Il 14 marzo 1937, quinta domenica di Quaresima, allora chiamata Domenica di Passione, una settimana prima della Domenica delle Palme, fu letta in tutti gli 11.000 pulpiti delle chiese della Germania l’enciclica Mit brennender Sorge (Con viva ansia) di Pio XI, in cui veniva denunciata l’ideologia del nazismo. Sono trascorsi da allora 83 anni.
Un’enciclica “a sorpresa”
Con questa enciclica, l’allora cardinale Segretario di Stato, Eugenio Pacelli, in seguito papa Pio XII, e i vescovi tedeschi vollero deliberatamente uscire allo scoperto rendendo pubblica la loro denuncia contro il nazional-socialismo. In questo modo, il contrasto tra il Vaticano e l’ideologia nazional-socialista della Germania di Hitler raggiunse il punto culminante.
Il rilascio del documento avvenne in totale segretezza, dribblando le onnipresenti spie della Gestapo. Nella notte della domenica di Passione, i cappellani sulle loro motociclette distribuirono questo testo esplosivo in tutto il territorio del Reich.
A Berlino, il vescovo, Konrad von Preysing, moltiplicò egli stesso le copie col ciclostile. Ogni parroco ne ricevette due: una doveva essere messa al sicuro dalle perquisizioni, nascondendola nel tabernacolo della chiesa.
Il testo parlava chiaro: fra il cristianesimo, l’ideologia nazista e la teoria della razza c’era assoluta inconciliabilità. Lo scritto fece infuriare Hitler. La Gestapo fu presa alla sprovvista, tanto più che sapeva bene che non avrebbe potuto affrontare la Chiesa universale.
Dal testo dell’enciclica
Erano trascorsi soltanto quattro anni da quando, nell’estate 1933, su richiesta del governo del Reich, erano stato riprese le trattative per il Concordato, in base a un progetto elaborato già anni prima, giungendo a un accordo che era riuscito di generale soddisfazione.
«Fummo mossi – scrive l’enciclica – dalla doverosa sollecitudine di tutelare la libertà della missione salvifica della Chiesa e, in pari tempo, dal sincero desiderio di rendere un servizio di interesse capitale al pacifico sviluppo e al benessere del popolo tedesco… Volevamo risparmiare ai nostri fedeli, ai nostri figli e alle nostra figlie della Germania, secondo le nostre possibilità, le tensioni e le tribolazioni che, in caso contrario, si sarebbero dovute con certezza aspettare, date le condizioni dei tempi… Ciascuna delle nostre parole e delle nostre azioni ebbe per norma la fedeltà degli accordi sanciti. Ma dovrà anche riconoscere, con stupore e con intima repulsa, come dall’altra parte si sia eretto a norma ordinaria lo svisare arbitrariamente i patti, l’eluderli, lo svuotarli e, alla fine, il violarli più o meno apertamente».
Rivolgendosi poi ai vescovi e ai fedeli, l’enciclica afferma che la Chiesa e i fedeli «sono provati, come vero oro, nel fuoco della tribolazione e della persecuzione, insidiosa o aperta, ed essi sono accerchiati da mille forme di organizzata compressione della libertà religiosa, in cui l’impossibilità di aver informazioni, conformi a verità e di difendersi con mezzi normali molto li opprime».
Spiega che «chi con indeterminatezza panteistica identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri credenti. Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza, la quale “con forza e dolcezza domina da un’estremità all’altra del mondo” e tutto dirige a buon fine. Un simile uomo non può pretendere di essere annoverato fra i veri credenti».
Il card. Faulhaber e il vescovo Sproll
Il testo prosegue: «Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, creatore del mondo, re e legislatore dei popoli, davanti alla cui grandezza le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua». Questo atteggiamento è definito un «provocante neopaganesimo, appoggiato purtroppo, spesso da personalità influenti… e migliaia di penne scrivono a servizio di una larva di cristianesimo, che non è il cristianesimo di Cristo».
«Perciò – sottolinea l’enciclica – non ci stancheremo neanche nell’avvenire di rinfacciare francamente alle autorità responsabili l’illegalità delle misure violente prese finora, e il dovere di permettere la libera manifestazione della volontà». E conclude: «Non volevamo con silenzio inopportuno essere colpevoli di non aver chiarito la situazione, né con rigore eccessivo di aver indurito il cuore di quelli che, essendo sottoposti alla nostra responsabilità pastorale, non sono meno oggetto del nostro amore, perché ora camminano sulle vie dell’errore e si sono allontanati dalla Chiesa»…
L’enciclica fu considerata una “dichiarazione di guerra”. Fu scritta a Roma dal card. Michael von Faulhaber di Monaco di Baviera. Era pronta il 21 gennaio 1937 alle 4,30 del mattino. Il card. Segretario di Stato, Eugenio Pacelli, curò personalmente il testo nella sua redazione finale.
Secondo le sue ultime ricerche presso l’archivio vescovile di Monaco, tuttavia, Franz Xaver Schmid, consigliere presso la Commissione storica per la causa di beatificazione di Joannes Baptista Sproll, vescovo di Rottenburg, scoprì che l’idea di proporre al papa un’enciclica contro l’ideologia nazista era nata da un accordo tra Faulhaber e Sproll, fin dal giorno dopo la conclusione delle olimpiadi di Berlino del 1936. A Roma i due si incontrarono soli a quattr’occhi. Ma anche Pacelli aveva espresso un desiderio del genere ai vescovi tedeschi.
Non sorprende la collaborazione di Faulhaber con il vescovo di Rottenburg, sapendo che Sproll fin dall’inizio aveva attaccato in numerose prediche il nazismo e la sua dottrina razziale. Faulhaber desiderò servirsene. Per almeno sei volte andò a incontrarlo. In effetti, secondo quanto ha scoperto Schmid nel diario di Faulhaber, una parte delle formulazioni dell’enciclica risalgono proprio a Sproll.
I nazisti tenevano d’occhio Sproll e sospettarono che fosse una delle menti dell’enciclica. Era stato lui, infatti, a mostrarsi in varie circostanze uno degli avversari più accaniti contro di loro dopo loro presa del potere nel 1933. Intervennero spietatamente contro di lui soprattutto dopo che egli, il 10 aprile 1938, si dichiarò espressamente contrario alle votazioni del Reischtag per l’annessione dell’Austria (Anschluss). Divenne il capro espiatorio dei gerarchi del luogo e dello stesso Hitler. Il ministro della propaganda Goebbels aveva infatti minacciato: «I bigotti (i preti) – così chiamati spregiativamente – conosceranno ora il nostro rigore, la nostra durezza e la nostra mano implacabile».
Sproll era considerato un “traditore del popolo” e il suo episcopio venne demolito. La SA (Sturmabteilung – reparto d’assalto) gli fu addosso ad ogni piè sospinto. Il 24 agosto 1938, la Gestapo lo deportò nel Württemberg. Dopo una prima sosta presso l’arcivescovo Conrad Gröber, a Freiburg, dopo un lungo girovagare, ormai seriamente malato, trovò accoglienza a Kumbach nella regione svevo-bavarese. Solo una volta terminata la seconda guerra mondiale, il 12 giugno 1945, poté essere ricondotto, paralizzato, tra il giubilo dei cattolici nella sua città episcopale di Rottenburg. Morì il 4 marzo 1949.
Sproll aveva raccomandato ai suoi fedeli di stare in guardia dai nazisti. Non voleva che corressero rischi e lasciassero che fosse lui a esporsi e a parlare con maggiore franchezza. Bisogna tuttavia riconoscere che il suo costante intervento contro il regime nazista non fu molto preso in considerazione né dalla Chiesa tedesca in Germania né da Pio XII e dai suoi diplomatici.
Con la recente apertura dell’Archivio Vaticano riguardante l’epoca di Pio XII sarà gettata ora nuova luce su coloro che hanno cooperato ad elaborare questa enciclica. Tra questi – secondo le nuove ricerche – emergerà certamente anche la figura dell’allora vescovo di Rottenburg, Johannes Baptista Sproll, di cui è in corso anche il processo per la causa di beatificazione, che sta tuttavia andando per le lunghe.