere vita. Subisce il male piuttosto che compierlo. Non si contrappone al nemico ma alimenta il coinvolgimento solidale, assimilandosi al Cristo crocifisso. La sua dimensione etica è evidente, ma è prioritaria la dimensione cristologica. La sua pazienza e mitezza presuppone un cuore pacificato da Cristo che giustifica la perseverante resistenza (cf. Ludovica M. Zanet, Martirio: scandalo, profezia, comunione, Bologna 2017).
Se la tradizione ortodossa insiste sulla manifestazione teofanica e taumaturgica, quella protestante converge su una lettura cristologica.
Benedetto XIV (1740-1758) ha indicato i criteri cattolici: morte violenta, odio contro la fede e testimonianza esplicita. Criteri oggi sottoposti a modifiche per le forme martiriali del ’900. I martiri delle ideologie atee, delle tendenze anticlericali (Messico, Spagna) dell’assolutismo statalista (nazismo), della “sicurezza nazionale” (Sudamerica) spostano l’attenzione verso la solidarietà, la giustizia e l’insieme del vissuto (cf. A. Riccardi, Il secolo del martirio. I cristiani del ’900, Milano 2000).
Persecuzioni: vecchie e nuove
La fede del martire «va ben oltre la semplice convinzione che qualcosa sia vero; è una fede che urge di essere realizzata, non essendo altro che il compimento di una dedizione fatta per amore, alla sequela del Cristo. Rispetto ad una verifica semplicemente noetico-intellettuale della fede, si afferma oggi sempre più l’attenzione all’intera esistenza del martire» (G. Bof in Martirio, Fondazione San Carlo, Modena 2005, p. 118; cf. anche il suo vol. Il martire oggi, Milano 1999).
Le 12.000 storie raccolte a Roma in occasione dell’anno santo del 2000 sono una goccia rispetto alla stima che va dal milione ai tre milioni nell’arco del XX secolo.
Aleksandr Jakovlev, presidente della commissione per la riabilitazione delle vittime del comunismo russo, ha parlato di 200.000 vescovi, preti e diaconi uccisi per la fede.
E, nel primo ventennio del XXI secolo, le vittime martiriali sarebbero circa 10.000 all’anno, mentre i cristiani esposti alla persecuzione raggiungono la cifra di 360 milioni.
Le “nuove” persecuzioni trovano alimento nel fondamentalismo islamico, nell’applicazione della Shariah come legge fondamentale, nelle fedi identitarie, nell’ateismo ideologico, nello sfaldamento dello stato, nella malavita diffusa e organizzata, nell’identitarismo etnico (cf. qui su Settimana News).
Dono della vita
L’ampliamento della riflessione martiriale è visibile nella quarta via per la proclamazione della santità cristiana per quanti hanno offerto eroicamente la propria vita per il prossimo, accettando liberamente e volontariamente una morte certa e prematura. È previsto dal motu proprio Maiorem hac dilectionem dell’11 giugno 2017.
Le tre vie precedentemente percorse erano: il martirio, l’esercizio delle virtù eroiche, la canonizzazione detta “equipollente”, cioè un culto attestato e riconosciuto nel tempo. Il romano pontefice può ritenerlo testimonianza di santità anche senza il miracolo richiesto.
Con i nuovi criteri sono entrate nel santorale figure come le sei suore italiane che, nel 1995, accettarono consapevolmente di restare nel loro servizio di infermiere a Kikwit (Congo) anche in presenza dell’epidemia ebola. È possibile che alcune persone, morte per un servizio generoso durante la pandemia Covit possano avere il medesimo riconoscimento.
È una santità di comunione, una testimonianza di condivisione già celebrata nell’esortazione apostolica di Francesco, Gaudete et exsultate (19 marzo 2018): «La santità è il volto più bello della Chiesa. Ma anche fuori della Chiesa cattolica e in ambiti molto differenti, lo Spirito suscita segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepoli di Cristo».