Origine e degenerazione della Chiesa

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La vita quotidiana dei primi cristiani era ispirata a quella che oggi possiamo chiamare l’ontologia battesimale dei cristiani, cioè l’uguaglianza fondamentale di tutti i battezzati e la loro partecipazione ai tria munera cristologici. Di cosa si tratta?

Tutti i chirstifideles partecipano alla regalità, al sacerdozio e al magistero profetico di Cristo. Alla maniera nuova inaugurata da Gesù, tutti i cristiani sono re, sacerdoti e profeti. Cosa significa? Quali sono le caratteristiche profonde e innovative di questi titoli cristologici?

Agli inizi

Atteso che essere cristiani è più una pratica di vita, una testimonianza, piuttosto che un’adesione a una dottrina prestabilita, bisogna riscoprire tale testimonianza originaria e fondante. Come praticare la regalità di Cristo nella vita? Come praticare il sacerdozio? Come il magistero profetico?

Viene in soccorso lo Spirito Santo. È Lui, il grande sconosciuto, “che è Signore e dà la vita” che vivifica per mezzo dei carismi, i doni che Lui riversa nei singoli cristiani. Nella Chiesa primitiva tali doni erano innumerevoli e diversi tra loro. Ed erano donati a tutti. Non c’erano dei cristiani privilegiati che sequestrano per sé i doni dello Spirito.

Egli è libero e soffia dove vuole (anche fuori dalla Chiesa, ma questo è un altro discorso) e dona i suoi doni a chi vuole, in completa libertà. Occorre, però, che tali carismi siano riconosciuti e occorre una comunità ricettiva, attenta al discernimento. Una Chiesa comunionale dove è riconosciuta l’uguaglianza fondamentale di tutti i battezzati nel Popolo di Dio è una Chiesa che si dispone ad accogliere i doni, una Chiesa che sa riconoscere e discernere i doni e una Chiesa che sa mettere al servizio i doni carismatici.

La caratteristica peculiare dei carismi dello Spirito è quella di essere messi al servizio della comunità. Non esiste dono spirituale che non sia una fraterna diakonia volta a edificare la comunità. Ogni carisma è destinato al servizio ecclesiale, non è per sé stesso ma è per il bene comune. Non è autoreferenziale, ma è comunionale.

Ecco, pertanto, come i tre munera cristologici vengono indirizzati al servizio della comunità: attraverso la differenziazione carismatica. Ossia attraverso il riconoscimento e la messa in pratica dei carismi individuali. Una molteplicità di carismi posti a servizio della comunità.

La diakonia (in greco) viene tradotta nel latino ministerium. Una Chiesa quindi tutta ministeriale ove non c’era differenza di sesso: uomini e donne ricevevano il carisma e in forza dell’ontologia battesimale svolgevano il carisma ricevuto in una uguaglianza di base in seno alle comunità (che non erano uniformi ma molto diversificate a secondo del luogo e dell’apostolo che le aveva fondate).

Sia uomini sia donne accedevano ai ministeri a secondo del carisma ricevuto e riconosciuto dalla comunità. Non c’era differenza di cultura e di etnia: ricevevano un dono spirituale sia i giudeo-cristiani, sia i cristiani ellenizzati, sia quelli dell’Asia minore, sia quelli della comunità romana. Ad Antiochia come a Corinto. Si parlavano lingue diverse ed erano in uso riti e vangeli diversi. Vigeva una grande pluralità teologica e organizzativa e talvolta potevano sorgere delle tensioni che venivano risolte in uno spirito di fraternità.

Una cosa è il verificarsi di fisiologiche tensioni che trovavano soluzione nell’agape fraterna, altra cosa è imbrigliare queste tensioni con un atto autoritativo centralizzato che livellava il pluralismo e imponeva una rigida e mortificante omologazione.

Accentramenti

Purtroppo si verificò questo secondo evento e la concentrazione dei “poteri” in una sola persona (a livello locale prima e a livello centrale dopo) causò pure la concentrazione del potere in una sola sede che ritenne di legiferare per tutti e su tutto. Questo fu uno dei motivi per cui il legittimo pluralismo teologico, liturgico e organizzativo si affievolì sempre di più.

Le sedi patriarcali (Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme) avviarono una politica accentratrice. Nel contempo, taluni ministeri-servizi iniziarono una lenta trasformazione. Iniziarono a perdere sempre più le caratteristiche fondanti ed evangeliche e si ipertrofizzarono. Divennero cioè sempre più gonfi di potere e di ruoli.

I servizi che prima erano svolti da più battezzati, iniziarono ad essere svolti da un solo battezzato, di solito un anziano (presbiteroi) oppure un vescovo (episcopoi). Un ruolo ulteriormente accentratore lo svolsero i capi delle comunità che avevano sede nelle città patriarcali e tra loro iniziarono a verificarsi le prime tensioni (che, in seguito, la sede romana volgerà a suo favore).

Ecco come, man mano che ci si allontana dalle radici evangeliche e dalla vitalità delle prime comunità, sorgono i primi elementi di criticità. Il servizio alla comunità perde la sua caratteristica di servizio umile e povero e diventa un potere per sé stessi. Una singola persona (episcopato monarchico) concentra su di sé diversi ministeri. Avviene un’importante trasformazione: si forma il clero. I ministeri del presbitero e del vescovo si clericalizzano, ovvero si separano dal corpo vivo della comunità e assumono un’identità sacrale (sacro, in questo contesto, significa separato).

Il servizio carismatico si istituzionalizza, si avvia un regime di separatezza sacrale. Luoghi, abiti, comportamenti, libri, oggetti, tutto viene a perdere l’originaria laicità e si sacralizza. Il clero è costituito da un ordo di consacrati e, per la prima volta, intorno al 210, un vescovo viene chiamato con il titolo di sacerdote, un termine che non si trova in nessun testo del NT per indicare i ministeri ecclesiali.

Il primato clericale

Al processo di sacralizzazione, il clericalismo associa un processo di elevazione. Il clero (costituito dai presbiteri e dai vescovi) si eleva sul popolo, si formano i primi rapporti gerarchici, ci stanno i superiori e gli inferiori, chi comanda e chi ubbidisce, e questo avviene in nome di un potere sacro che il clero attribuisce a sé stesso. La struttura carismatica viene a dissolversi.

La laicità scompare. L’uguaglianza fondamentale (tutti re, sacerdoti e profeti) viene a essere annullata. Il clero domina anziché servire, ammaestra il popolo anziché porsi assieme alla comunità al servizio della Parola, amministra i sacramenti in maniera esclusiva e le liturgie si estraniano dalla vita quotidiana, il culto diventa altra cosa rispetto all’esistenza concreta, non ci celebra più ciò che si vive e non si vive più ciò che si celebra. Il clericalismo rompe le comunità e crea due stati di vita e nel fare ciò allontana sé stesso dall’esistenza laica dei cristiani.

Quello che abbiamo descritto sono i primi passi del processo di clericalizzazione. Processo che trova un suo momento importante nella svolta costantiniana del IV secolo. La Chiesa da perseguitata diventa persecutrice e la verità della fede, prima proposta nell’amore e nella misericordia, diventa la verità della dottrina, la verità dei dogmi immutabili da imporre con la forza.

Il servizio regale divenne potere di giurisdizione e si concentrò nella persona del vescovo. Il servizio sacerdotale divenne potere d’ordine e si concentrò anch’esso nel vescovo (d’ora innanzi chiamato sacerdote), il quale delegava tale potere ai presbiteri. Poi i due poteri si fusero e un sola persona assunse in sé stessa il potere di giurisdizione e quello d’ordine. Anche il munus profetico, il magistero, ossia il compito di annunciare e di spiegare le Scritture, ben presto si concentrò nelle stesse persone.

Il clero aveva assolutizzato la sua posizione e si era separato nettamente dal resto della comunità. Nella Chiesa la separazione si fece sempre più netta: da una parte, il clero (che dopo Costantino assunse sempre più un diverso rango sociale e uno status economico più elevato) e, dall’altra, il laicato, il popolo, che rimase povero non solo economicamente, ma anche culturalmente e spiritualmente. Destinato ad essere ammaestrato, amministrato e nutrito sacramentalmente.

La Chiesa divenne sinonimo di clero. E nei secoli successivi prese avvio un’opera di giustificazione teologica di tale potere concentrato nel clero. I vescovi e il nascente papato (intorno al VI secolo per la prima volta si usa la parola papa per indicare il vescovo di Roma) iniziarono a modellare la dottrina, a leggere le Scritture a convenienza, a stabilire cosa nelle Scritture era conforme al loro magistero.

Proprio così: le Scritture vennero interpretate in un certo modo, addirittura taluni passi cancellati e tradotti in un modo anziché in un altro. Si stabilì quali libri fossero canonici e quali apocrifi. Tutto in base alla dottrina che lo stesso clero iniziava a consolidare e ad imporre. Le leggi si conformarono al suo volere.

La teologia divenne sottomessa ai suo volere. La liturgia era affare suo. L’economia, i soldi, il potere era affare suo. Certo non mancarono voci isolate che richiamavano la Chiesa alla purezza evangelica, ma il trend fu quello che sto descrivendo e portò la Chiesa a modificare il proprio assetto originario. Oggi Francesco riconosce tutto ciò allorquando scrive “abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva, senza vita”.

In questo processo, durato secoli, non deve meravigliare che le donne siano state via via emarginate dai servizi ecclesiali e non sia stato riconosciuto loro nemmeno il servizio di diacono come invece all’inizio era riconosciuto e apprezzato.

Non poterono più evangelizzare, né celebrare, né governare una comunità. Escluse da tutto. Il clero divenne celibe, ma non in tutte le comunità, prevalentemente in quelle occidentali. Solo i celibi potevano “farsi” preti. Il sacro doveva essere appannaggio solo dei celibi maschi.

La scelta celibataria non fu più una scelta libera e volontaria, ma divenne un obbligo, un precetto, un articolo giuridico, un pronunciamento magisteriale. L’intera vita ecclesiale dovette sottomettersi alla legge. Scritta dal clero ovviamente. Tutto divenne norma, prescrizione, obbligo e divieto. Si stilarono i primi codici. Tutti scritti dal clero. E le prerogative del clero lievitarono, si fecero sempre più ampie e vessatorie.

Il papato

Nel mentre si creò il papato, il sommo grado della scala gerarchica, la plenitudo potestatis, il Vicario di Cristo, il Pontefice Massimo, … il semplice e umile vescovo di Roma divenne il papa, anzi Sua Santità il Romano Pontefice. Il primo millennio era trascorso e, poco dopo, il Decretum Gratiani raccolse la precedente produzione legislativa. Vi si leggeva che “duo sunt genera christianorum”…ci sono due tipi di cristiani. “Il primo, in quanto incaricato di un ufficio divino e dedito alla contemplazione e all’orazione, è conveniente che sia lontano da ogni tumulto delle cose temporali. Di esso fanno parte i chierici e coloro che si sono dedicato a Dio, cioè i religiosi. L’altro tipo di cristiani è costituito dai laici. A costoro è permesso di possedere beni temporali, ma solo per l’uso, è concesso sposarsi, coltivare la terra, così potranno salvarsi, se però eviteranno il vizio e faranno del bene”.

Era il XIII secolo e la divisione tra il clero e il laicato era già assunta a livello dottrinale e normativo. Diversi secoli dopo Leone XIII (nel XIX secolo) scriverà ai “pastori e il gregge. Il capo ed il popolo. Il primo ha la funzione di insegnare, di governar e di dare agli uomini le leggi necessarie; l’altro ha il dovere di sottomettersi, di eseguire i suoi ordini, di dimostrargli rispetto”.

Per giungere al 1906 con Pio X che nella Vehementer nos scriveva: “la Chiesa per sua natura è una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i pastori e il gregge … Solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità … la moltitudine ha solo il dovere di lasciarsi condurre e di seguire i suoi pastori come docile gregge”.

La Chiesa oggi

Ed oggi? Oggi la situazione, nonostante il Concilio Vaticano II e nonostante papa Francesco, non è molto cambiata rispetto a 100 anni fa. Ci sono state delle timide aperture nei documenti conciliari, oggi Francesco ha sdoganato il termine clericalismo e si impegna nella lotta contro gli abusi, ma i nodi dottrinali  sono rimasti irrisolti.

Nella Lumen gentium n. 10 si continuano a presentare i sacerdoti ordinati come essenzialmente diversi rispetto ai comuni battezzati. Oggi il Codice di diritto canonico continua ad assegnare alla gerarchia un potere enorme. Oggi si stenta a riconoscere la dimensione sistemica del clericalismo e non si riescono ad eliminare le cause degli abusi (che non sono solo quelli sessuali).

Oggi il processo di declericalizzazione delle strutture ecclesiali è bloccato da un conservatorismo che non risparmia nessuno dei vertici della Chiesa. Oggi è la speranza nell’azione creativa e rigenerante dello Spirito (che agisce dentro e fuori i confini della Chiesa) che ci sostiene nella nostra quotidiana testimonianza. Una chiesa evangelica e laica, incarnata nella storia  è il futuro che ci attende.

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27 Commenti

  1. Elio 14 settembre 2023
  2. Carlo Truzzi 29 aprile 2023
  3. Lorenzo M. 27 aprile 2023
    • Adelmo Li Cauzi 28 aprile 2023
      • Salvo Coco 29 aprile 2023
        • Adelmo Li Cauzi 30 aprile 2023
          • Salvo Coco 30 aprile 2023
  4. Maria Pia Pancini 26 aprile 2023
  5. Gino Dal Santo 25 aprile 2023
    • Anima errante 25 aprile 2023
  6. Tobia 24 aprile 2023
    • anima errante 25 aprile 2023
    • Salvo Coco 26 aprile 2023
      • Tobia 30 aprile 2023
  7. Vito 22 aprile 2023
  8. Marco Ansalone 22 aprile 2023
  9. Cristiano 22 aprile 2023
  10. anima errante 22 aprile 2023
    • Salvo Coco 22 aprile 2023
  11. Salvo Coco 22 aprile 2023
    • Anima errante 22 aprile 2023
    • Adelmo Li Cauzi 22 aprile 2023
      • Salvo Coco 22 aprile 2023
        • Adelmo Li Cauzi 23 aprile 2023
  12. Adelmo Li Cauzi 22 aprile 2023
  13. Gian Piero 21 aprile 2023
  14. Strazzari Francesco 21 aprile 2023

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