Già nel lontano 1943, il libro di Godin e Daniel La Francia, paese di missione prendeva coscienza del calo delle vocazioni e dei preti. Da allora, un proliferare di libri sull’argomento; si sono condotte indagini e si sono tenuti congressi e assemblee plenarie dell’episcopato per ricercarne le cause e proporre piani strategici.
Nel 1968, l’anno della contestazione studentesca, Jacques Duquesne, scrittore e giornalista cattolico di prestigio, poneva al grande pubblico un interrogativo inquietante. “Domani, una Chiesa senza preti?”.
Il coraggioso vescovo di Orléans, mons. Guy-Marie Riobé, su Le Monde scriveva: «Per vivere, le comunità cristiane hanno bisogno di preti. Le comunità hanno diritto di dire la loro parola nell’elezione dei loro ministri. Spesso ci sono al loro interno uomini disposti a porsi al servizio dei loro fratelli, a ricevere una formazione, ad assumere un ministero. Perché rifiutare di ordinare sacerdoti laici sposati se non perché c’è il blocco del celibato, legato ad un’immagine inammissibile della sessualità?».
Il vescovo chiedeva di riaprire la questione, che sembrava affossata dalla pubblicazione di un documento vaticano sul valore del celibato. La Santa Sede richiamò Riobé con una certa asprezza, ma la situazione si faceva sempre più drammatica e l’ostinazione di Roma veniva criticata anche da teologi nient’affatto spregiudicati.
La rivista Témoignage Chrétien pubblicò in quel tempo una grande inchiesta realizzata dall’Istituto Francese di Opinione Pubblica sull’immagine del prete. A proposito del celibato, due francesi su tre erano contrari. Il 73% per cento riteneva normale che il prete esercitasse una professione.
Agli inizi degli anni ’80 vi erano in Francia alcuni fenomeni tipici di una cristianità in ribasso: il calo verticale della pratica religiosa, l’invecchiamento del clero, l’abbandono del ministero frequente nella fascia d’età fra i 35 e i 45 anni, il numero ridotto di ingressi in seminario, il declino dell’Azione cattolica e anche la stanchezza della ricerca teologica.
Il 6 dicembre 1983 incontro mons. Jean Vilnet, nuovo presidente della Conferenza episcopale. Studi all’Istituto cattolico di Parigi, alla Sorbona e a Roma. Già rettore del seminario di Chalons-sur-Marne, vescovo di Saint-Dié dal ’64, vice presidente della Conferenza episcopale nel 1978.
Vengono toccati molti problemi. Uno riguarda le «assemblee domenicali senza prete». Chiedo se sono soddisfatti o pensano ad altre soluzioni, a ordinare uomini sposati, ad esempio. La risposta: «Per il momento chiamiamo al sacerdozio i giovani che accettano l’impegno del celibato. I cattolici francesi non sono ancora pronti ad avere come animatori di comunità uomini sposati. Si tratta di tempo e di maturità».
Sono bastate queste poche parole per far arrabbiare Roma. Vilnet fu rimproverato dalla Curia romana. «Non si illuda e non illuda – signor presidente della Conferenza episcopale – gli dissero: il conferimento del sacerdozio a uomini sposati è un’utopia». Ricorsero ad ogni mezzo perché ritrattasse.
Al celebre teologo domenicano Yves Congar, che incontro nel dicembre 1981 nel convento dei domenicani a Rue des Tanneries a Parigi, chiedo la sua opinione sul celibato obbligatorio: «E un problema molto difficile, ma non vedo un’unica soluzione. Ci sono ragioni per un celibato libero e ragioni per un celibato obbligatorio. Vedo che c’è un gran numero di vocazioni al ministero, ma non al celibato e sono spesso vocazioni profonde.
Vedo che, per i giovani, il celibato non è un segno così forte. Lo dicono le statistiche. C’è il problema dei preti sposati. Personalmente sono del parere – l’ho detto e scritto più volte – che è possibile dare il sacerdozio a uomini sposati. Conosco personalmente uno che potrebbe essere un prete molto bravo. A mio avviso, potrebbe essere il cappellano dell’ospedale. Penso che debba essere il Consiglio pastorale a decidere e a giudicare caso per caso. Ho conosciuto e conosco personalmente casi di giovani, che volentieri si farebbero preti se non ci fosse la legge del celibato. Credo veramente che la questione del celibato sia una delle cause della crisi del mistero ordinato.
La teologia stessa del sacerdozio va rivista e rinnovata, non dico rivoluzionata. L’immagine del prete in rapporto verticale a Cristo va ripensata. È vero che il prete ha il potere di consacrare, di rimettere i peccati. Nella teologia, dal Medioevo in poi, il prete è definito unicamente in base al suo rapporto con Cristo. Il prete va oggi considerato partendo dal rapporto orizzontale, dal rapporto con la comunità cristiana. È in funzione della comunità che il prete viene ordinato».
Ricoverato agli “Invalides”, andai a fargli visita. Scherzammo – cosa rarissima – su alcuni personaggi in vista, anche della Curia romana. Gli posi sul capo la nuovissima berretta cardinalizia e si lasciò fotografare. «Sono ridicolo!» e abbozzò un sorriso. Mi augurò buon viaggio. «Alla prossima volta», mi disse accompagnandomi con lo sguardo. Fu l’ultimo toccante incontro perché morì il 22 giugno dello stesso anno (1995).