«Porrà fine a questo castigo?». O della preghiera ai tempi del COVID-19
I vescovi italiani hanno scelto di affidarsi alle devozioni diocesane: a titolo d’esempio, l’arcivescovo Delpini l’11 marzo è salito sulle terrazze del Duomo di Milano invocando la “bela Madunina”, il cardinale Zuppi a Bologna ha indetto una novena alla Madonna di San Luca e pure papa Francesco è ricorso alla Salus Populi Romani e al “crocifisso miracoloso” di San Marcello al Corso.
C’è chi ha esposto reliquie e santi, chi ha girato la parrocchia con ostensori e chi ha chiesto di intensificare le preghiere contro il coronavirus, mentre altri invitavano a condividere immagini di uno “strano” disco eucaristico sopra il sole di Piazza San Pietro o di una sagoma angelica creatasi dall’incrocio di scie di aeroplani sopra Bergamo scrutata e fotografata – stando alla descrizione – da «un medico in prima linea».
In pochi però si sono spinti quanto un messaggio whatsapp che invitava alla preghiera per porre fine a quel «castigo di Dio»; indignata la risposta di don Paolo Farinella, secondo il quale dietro a tale concezione ci sarebbe l’idea di una divinità sadica che «non si sazia se non della sofferenza dei suoi adepti, poco inclini a prostrazioni e penitenze. Un dio così, da prete cattolico e apostolico, ve lo regalo, ve lo lascio e non voglio avervi nulla da fare».
Quale Dio?
Entriamo nelle vive domande della teodicea. Che tipo di intervento miracoloso dovremmo attenderci da Dio, se lo preghiamo con maggiore devozione? Un Dio amorevole può mai tollerare il contagio globale di un virus che provoca morti? Sarebbe disposto a farlo per insegnarci qualcosa o farci convertire?
È possibile rifiutare l’idea di una divinità che castiga mantenendo contraddittoriamente l’altro volto, cioè quello di un Cielo che va pregato affinché qualcuno lassù ci risparmi dalla malattia? «Presentare Dio e la preghiera come il mago al quale recitare la formula per un immediato esaudimento del proprio desiderio non è un buon servizio, né all’uomo, né alla Chiesa, men che meno a Dio», appunta il prete bergamasco Alberto Varinelli.
Forse la strada, con padre Gamberini ma anche con Alberto Maggi, è scoprire che Dio non ha bisogno di essere propiziato: non interviene direttamente per punire chicchessia né per fermare il male, ma desidera prevenire le morti. Ama tutti e tutto e si impegna nella lotta contro il COVID-19, ma necessita del nostro aiuto – «ha bisogno del meglio della medicina, il meglio dei nostri volontari, il meglio di ognuno di noi» – per poter agire, in noi. La volontà di Dio sarebbe quindi quella di «scoprire la chiamata specifica e particolare di ognuno di noi perché così possiamo dare una mano a realizzare il piano di Dio di amore in questa situazione».
Restare in casa, ad esempio, ora è volontà di Dio; la preghiera ci rende responsabili nella consapevolezza di quanto bene Dio già compie nel mondo per mezzo degli uomini. Gamberini menziona Etty Hillesum: «Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi».
Preghiera e sorpresa
Forse ci può accompagnare l’ultima opera di Carmelo Dotolo, che in Dio, sorpresa per la storia. Per una teologia post-secolare (Queriniana, Brescia 2020) si rifà a George Steiner: «Forse ci rimane soltanto l’assenza di Dio. Accettata e vissuta pienamente, quell’assenza è una forza viva, un mysterium tremendum».
La lezione di Bonhoeffer – così come l’orizzonte di Carlo Molari e Andrés Torres Queiruga sulla cosiddetta “preghiera di richiesta” – è importante ora più che mai: tutta l’Onnipotenza che possiamo chiedere a Dio è l’abbandono dell’umanità impotente di Gesù Cristo, che solamente in forza della sua sofferenza può essere al nostro fianco e aiutarci; proprio così Gesù vince la tentazione di intervenire in modo miracolistico.
Per riprendere nuovamente il vescovo Libanori, il popolo di Dio non vuole dalla Chiesa risposte sdolcinate, sentimentalistiche e stucchevoli alla “tutto andrà bene”, ma consapevolezza che siamo «“condannati” alla stessa pena» di Gesù, che ci assicura di essere con lui in Paradiso, secondo il racconto lucano della Passione. I bambini forse lo capiscono meglio; in questi giorni ho avuto la grazia di ascoltare un messaggio whatsapp mandato ad un prete: «Ma Gesù ha mai avuto un virus?».
Questo articolo, informato al dialogo con la cultura contemporanea ma poco interessato alla verità biblica, al’inizio lascia il credente col suo magone di fondo: Dio ci ha abbandonato?/è cattivo?/non esiste?/è indifferente?/è impotente? Temo che gli argomenti addotti via via dall’autore siano puramente discorsivi e girino intorno allo skandalon del male senza entrarvi, dimentico delle grandi lezioni della teodicea cristiana a patire dall’AT passando per il NT, Sant’Agostino ecc. Per fortuna, sul finale, si affaccia la visione autenticamente cristiana della vita che, non paga del bene che pure si può operare nel tempo per arginare il male, si prolunga oltre l’orizzonte materiale costituito dalla morte. Si, il paradiso è l’unica risposta sensata all’antica domanda dell’uomo e del credente. Altre risposte portano solo ad insostenibili corto circuiti mentali (impotenza di Dio, sua indifferenza ecc.) oppure all’apostasia.