In un articolo pubblicato nel numero di ottobre della rivista dei gesuiti francesi Etudes, Jean-Louis Schlegel, sociologo delle religioni, cerca le cause del venir meno della pratica domenicale. Secondo lui, alcune recenti evoluzioni liturgiche allontanano i fedeli dalla messa della domenica. Riprendiamo, in nostra traduzione dal francese, un’intervista sul tema pubblicata da La Croix.
Nel suo articolo pubblicato sulla rivista Etudes, lei descrive una «risacralizzazione» della liturgia che porta sempre più cattolici ad abbandonare la pratica domenicale. Sarebbero allora cause interne e non solo le ragioni esterne, come la secolarizzazione o le attività di svago della domenica, che portano all’abbandono della pratica domenicale?
Da diversi anni dei fedeli mi confidano che alla messa «si annoiano». Questo sentimento porta spesso all’abbandono di questo appuntamento essenziale nella vita di un credente. Credo infatti che stiamo assistendo a una sacralizzazione della messa di Paolo VI, che aumenta la distanza tra il celebrante e l’assemblea.
La partecipazione di laici è sempre più ridotta, mentre i gesti e i movimenti sono carichi di solennità e quasi di compunzione. A questa sacralizzazione si aggiunge una riclericalizzazione: il prete gioca un ruolo esclusivo, distante dall’assemblea che non partecipa più ma «assiste» semplicemente alla messa. La celebrazione di fronte al popolo è diventata un face à face! Questo ruolo passivo dei fedeli porta, presto o tardi, all’abbandono.
C’è tuttavia un vero interesse per le celebrazioni nei monasteri. Queste lasciano un po’ di spazio ai fedeli ?
In una abbazia il fedele si unisce alla preghiera di una comunità monastica. Inoltre, la messa dei monaci è generalmente «bella» e questo aiuta a pregare. I monasteri hanno una lunga tradizione liturgica di bellezza, sobrietà, lontana da ogni pietà dimostrativa. Che gli ordini religiosi accolgano i fedeli è buona cosa per la vita interiore dei laici, ma quello che mi preoccupa è la diserzione del territorio parrocchiale e della messa della domenica che deve rivolgersi a tutti e a tutte le sensibilità…
I laici sono comunque sollecitati, ad esempio nel caso dell’animazione dei funerali…
Ciò avviene, a mio avviso, perché i preti non hanno più la possibilità di assicurare questo accompagnamento delle famglie nel lutto, ed esse ne sono dispiaciute. È ancora un effetto della clericalizzazione: il prete sembra più legittimo di un laico. I parrocchiani hanno dovuto accettare i funerali senza prete, quando egli, è presente ovunque nelle celebrazioni domenicali.
Nel 2035, ci saranno ancora preti, anche la domenica? Bisognerebbe riflettere fin da ora: sarebbe drammatico che i cattolici non avessero più accesso al corpo e al sangue di Cristo.
Papa Francesco non sta forse tentando di rispondere a questa sfida, inserendo nel dibattito del Sinodo Panamazzonico l’ordinazione dei viri probati, o ancora nel suo recente motu proprio Aperuit illis che apre ai laici, uomini e donne, il servizio della Parola nella celebrazione dell’Eucaristia?
Sia per i viri probati che per l’ordinazione delle donne è ormai già troppo tardi. Sfortunatamente la Chiesa è troppo spesso paralizzata dal suo passato, e comunque molto lenta a cambiare. Bisognerebbe avere il coraggio di provare altre cose, ma le resistenze sono forti. Quanto al motu proprio, esso riequilibra la messa, insistendo sull’importanza della Parola che è rivolta a tutti. È un modo di rispondere alla ritualizzazione eccessiva dell’Eucaristia: il Vangelo è al centro della celebrazione, e il papa lo ricorda concretamente. Sta ormai alle comunità parrocchiali di mettere in pratica questo invito e forse di ritrovare il cammino dell’incontro domenicale.