Medjugorje e dintorni

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madonna

Mamma, perché Dio è maschio? Suona così il titolo di un bel libro di Rita Torti (Effatà Editrice, Cantalupa [TO], 2013) dedicato all’esperienza religiosa dei bambini. È un titolo emblematico, che mette efficacemente in luce gli stereotipi che, spesso senza alcuna consapevolezza da parte nostra, condizionano in modo subdolo e violento il nostro sguardo e le nostre rappresentazioni.

Perché i teologi avranno pure un bel dire – oggi, almeno – che Dio non è né maschio né femmina, né uomo né donna, ma l’immaginario cristiano è stato così a lungo dominato dal vecchio con la barba bianca di cui ha cantato perfino Francesco Guccini, che liberarsene risulta un’impresa davvero titanica. Non vorrei qui divagare con note che appesantiscono il discorso, ma la Genesi di Guccini data a più di cinquant’anni fa, e allora tanto vale, forse, citarne almeno i primi versi:

Per capire la nostra storia
bisogna farsi ad un tempo remoto:
c’era un vecchio con la barba bianca,
lui, la sua barba, ed il resto era vuoto.

Per secoli l’impalcatura istituzionale della Chiesa si è saldata alla rappresentazione di un divino declinato esclusivamente al maschile. Da qualche decennio a questa parte la riflessione sul fatto che Dio non ha sesso ha cominciato, però, a circolare anche in ambiente cattolico, tanto che una trentina d’anni fa il Catechismo della Chiesa cattolica (Parte prima, Sezione seconda, n. 239) ha messo ben bene, nero su bianco, il concetto:

Chiamando Dio con il nome di «Padre», il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: che Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e che, al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura. (…) Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio.

Qui, però, ci son da fare i conti con un problema non di poco peso. Perché hai un bel provare a non pensare Dio come maschio, se poi per parlarne usi un sostantivo, degli attributi e dei pronomi tutti di genere maschile, se per dire che Dio non è né maschio né femmina, né uomo né donna, devi dire – per forza di cose, visto che la nostra lingua altre strade non riesce a trovarle – egli è Dio.

Ragioni grammaticali e ragioni teologiche

La grammatica non è cosa da sottovalutare, nemmeno nelle questioni teologiche. Perfino il papa si è servito delle ragioni grammaticali per spiegarci che la Chiesa è donna. Era il 12 ottobre 2013 quando, in occasione di un discorso tenuto per il XXV della Mulieris dignitatem, con quel suo linguaggio diretto che abbiamo imparato a conoscere, papa Francesco se ne uscì con una eloquente sottolineatura: «A me piace pensare che la Chiesa non è il Chiesa, è la Chiesa: la Chiesa è donna, è madre».[1]

Se un elemento grammaticale così minuto come l’articolo femminile «la» può farsi supporto incontrovertibile per validare l’immagine della Chiesa come donna e madre, possiamo ben capire quale forza suggestionante venga ad avere il sostantivo maschile «dio» per avvalorare e confermare l’immagine di un Dio uomo-maschio-padre. In barba a tutte le più recenti affermazioni del Catechismo, a noi piace o, quanto meno, ci siamo abituati (e abituate) a pensare a Dio come inevitabilmente e naturalmente maschio. La grammatica ha delle ragioni, che la teologia non ha. Il Dio che si è accampato trionfante per secoli nell’immaginario cristiano è, dunque, un Dio Maschio e Onnipotente, pronto più spesso alla punizione e al castigo dei nostri peccati che al loro perdono. Un Dio vendicatore e vendicativo, in nome del quale si sono combattute innumerevoli e mai finite guerre, di pensiero e di sangue, a suon di scomuniche e violenza militare. Un Dio di cui non si può che avere paura.

Ma, per fortuna o per miracolo, la fede ha sempre trovato altri modi per aprirsi a presenze molto più rassicuranti.

Quante Madonne

Quante Madonne ci sono nel mondo? Quante le apparizioni, quanti i luoghi di culto consacrati a Maria?

Basta muoversi nelle piccole geografie a noi familiari, per ritrovare tutto un universo di apparizioni mariane che hanno accompagnato lungo i secoli la storia del sentimento religioso popolare. Un sensus fidei che ha sempre cercato Dio non nel braccio potente, pronto a sterminare i nemici della vera fede e a mandare all’Inferno i peccatori, ma nel cuore, nella parola e nel volto di sua madre.

Commuove pensare al legame profondo che la religiosità popolare ha sempre sentito trascorrere tra Maria, madre di Dio, e la natura, madre e sorgente di vita per tutto il creato. I racconti delle apparizioni si dipanano sullo sfondo di elementi della natura come alberi, fonti, grotte, montagne, e i santuari dedicati a Maria dialogano con paesaggi naturali che sono un inno stupendo alla bellezza del mondo.

Santuari mariani sorgono nei luoghi più impervi – Nostra Signora della Guardia, Santa Maria del Monte, la Madonna del Sasso –, e accanto all’acqua di fonti e sorgenti, acqua che risana, purifica, guarisce, acqua matrice primigenia – la Madonna delle Fontanelle e la Madonna dell’Acqua, Santa Maria del Fonte e la Madonna del Bagno.

Non si contano i santuari mariani legati ad apparizioni sugli alberi o nella vicinanza di alberi – gli alberi in cui scorre la viriditas cantata da Ildegarda[2]: Maria è la Madonna del Frassino, la Madonna della Noce, la Madonna della Castagna, del Tiglio, dell’Olmo, del Pino, della Rovere, delle Vigne e della Palma.

La teologia femminista si è dedicata con impegno a riportare alla luce le qualità materne di Dio, troppo spesso dimenticate nella storia della Chiesa. Nel capitolo 34 di Esodo, Dio proclama a Mosè il proprio nome: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà». Sappiamo che la parola «compassione», in ebraico, viene espressa attraverso il plurale del sostantivo réhèm, grembo materno: il nostro Dio è un Dio di misericordia, dal grembo materno, capace di compassione e pietà.

Ma, prima ancora che teologhe e teologi lo riportassero alla luce, prima che ne parlasse papa Luciani («Dio è papà, più ancora è madre»), quel volto materno di Dio la devozione popolare l’ha sempre cercato – e l’ha sempre trovato – in Maria.

Maria è il grembo misericordioso che accoglie e custodisce, che si commuove e piange per i peccatori e ne invoca la salvezza anziché la punizione, che prende su di sé le sofferenze dei suoi figli – è la Madonna che appare nelle grotte, potente simbolo uterino, e invocata nei Santuari dell’Addolorata, della Madonna delle Lacrime e del Pianto.

Medjugorje

E veniamo dunque a Medjugorje. Vista la lunga premessa, penso che il mio punto prospettico sia abbastanza chiaro. Lo sintetizzo in modo banale: il femminile buttato dalla porta è rientrato dalla finestra.

Ma, attenzione: non il femminile da sempre tollerato e irreggimentato nelle sacrestie e nei conventi – quello che sa starsene un passo indietro, defilato e silente, accomodante e paziente, passività irrinunciabile e necessaria perché vengano meglio esaltate le virtù del maschio di turno. No, no, il femminile rientrato nella Chiesa dalla finestra delle apparizioni mariane è un femminile attivo, intraprendente, autorevole, un femminile che opera, agisce, e si permette perfino di parlare.

Sarà apparsa davvero Maria, a Medjugorje, non sarà apparsa, avrà parlato, non avrà parlato, appare, non appare. Io non lo so. Certo è che la vicenda delle apparizioni mariane, Medjugorje compresa, ci dice che la Regina della Pace è molto più vicina al cuore delle persone di un Dio Padre Onnipotente nel cui nome troppe guerre continuano a essere benedette.

Quanto ai frutti, se abbiano o non abbiano radice – anche questo io non lo so dire. Mi vengono in mente, però, le sagge parole, non prive di ironia, con cui Boccaccio suggella la prima novella del Decamerone, dedicata a Ser Ciappelletto, «il piggiore uomo forse che mai nascesse».

Dopo una vita impregnata di malvagità e scelleratezze, Ser Ciappelletto da Prato non si esime dal peccare perfino in punto di morte: la sua confessione è un intreccio di bugie così inverosimili e spudorate, che il frate che lo confessa finisce col credere di trovarsi davanti ad un vero santo e ne celebra funerali solenni. Sulla tomba di Ciappelletto accorrono a frotte genti da ogni dove. È una straordinaria fioritura di devozione e preghiere: chiunque si trovi in difficoltà si raccomanda devotamente al notaio di Prato chiamandolo santo, mentre si diffonde la voce che Dio compie miracoli grazie alla sua intercessione.

E dunque Boccaccio, che pure da parte sua ritiene che ser Ciappelletto si trovi nelle mani del diavolo in perdizione, piuttosto che santo in paradiso, afferma che proprio da ciò si può capire quanto sia grande la bontà di Dio verso di noi. Perché la bontà di Dio guarda non al nostro errore, ma alla purità della fede, ed esaudisce le nostre preghiere sia che ricorriamo ad uno veramente santo per mezzano – cioè come intermediario – della sua grazia, sia che lo invochiamo chiedendo l’intercessione di un suo nemico, amico credendolo.


[1] https://www.youtube.com/watch?v=wHaM2j5_3SI

[2] https://www.settimananews.it/profili/ildegarda-nel-cuore-della-viriditas/

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4 Commenti

  1. Stefano Fanelli 26 settembre 2024
  2. Giuseppe Reviglio Veneria 26 settembre 2024
  3. Roberto Beretta 26 settembre 2024
  4. Laura 26 settembre 2024

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