L’incontro di papa Francesco coi rappresentanti dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità e il suo discorso (16 settembre) hanno solo in parte dissipato il malcontento relativo al decreto del dicastero dei laici (11 giugno) che disciplinava gli organi di governo che reggono movimenti e comunità (Le associazioni di fedeli). Lo si intuisce nelle reazioni della Comunità di Sant’Egidio e dei Neocatecumenali. La prima suggerisce di diversificare le responsabilità soprattutto in ordine agli abusi. I secondi si appellano alla conferma della centralità e permanenza del fondatore.
Più difficile interpretare l’assenza dei responsabili di Comunione e liberazione. Al posto di J. Carron e Antonella Froncillo (Memores Domini) ha partecipato il vicepresidente di CL, Davide Prosperi. A meno di legare l’assenza alla disposizione addotta dalla Santa Sede alcuni giorni dopo (24 settembre) che nomina un delegato speciale per l’associazione mons. Filippo Santoro, vescovo di Taranto, che in CL è cresciuto.
Testi, decreti e incontri si susseguono in ordine alle novità di aggregazioni, di comunità, di movimenti, di cammini apparsi in prevalenza nel post-concilio e che, nel loro insieme, hanno costituito e costituiscono un importante segnale di creatività dello Spirito.
Una parte di essi fa riferimento al dicastero vaticano dei laici. Fra questi i movimenti più noti: Comunione e Liberazione, Focolari, Neocatecumenali, Comunità sant’Egidio, Cursillos, Rinnovamento nello Spirito ecc. Sono connotati da una netta prevalenza di laici e da adesioni molto vaste.
Una seconda parte si va orientando verso il dicastero dei religiosi, accettando la nuova figura giuridica di “Famiglie religiose” che garantisce la compresenza di preti, religiosi e laici. Fra di essi: le Beatitudini, Das Werke, Schönstatt, Foyers de charité ecc. Per questi ultimi il nucleo di sacerdoti e consacrati costituisce il cuore dell’associazione.
Non stupisce che, anche nel discorso del papa, le due aree si tocchino e talora si sovrappongano. Difficile farne l’elenco completo, perché molte delle associazioni sono a livello diocesano.
Un regesto di oltre 800 esperienze è fornito dal Primo censimento delle nuove comunità (Urbaniana Press, Roma 2010), curato da don Giancarlo Rocca. Proprio per la loro novità, tutti hanno dovuto fare i conti con una identità giuridica in fieri, con un patrimonio carismatico intuito e vissuto dal fondatore e con le difficoltà, previste e impreviste, degli anni di statu nascenti. Alcuni sono stati provati dalla piaga degli abusi.
Cariche a tempo
Tornando al discorso del 16 settembre, il papa commenta e spiega il decreto Le associazioni dei fedeli. In esso, per la prima volta, si indicano le norme che devono reggere il loro governo. Gli statuti approvati in precedenza per le singole associazioni riflettevano le prassi interne e spesso i rispettivi diritti civili degli stati di origine.
Ora si produce una disciplina comune in cui si prevede:
- la partecipazione di ogni membro, diretta o indiretta, alle elezioni delle cariche centrali (moderatore e consiglio);
- un mandato di cinque anni (o al massimo dieci) per il moderatore e i consiglieri;
- la permanenza del fondatore nel ruolo di superiore generale o moderatore, sottoposta tuttavia alla conferma del dicastero.
Il papa li riconosce come «un chiaro segno della vitalità della Chiesa; rappresentate una forza missionaria e una presenza di profezia che ci fa ben sperare per il futuro». Senza ignorare il pericolo di autoreferenzialità e la pretesa di identificarsi come “la Chiesa”.
Il decreto non frena la libertà, ma è un aiuto per il futuro, per dare spazio alle nuove generazioni ed evitare sclerosi pericolose, foriere di molti mali. Fra questi, il pericolo degli abusi di autorità e sessuali. Com’è successo, ad esempio con il Sodalizio di Luis Fernando Figari.
Le indicazioni normative costituiscono un argine all’eternizzazione del potere personale e lo riconducono al servizio. È sleale una permanenza al potere quando al centro vi è l’ego e ci si arroga la pretesa di unici interpreti del carisma. Un’eccezione è prevista per il fondatore. Gli istituti sono considerati ancora in fase iniziale ed è opportuna una certa stabilità dei responsabili.
Anche sul versante delle “Famiglie religiose” è in atto una riflessione per dare ad esse alcuni elementi giuridici e spirituali di riferimento da parte del dicastero per i religiosi e la vita consacrata. Per ora si segnalano una serie di commissariamenti e di indagini sui fondatori in conseguenza di denunce su abusi di potere o di tipo sessuale.
È plausibile immaginare che la novità costituita da “Famiglie spirituali” in cui convivono preti, religiosi e laici (maschi e femmine) richieda un particolare discernimento anche canonico.
Un primo segnale è il motu proprio Authenticum Charismatis (1° novembre 2020) che modifica il canone 579 del diritto canonico e impone a tutti i vescovi di verificare con attenzione l’erezione di nuovi istituti di vita consacrata. Questa decisione, che appartiene all’esercizio della loro autorità, va comunque verificata con il dicastero. Non è più possibile senza il parere positivo scritto della Congregazione.
L’opportunità di indicazioni normative per quest’area effervescente del cattolicesimo raccoglie consensi condivisi ma, nello stesso tempo, accende un’attenzione al possibile limite di una centralizzazione che può rivelarsi penalizzante.