Mediterraneo convivialità delle differenze

di:
«Il genere umano, Signore,

è chiamato a vivere sulla terra

ciò che le tre Persone divine

vivono nel cielo:

la convivialità delle differenze.

Nel cielo, più persone

mettono tutto in comunione

sul tavolo della stessa divinità,

così che fra loro rimane intrasferibile

solo l’identikit personale di ciascuno,

che è rispettivamente

l’essere Padre, l’essere Figlio,

l’essere Spirito Santo.

Sulla terra, gli uomini sono chiamati

a vivere secondo questo archetipo trinitario:

a mettere, cioè, tutto in comunione

sul tavolo della stessa umanità,

trattenendo per sé solo ciò che fa parte

del proprio identikit personale.

Ecco, cos’è la pace, Signore:

la convivialità delle differenze!». […]

«La pace è convivialità.

È mangiare il pane

insieme con gli altri, senza separarsi.

E l’altro è un volto da scoprire, da contemplare,

da togliere dalle nebbie dell’omologazione,

dell’appiattimento.

Un volto da contemplare,

da guardare e da accarezzare.

e la carezza è un dono.

La carezza non è mai

un prendere per portare a sé, è sempre un dare.

E la pace cos’è?

È convivialità delle differenze.

È mettersi a sedere alla stessa tavola

fra persone diverse,

che noi siamo chiamati a servire» (don Tonino Bello).

 

L’evento ecclesiale straordinario e inedito che la Conferenza episcopale italiana ha promosso a Bari in questi giorni (19-23 febbraio) intitolato «Mediterraneo, frontiera di pace» mi spinge a fare alcune considerazioni che mi piace riassumere in quattro tessere di mosaico utili a comporre l’immagine della convivialità delle differenze, cifra simbolica della realtà del Mediterraneo, espressione geografica a intensissima dinamica storica: complessità, identità, movimento, profezia.

Mediterraneo: “irriducibile complessità”

Complessità anzitutto nelle molteplici definizioni di questo universo composito che non si presta a descrizioni puntuali, nemmeno dal punto di vista fisico o geografico, data la diversificazione dell’area, i contrasti tra i suoi elementi costitutivi (mare e montagna, deserto…), la sua multiformità biologica.

Il Mediterraneo è un mare dall’“irriducibile complessità”, come lo ha definito Andrea Riccardi[1], che ha visto una storia segnata da conflitti ma che, allo stesso tempo, ha una vocazione altissima: un mare che unisce e non divide.

Ma la complessità dipende soprattutto da un processo storico fatto di stratificazioni progressive di culture, di popoli, di etnie, di “piccole patrie” che esprimono oltre 200 idiomi. È un «mosaico di tutti i colori» difficile da ricomporre o da catalogare nelle diverse componenti e nelle loro interazioni. È una pluralità di universi. Basti pensare al suo essere cerniera di tre continenti (Asia, Africa ed Europa) e alla coesistenza delle tre grandi religioni monoteiste, in un’area dove si è espresso anche «lo spirito laico più precoce della storia umana». Le due culture, occidentale e orientale, che rappresentano il patrimonio genetico dell’uomo mediterraneo, lo attestano. Siamo Ulisse e Abramo insieme. La presenza di culture diverse e l’attitudine alla loro convivenza nello scambio continuo, ma anche nel contrasto, è la ricchezza dell’area e ne determina la vitalità. Quando o laddove non vi è tragica opposizione tra culture eterogenee, vi è possibilità di sintesi, coabitazione di tradizioni diverse, contaminazioni positive, tolleranza per il diverso.

Le sfide

La dominanza del mondo Nord-occidentale non sembra però tener conto della complessità del Mediterraneo ridotto a periferia subalterna, rimuovendo la centralità culturale che il “Mare Nostrum” ha avuto nella storia europea e occidentale. Quest’area viene connotata per i suoi problemi e temuta per i suoi conflitti più che per le grandi potenzialità, le opportunità che offre e le risorse di cui dispone. Ciò ha effetti tangibili sull’attuale difficile ricomposizione dell’identità del Mediterraneo pur con i suoi 10 mila anni di storia.

Le sue sfide sono enormi: le migrazioni, il terrorismo, la disuguaglianza economica e climatica, gli equilibri delle influenze, i conflitti armati dei quali tutti siamo a conoscenza.

Il Mediterraneo «oggi ci pone una serie di questioni, spesso drammatiche: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra?». Che fare? Come rispondere?

Non possiamo non notare come “in uno spazio geografico relativamente piccolo abbiamo assistito, e assistiamo ancor oggi in pieno ventunesimo secolo, alla lezione di una marcata accentuazione delle identità/alterità delle genti che vi abitano, frutto di una fitta dinamica di interazione fra di esse; dinamica che non è rimasta, certo, al riparo da degenerazioni, come lotte, odio, contrapposizioni di convenienza”[2].

Mediterraneo: intreccio di identità

In che misura si può parlare di una identità del Mediterraneo? Dalla disamina emerge una identità plurale, e pertanto intesa come prodotto mai finito di un dialogo e di un intreccio tra diverse espressioni culturali. Viene così rimarcato il suo carattere cosmopolita e il suo universalismo che può essere considerato come il più prezioso degli “ideali del Mediterraneo”. Tale identità non è statica perché il Mediterraneo cambia.

Il Mediterraneo, infatti – come dicevamo –, è un mare che bagna tre continenti: l’Europa, l’Africa settentrionale e l’Asia occidentale, ma non è chiuso in se stesso perché rimane aperto all’oceano Atlantico. Racchiuso tra le terre, e spalancato oltre le sue terre, il Mediterraneo diventa simbolo e prototipo di altri mari che hanno caratteristiche analoghe, ossia quella di essere circondati da più continenti o subcontinenti, anch’essi detti mediterranei: il Mediterraneo Australasiatico, il Mar Glaciale Artico, il Mediterraneo Americano. Molteplici sono i nomi con i quali il Mediterraneo è stato riconosciuto lungo la storia; nomi che, in modo differente, richiamano il significato di “mare in mezzo alle terre”.

I romani lo ritenevano “Mare Nostrum”, mare al centro del mondo allora conosciuto, al cui interno vivevano diverse popolazioni, inglobate nella cultura greco‐romana, costituendo un crocevia di traffici commerciali, da una provincia all’altra, indispensabili per fare grande Roma, la città eterna. “Mar Bianco di Mezzo”, secondo la denominazione araba. Il termine richiama il riferimento specifico a mettere in contatto le persone e a costruire una convivenza di diverse civiltà, tra conflitti e incontri, all’interno di un unico luogo, quasi un’arena nella quale i differenti attori sociali si incontrano e si scontrano in un medesimo luogo.

Tesoro fragile

In quasi tutte le lingue moderne vi è una ripresa del senso originario di “mare medio, mare in mezzo alle terre: l’inglese Mediterranean Sea, il tedesco Mittelmeer, l’ebraico Hayam Hatikhon, il berbero Ilel Agrakal, l’albanese Deti Mesdhe. Comparando i diversi termini con i quali si nomina questo bacino, emerge che l’elemento centrale è quello di essere al centro delle terre e di conseguenza di non essere un luogo di confine e di separazione, ma di connessione e di condivisione.

“Il Mediterraneo è culla di civiltà. Ma è un tesoro fragile, la cui ricchezza, per essere protetta e messa in valore, va vista nel profondo”[3].

Il Mediterraneo è un mare fatto di fratture che congiungono mentre dividono, come le giunture. Va da Djerba a Beirut, da Genova a Barcellona, da Marsiglia al Pireo includendo quattro «stretti», quello di Messina, centrale, quello di Gibilterra a ovest e poi il Bosforo che unisce il Mar Nero al Mare di Marmara e che, con lo stretto dei Dardanelli, segna il confine meridionale tra il continente europeo e il continente asiatico. E un canale, quello di Suez che unisce e divide Africa ed Asia. Il Mediterraneo è un paradosso geopolitico: è una regione molto frammentata e molto interconnessa.

Il Mediterraneo scrive Fernand Braudel è «mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, […] tutto questo perché il Mediterraneo è un crocevia antichissimo: da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia. […] il Mediterraneo crocevia eteroclito si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale».

Il Mediterraneo, infatti, «è stato ed è capace di generare valori, simboli, colori, sapori, architetture, linguaggi e sensibilità insospettabilmente simpatetiche e armoniche, pur nella differenza delle storie e nonostante la presenza dei conflitti: dalla Spagna alla Grecia, dal Marocco al Libano, da Malta all’Albania».

Il Mediterraneo rappresenta la culla di una civiltà in cui il cristianesimo è senza dubbio tra i soci fondatori. Per questo motivo, come Chiese del Mediterraneo abbiamo il dovere morale di impegnarci per promuovere luoghi di incontro e di pace facendoci promotori del dialogo religioso e culturale. La Chiesa mediterranea rappresenta il cuore pulsante della storia primigenia del cristianesimo.

Mediterraneo: movimento di uomini e donne in cammino

Il futuro si costruisce con i piedi per mostrarsi nei volti. Il Mediterraneo è movimento di piedi, di uomini e donne in cammino. La sua storia è fortemente connotata da processi migratori, da invasioni, da conquiste, da arrivi e partenze dall’«inquieta mobilità dei geni» (Cassano).

Il suo mito-icona è Ulisse/Odisseo navigatore che unisce al desiderio della scoperta attraverso l’esplorazione avventurosa il bisogno di un sicuro approdo terrestre. L’identità dell’uomo mediterraneo risiede nell’equilibrio tra la duplice tensione: superare i confini e scavalcare l’orizzonte (exodos) per il gusto della conoscenza e il richiamo dell’appartenenza, del sito domestico (nostos).

Più che limes, Il Mediterraneo dovrebbe essere pensato come limen. Il termine limes, nel suo significato originario, ha un’accezione militare con il significato di chiusura, di limite da non superare; limes indica spazio fortificato e difeso rispetto a un mondo altro, considerato estraneo e ostile.

Il termine limen, invece, pur significando anche confine, frontiera, propriamente sta ad indicare la soglia e, in senso figurato, l’inizio, il principio, la soglia, che consente il passaggio, e dunque può essere condizione di rapporto, incontro, condivisione. Esclusivo, il limes, inclusivo il limen.

Soglia

Questo limen costituisce la nostra identità. Siamo Europei del Mediterraneo, mentre coloro che sono dall’altra parte del mare sono i popoli Mediorientali del Mediterraneo e Africani del Mediterraneo. In questo senso, il Mediterraneo è un vero “mare nostrum”. Appartiene a tutti e tutti ne fanno parte. Nessuno è escluso e nessuno se ne può appropriare in senso privilegiato e selettivo. Anche lo straniero è bene accolto.

Bisogna evitare che il Mediterraneo, come affermava don Tonino Bello, diventi “un nuovo invisibile muro, che curva la nostra regione come un arco di guerra puntato dal Nord verso il Sud del mondo. Il radicalmente altro che è il musulmano, il radicalmente impoverito che è l’Africano”[4].

“Se, dunque, le tensioni e insieme gli abbracci non hanno mai cancellato il senso di appartenenza reciproca che i popoli del Mediterraneo avvertono in sé, né hanno bloccato gli scambi di persone, merci, arti, possiamo intendere in un’ottica cristiana che la marcata interazione tra le genti del Mare Nostrum abbia esaltato la formazione di forti identità e insieme accentuato la tensione costitutiva della dinamica di ogni alterità, cioè l’unità nella distinzione che significa fraternità e pace. Per tal ragione si è acuita quell’apertura/desiderio al compimento di questa tensione nella sinfonica unità che le religioni rivelate annunciano e verso cui invitano. Ciò implica che in questo bacino possa esser richiesto un maggior coraggio al processo del perdono e della riconciliazione, alla corresponsabilità e alla fraternità”[5].

Mediterraneo: spazio di profezia

La convivialità delle differenze si nutre di profezia. Il “mare nostrum” ha insegnato la cultura del “noi” e non quella dell’“io”. Ha educato a guardare con i propri occhi e con quelli dell’altro: occhi plurali per scorgere differenti prospettive, considerandole tutte possibili e tutte utili, pur rimanendo sempre in stretta sintonia con l’unico luogo che tutti accomuna. In quanto limen, il Mediterraneo è finestra che consente di guardare oltre il limite e di conoscere ciò che è dall’altra parte.

Questo mare ha insegnato ad affacciarsi alla finestra per vedere e ammirare ciò che è oltre la propria casa. Ha sempre evitato di considerarsi fortezza invalicabile, muro che divide, cimitero che semina morte, tomba che tutto nasconde nella sua tenebrosa oscurità. Ha invitato a spingersi oltre, piuttosto che rintanarsi nel proprio spazio vitale, a immaginare mondi più in là dei propri limiti, a intraprendere viaggi, a compiere traversate senza dimenticare il punto di partenza; avventurandosi da un porto all’altro, da una città all’altra attraverso quelle strade marine, segnate da rotte tradizionali, percorse da secoli e ancora crocevia di nuove diramazioni.

Il Mediterraneo è luogo dove sono sedimentati, nella profondità del suo abisso, schegge di vita, residui di civiltà sepolte, memorie di bellezza antica e sempre nuova. Un mare, il Mediterraneo che assomiglia a una tavola dove i commensali sono tutti coloro che appartengono alle terre che lo circondano. Dove c’è sempre posto anche per l’estraneo e lo straniero, per colui che non appartiene al proprio territorio, ma è sempre accolto non come forestiero e sconosciuto, ma un ospite gradito perché segno di un dono e di una benedizione.

Nel solco di La Pira

Questa era l’identità del Mediterraneo nel passato, questa rimane la sua specificità nel presente e nel futuro. “Noi pensiamo – scrive Giorgio la Pira – che il Mediterraneo resta ciò che fu: una sorgente inestinguibile di creatività, un focolare vivente e universale dove gli uomini possono ricevere le luci della conoscenza, la grazia della bellezza e il calore della fraternità”.

La Pira riteneva che la Provvidenza avesse assegnato una missione storica ai popoli e alle nazioni che vivono sulle rive di questo “misterioso lago di Tiberiade allargato che è il Mediterraneo”.

Questa vocazione e missione storica comune consiste nel fatto che i popoli e le nazioni del Mediterraneo sono portatori di una civiltà fondata sull’universalità dei suoi valori essenziali, tali da costituire un messaggio di verità, di ordine e di bene, valido per tutti i tempi, per tutti i popoli e per tutte le nazioni.

A fondamento di questi valori, egli riconosceva tre componenti:

  • la dimensione religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo, patriarca dei credenti, la comune radice soprannaturale. In questo senso, il tempio, la cattedrale e la moschea costituiscono precisamente l’asse attorno al quale si costruiscono i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l’intero spazio del Mediterraneo;
  • la dimensione metafisica elaborata dai greci e dagli arabi;
  • la dimensione giuridica e politica elaborata dai romani.

Tre componenti che si sono fuse nell’unica cultura occidentale, con il compito storico di integrare e ordinare in sé elementi economici, sociali, religiosi, culturali e politici. E finalmente costruire la pace: «La pace, l’amicizia, la solidarietà reciproche fra questi popoli e queste nazioni. La pace, l’amicizia e la solidarietà fra Israele e Ismaele; la pace, l’amicizia e la solidarietà fra i popoli prima colonizzati e quelli prima colonizzatori; la pace, l’amicizia e la solidarietà fra tutte le nazioni cristiane, arabe e la nazione di Israele. Questa pace del Mediterraneo sarà inoltre come l’inizio e il fondamento della pace fra tutte le nazioni del mondo».

Il prossimo e il suo volto

Il Mediterraneo è allora luogo simbolo di profezia. Volti differenti, storie differenti, culture differenti, tradizioni religiose differenti capaci di parlare lo stesso linguaggio di un’umanità che sa incontrarsi e riconoscersi. È un pugno nello stomaco e insieme una freccia scoccata nel futuro. È un pugno nello stomaco nell’era delle tecnologie cosiddette “social”. Tutti connessi, ma difficilmente con il volto del prossimo.

È un pugno nello stomaco all’epoca dell’ecologia integrale, dove il grido della terra è anche il grido dei poveri. I rifiuti ambientali si mescolano facilmente con gli scarti umani, i dimenticati dal benessere “a pancia piena e cuore chiuso”. È però una freccia scoccata nel futuro all’epoca delle migrazioni. La contaminazione è il modo con cui ritrovarsi. Riscoprire la propria storia. L’incontro potrebbe offrire motivi per radicarsi, per non fuggire, per sognare un avvenire qui e non altrove.

Il Mediterraneo è un tavolo naturale a cui i popoli possono sedersi con pari dignità. Il Mediterraneo è uno spazio di dialogo fecondo per l’incontro tra Civiltà. Il Mediterraneo ha un codice culturale proprio e rappresenta un’alternativa per la costruzione della pace e la diffusione dei diritti umani nel mondo.

La lezione storica del Mediterraneo ci narra di una dialettica costante tra i popoli fatta di traduzioni, scambi, prestiti culturali; ci narra di una modalità comunitaria che non necessariamente deve bruciare le proprie radici quando incontra l’Altro, ma che invece sa rinnovarsi nel confronto-incontro con l’Altro.

L’Intercultura deve essere lo strumento di lavoro precipuo e la convergenza delle Civiltà la nostra speranza e progetto. Bisogna essere animati dalla convinzione che, attraverso l’ascolto delle ragioni dell’altro, si sveli un terreno comune e fecondo, per innescare quel processo di ricerca della convivenza pacifica tra i popoli e del rispetto delle culture dell’uomo.

Mare nostrum

Joseph Joblin in un suo articolo del 2012 su La Civiltà Cattolica concludeva così: «I popoli della regione mediterranea devono vincere la diffidenza esistente tra loro, abituati come sono a insistere più sulla loro singolarità politica, economica, culturale, sociale e religiosa, che non sul loro dovere di riavvicinarsi. A tal fine, è necessario risvegliare negli uni e negli altri la convinzione che soltanto la ricerca di una fraternità universale costruisce la pace».

Il Mediterraneo può essere così davvero il «mare nostro», poiché di tutti. Ce lo ha detto il santo padre Francesco: questo mare può essere “una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente”[6].

“In particolar modo, come cristiani che abitano con fiducia i cammini ecumenici siamo chiamati a contribuire a costruire l’unità nelle differenze e ad essere un vaccino contro ogni tentazione di scontro di civiltà o di utilizzo ideologico dell’identità religiosa per dividere o alzare muri”[7].

Si tratta di elaborare una cultura del dialogo e dell’accoglienza che si può tradurre in alcune domande che lo stesso papa Francesco ci aiuta a formulare: “Come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché muri di separazione? Queste e altre questioni chiedono di essere interpretate a più livelli, e domandano un impegno generoso di ascolto, di studio e di confronto per promuovere processi di liberazione, di pace, di fratellanza e di giustizia”[8].

La cultura del dialogo e dell’accoglienza “nel contesto mediterraneo appare ai nostri occhi non solo un impegno dettato dalle urgenze del momento, ma un lascito delle origini stesse della vicenda cristiana. Il Vangelo non sarebbe giunto a noi senza la purezza del cuore (certo sempre difficile da custodire) dei primi discepoli e la loro capacità di scorgere oltre i confini di Israele l’azione dello Spirito Santo (At 10,1-48), e senza il coraggio di riconoscere che in Cristo sono stati abbattuti i muri di divisione (Ef 2,11-19)”[9].

“La storia del cristianesimo inoltre ci dice che, quando una sola cultura ha preteso di esprimere il mistero cristiano, la Chiesa si è fatalmente divisa e la sua tensione missionaria si è offuscata, se non è addirittura entrata in pericolosa e scandalosa contraddizione col Vangelo stesso. I cristiani mediterranei sono sempre stati caratterizzati e diversificati dall’appartenenza a culture profondamente diverse: pensiamo al giudeo-cristianesimo, agli elleno-cristiani, alla scuola di Antiochia e a quella di Alessandria, e potremmo proseguire lungo i secoli. Dobbiamo riconoscere che, quando i cristiani mediterranei hanno assolutizzato la propria cultura e non sono stati capaci di trascenderla attraverso il dialogo e l’accoglienza delle diversità, essi hanno costruito coscienze ecclesiali autoreferenziali e prodotto le divisioni”[10].

Pertanto, “le Chiese del Mediterraneo siano chiamate a muoversi e ad agire in «spazi profetici» concentrici e interconnessi: lo spazio della comunione delle Chiese cattoliche locali (ricche di tradizioni plurali), lo spazio del cammino ecumenico e lo spazio del dialogo interreligioso. Si tratta di spazi che – dopo essere stati chiusi, o quasi, per secoli – si sono aperti nell’ultimo secolo e in specie col concilio ecumenico Vaticano II”[11].

Di qui un criterio che discende dal cuore stesso della nostra fede e che la mediterraneità compresa alla luce del Vangelo invita a praticare: «Rovesciare le crociate» secondo la bella espressione di Giorgio La Pira[12], il che vuol dire abbandonarne per sempre la logica. Crocevia di popoli, di culture e di religioni, il Mediterraneo da sempre attesta l’interdipendenza dei popoli come un dato di realtà di cui prendere coscienza.

Le culture che si sono sviluppate sulle sue sponde sono il frutto di contaminazioni feconde maturate persino negli scontri e nei conflitti che l’hanno attraversato. Il Mediterraneo è il mare del meticciato che ci ricorda come non ci sia identità senza l’altro. Per i credenti in Cristo Gesù è tempo di uscire da schemi di contrapposizione e di testimoniare una fede che è di per sé accogliente.

Siamo chiamati ad essere «Chiesa dell’incontro», a «disarmare i cuori» ad abbattere «i muri dell’odio e della discordia», nella consapevolezza della’universale fraternità umana e nel riconoscimento della grande libertà di Dio che agisce anche al di fuori del cristianesimo[13].

Domenico Marrone è docente di Teologia morale fondamentale e teologia morale sociale presso l’Istituto Superiore Metropolitano di Scienze Religiose “S. Sabino” di Bari.


[1] A. Riccardi, Il Mediterraneo del Papa: dialogo, pace, convivenza, in “Il Corriere della Sera” del 23 giugno 2019.

[2] A. Raspanti, Alla ricerca della vocazione mediterranea, Bari, 19 febbraio 2020.

[3] G. Bassetti, Incontro agli uomini: il futuro del Mediterraneo. Prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico 2019/2020 dell’Istituto Teologico “San Tommaso” – Messina, 13 dicembre 2019.

[4] Bello A., La speranza a caro prezzo, in Id., Scritti vari. Interviste. Aggiunte, Archivio Diocesano, Mezzina, Molfetta 2007, p. 328-329.

[5] A. Raspanti, Alla ricerca della vocazione mediterranea, Bari, 19 febbraio 2020.

[6] Francesco, Discorso nel piazzale antistante il cimitero di Alessano, 20 aprile 2018.

[7] G. Bassetti, Senza pace nel Mediterraneo non ci potrà essere un’Europa stabilmente in pace. Prolusione al Convegno “il Mediterraneo frontiera di pace” (Campobasso, 8 gennaio 2020).

[8] Francesco, Discorso al convegno «La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo», Napoli, 21 giugno 2019

[9] G. Bassetti, Incontro agli uomini: il futuro del Mediterraneo. Prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico 2019/2020 dell’Istituto Teologico “San Tommaso” – Messina, 13 dicembre 2019

[10] G. Bassetti, Incontro agli uomini: il futuro del Mediterraneo. Prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico 2019/2020 dell’Istituto Teologico “San Tommaso” – Messina, 13 dicembre 2019

[11] G. Bassetti, Incontro agli uomini: il futuro del Mediterraneo. Prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico 2019/2020 dell’Istituto Teologico “San Tommaso” – Messina, 13 dicembre 2019

[12] Cfr. F. Mandreoli – M. Giovannoni, Spazio europeo e mediterraneo. Le analisi profetiche di Dossetti e La Pira, Trapani, Il Pozzo di Giacobbe, 2019.

[13] G. De simone, Consegnare la fede alle generazioni future. Sfide e risorse nel contesto del Mediterraneo, Bari 20 febbraio 2020.

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