Si chiude una stagione gloriosa dell’Ortodossia in Francia. Il 7 settembre l’assemblea generale straordinaria dell’eparchia (o arcidiocesi) delle Chiese ortodosse russe in Europa occidentale ha deciso di chiedere il legame canonico con il Patriarcato di Mosca, abbandonando quello con Costantinopoli.
L’assemblea che è l’organo decisionale maggiore in cui partecipa il vescovo, il suo consiglio, il clero e rappresentanti delle parrocchie ha deciso con il 58,1% dei votanti (presenti 186, espressi 179, sei schede bianche e una nulla), cioè con 104 voti a favore della mozione: «Accettate l’atto di legame canonico dell’arcidiocesi al Patriarcato di Mosca così come espresso nel documento pubblico?». Il 41,9% ha votato no (74 voti). Dal giorno prima e per tutto il sabato 7 un gruppo di fedeli ha pregato per l’esito della decisione assembleare.
L’esarcato che raccoglie 65 parrocchie, 11 chiese, 2 monasteri e 7 eremi si estende in 9 paesi dell’Europa occidentale. La grande maggioranza è in Francia e la sede centrale è a Parigi. Nasce dagli ortodossi esuli dalla Russia dopo la rivoluzione di ottobre del 1917, persegue gli orientamenti e le decisioni del concilio di Mosca del 1917 e rimane in riferimento al patriarcato russo fino agli anni ’30 del ‘900, quando passa, per esigenze pratiche di contatti e per necessità ecclesiali di legami, al patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Per alcuni anni, nel decennio 1960-1970, l’eparchia è rimasta senza riferimenti perché Costantinopoli suggeriva di passare all’obbedienza a Mosca. Ma poi il legame con Costantinopoli è stato rinnovato e nel 1999 è stato riconosciuta formalmente come diocesi permanente.
Tutto parte dal terremoto ucraino
Poi, in maniera improvvisa e senza nessun accordo con il vescovo Giovanni, responsabile dell’eparchia, Bartolomeo e il sinodo il 27 novembre 2018 hanno soppresso l’eparchia, aprendo una ferita profonda in una realtà ecclesiale che, con molte tensioni e una creatività notevole, aveva sempre sostenuto lealmente le posizioni di Costantinopoli.
Prima di entrare nel racconto degli ultimi mesi agitati e febbrili, la decisione patriarcale va collocata dentro il terremoto originato dal riconoscimento dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa “scismatica” di Ucraina (6 gennaio 2019) da parte di Bartolomeo e alle conseguenti decisioni dei due patriarcati interessati e conflittivi, quello russo e quello costantinopolitano. Da parte di Costantinopoli oltre alla soppressione dell’esarcato di tradizione russa in Occidente si è provveduto alla riorganizzazione di tre diocesi a livello mondiale: Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. Da parte russa, che raccoglie circa 1.000 parrocchie fuori dai confini, si è deciso di istituire due nuovi esarcati, uno per l’Europa occidentale e uno per l’Asia del Sud, fondando nuove parrocchie anche là dove fino a oggi si convogliavano i fedeli nelle comunità elleniche.
Una parrocchia russa è nata, ad esempio, anche ad Istanbul. La scelta di Mosca di interrompere la comunione eucaristica con Costantinopoli e di allargare le sue giurisdizioni a tutti i territori mondiali, che la tradizione riserverebbe al Fanar, ha ulteriormente alimentato i conflitti che giungono, seppur attutiti, alle singole comunità della diaspora.1
No alla soppressione dell’eparchia di Parigi
La soppressione dell’eparchia di tradizione russa ha avuto una prima risposta il 15 dicembre 2018. Una riunione pastorale conferma la volontà di mantenere l’identità e l’unità dell’archidiocesi; l’assemblea generale straordinaria, convocata il 23 febbraio 2019 rifiuta la dissoluzione dell’eparchia col 93% dei voti (191 voti su 206), riservandosi una scelta giurisdizionale più precisa per i mesi successivi.
L’11 maggio 2019 una assemblea pastorale formata da preti, diaconi e laici del consiglio diocesano esprime la profonda sofferenza del corpo ecclesiale e mette sul tavolo quattro possibili soluzioni: obbedire a Costantinopoli dissolvendo l’esarcato, trovare una formula giuridica per salvare l’autonomia della diocesi in dialogo con altre Chiese ortodosse, rientrare nell’obbedienza del patriarcato di Mosca, non prendere alcuna decisione per una sorta di dissoluzione silenziosa.
Si aprono molteplici contatti per trovare sponde favorevoli: con la Chiesa ortodossa oltrefrontiera (già rientrata nell’obbedienza moscovita), con il patriarcato di Romania, con quello di Bulgaria e con Costantinopoli, nella speranza di una revisione della decisione.
Le ultime convulse settimane
Il 21 giugno vi è un incontro fra le delegazioni di Parigi e di Mosca in cui vengono affrontate le richieste della comunità di tradizione russa: rispetto dell’indipendenza amministrativa e dei propri statuti; conservazione delle pratiche liturgiche e linguistiche; processi elettorali autonomi per vescovi e ruoli ecclesiali secondo i principi del concilio di Mosca del 1917; riconoscimento dello statuto di distretto metropolitano con un proprio metropolita; diritto di partecipazione per vescovi e delegati ai concili della Chiesa madre.
Il 17 di agosto c’è un ultimo colloquio del vescovo Giovanni (Charloupolis) con il patriarca Bartolomeo. Alla esplicita domanda del primo circa la possibilità di una nuova decisione, la risposta di Bartolomeo è stata: «dovete applicare la decisione del Santo Sinodo. Non torneremo sulla decisione». Giovanni illustra le tappe della storia dell’eparchia e la sofferenza per la decisione di dissolverla. Racconta anche tutti i contatti con le altre sedi patriarcali.
Bartolomeo gli chiede di annullare la prevista assemblea generale del 7 settembre. Giovanni rifiuta e promette di tenerlo al corrente. Il colloquio, teso e corretto, si chiude con il dono di un rosario da parte di Bartolomeo e il saluto «restiamo in contatto». Giovanni risponde : «certamente, santità, rimarremo in contatto».
Il 31 agosto il Santo Sinodo costantinopolitano solleva il vescovo Giovanni dal suo incarico, togliendoli ogni autorità sulle parrocchie dell’eparchia.
Lo stesso giorno un comunicato dell’arcidiocesi di tradizione russa ricorda ancora le tre opzioni per l’assemblea generale: atto di comunione con Mosca, dialogo bilaterale con Costantinopoli, progetto generale di riforma per una autonomia dell’eparchia.
Il 3 settembre l’amministrazione diocesana di tradizione russa rende noto che la decisione di Bartolomeo di sollevare il vescovo Giovanni non è accettata e che la prossima assemblea generale vede venire menola possibilità di contatti con Costantinopoli. Constatando la non praticabilità dell’ipotesi di soluzione giuridica autonoma per la complessità della materia e la brevità del tempo, «resterà all’assemblea generale del 7 settembre pronunciarsi solo e direttamente sul quesito relativo alla comunione con Mosca».
Lo stesso giorno il vescovo Emmanuele, metropolita di Francia a nome del patriarcato di Costantinopoli, dichiara che, venuta meno l’autorità del vescovo Giovanni, tutte le comunità di tradizione russa passano sotto la sua autorità e che la programmata assemblea non ha alcun potere decisionale e quindi non va fatta. Promette di mantenere l’associazione giuridica esistente, secondo la legge francese, e di garantire la tradizione liturgica e spirituale delle comunità.
Il 5 settembre il vescovo Giovanni risponde al vescovo Emmanuele che essendo l’arcidiocesi dentro gli ordinamenti statuali francesi non è sottoposta ad autorità canoniche esterne se non sono vidimate dagli organismi interni preposti, che la sua autorità sulle parrocchie rimane intatta e che la nomina di Emmanuele a locum tenes non è coerente con i canoni. Invita tutti a partecipare all’assemblea generale, «momento decisivo per la sua storia» e «determinate per il suo futuro».
Sì a Mosca
Arriviamo così all’assemblea generale straordinaria (7 settembre) e alla sua decisione di chiedere la comunione a Mosca. Confrontando l’esito delle due assemblee generali (23 febbraio e 7 settembre) l’unanimità della volontà di preservare l’identità dell’eparchia si divide nel momento di scegliere l’obbedienza moscovita. Il 41,9 % dei no mostra una resistenza significativa alla decisione e prelude a divisioni ulteriori nelle comunità e, talora, anche nelle famiglie. E questo nonostante tutte le raccomandazioni e le assicurazioni che un documento dell’ufficio dell’arcidiocesi, datato 5 settembre.
In esso si ricorda che il testo proposto non rappresenta ancora gli statuti finali, ma una carta che fissa la preservazione dell’identità, integrità e funzionamento dell’eparchia all’interno dell’obbedienza a Mosca.
La diocesi mantiene la sua esistenza giuridica in base al diritto sulle comunità religiose in Francia (sovranità dell’assemblea generale; autonomia di gestione amministrativa, finanziaria e immobiliare; autonomia amministrativa e finanziaria delle parrocchie; il diritto esclusivo dell’arcivescovo di ordinare i preti; autonomia rispetto alla diocesi ortodossa-russa recentemente creata). Il punto forse più delicato è l’elezione del vescovo e dei vescovi che implicherà la modifica (peraltro promessa) degli statuti moscoviti: le candidature saranno presentate dalla diocesi e fissate dal consiglio episcopale.
Il riconoscimento da parte del patriarca di Mosca prevede la possibilità di cambiare qualche nome, ma anche un nuova proposta della diocesi. «In conclusione il progetto conforta e stabilizza lo statuto dell’arcidiocesi nella sua integrità e nella sua autonomia. Alcune disposizioni della carta non sembrano più restrittive degli statuti previsti dal tomo del 1999, di cui possiamo oggi peraltro misurare la precarietà. La salvaguardia e il mantenimento dell’identità non dipenderanno che dalla determinazione dell’insieme dei suoi membri, clero e laici».
Non diventeremo agenti di Putin
In maniera più diretta si è espresso, in un intervento del 24 agosto, Daniel Struve direttore delle edizioni YMCA-Press. Prende atto della impossibilità di ritornare sotto l’egida di Costantinopoli e l’impraticabilità di una autonomia priva di ogni riconoscimento. Tornare alla comunione con Mosca appartiene all’origine dell’eparchia ed è oggi l’unica soluzione percorribile per mantenere la sua identità.
«Si capisce che la soluzione susciti reticenze in una arcidiocesi che, dal 1930, si è costituita opponendosi a Mosca e aderendo a Costantinopoli. È naturale che la diffidenza verso Mosca sia stata rinforzata dai “torbidi” conosciuti negli anni 2000 dalla diocesi di Suroga e poi dalla nostra eparchia. Tuttavia oggi verso il patriarcato di Mosca si manifestano giudizi senza sfumature che nascono dal partito preso e da una fobia irrazionale».
«La Chiesa di Mosca porta e porterà ancora per lungo tempo le stigmate degli anni della sua distruzione fisica e morale. Ma non dobbiamo dimenticare che mai abbiamo negato l’ecclesialità della Chiesa ortodossa russa, riconosciuta da tutte le Chiese autocefale. Pretendere che il riconoscimento dell’autorità del patriarca di Mosca sia un allineamento alla regia di Putin, una “perversione” che trasformerebbe ineluttabilmente l’arcidiocesi in un nido di agenti segreti del KGB, o ancora che una via ecclesiale degna di questo nome sia impossibile dentro il patriarcato di Mosca, sono argomenti fallaci e senza fondamento, costruiti su confusioni evidenti e smentiti da testimonianze di parrocchie» di obbedienza moscovita.
Una sconfitta per il cristianesimo
Si chiude una stagione importante dell’Ortodossia in Francia che ha alimentato attraverso le sue pratiche e i suoi teologi una parte decisiva della storia dell’intera Ortodossia del ’900. Le prevedibili tensioni interne di una comunità non numerosa non dovrebbero ingannare se rapportate a quelle in atto e in divenire nell’insieme dell’Ortodossia. Tensioni che attraverseranno uno di cuori pensanti della teologia ortodossa, l’Istituto san Sergio di Parigi che da qualche anno è affaticato da conflitti interni e dalla precarietà della situazione amministrativa.
L’esito dell’assemblea generale costituisce una sconfitta per il patriarcato di Costantinopoli, incapace di riconoscere l’opportunità di una “anomalia” canonica aperta alla comunione con tutte le anime dell’ortodossia. Gli scarsi risultati del riconoscimento dell’autocefalia in Ucraina e tutte le tensioni successive non promettono molto di buono per il futuro. Di contro il patriarcato di Mosca risulta rafforzato dalla decisione di Parigi, ma se prende sul serio le richieste di quella diocesi relative alla dimensione democratica interna e alla libertà di ricerca teologica non potrà accontentarsi di qualche ritocco nelle sue pratiche interne. Le domande di riforma verranno rafforzate.
Quanto succede in casa ortodossa non lascia indifferenti le altre Chiese. In particolare il cattolicesimo che si trova a esercitare l’unico polo di riferimento accettabile da tutte le confessioni e da tutte le parti dell’Ortodossia. Ma non si può negare che l’insieme degli eventi indebolisca la testimonianza comune dei cristiani. In particolare in Europa. Alla fine, nessuno ne esce vincitore. C’è solo da sperare nella forza del Vangelo.
Post scriptum. Il giorno dopo la pubblicazione di questo post (10 settembre) è uscito un comunicato dell’Amministrazione diocesana dell’Arcidiocesi di tradizione russa nel quale si specifica che la maggioranza ottenuta per decidere di passare all’obbedienza moscovita «non è sufficiente» in ragione degli statuti. Essi richiedono la maggioranza dei due terzi. Toccherà al Consiglio di amministrazione risolvere la questione giuridica. Rimane l’indicazione a favore del Patriarcato di Mosca, ma la sua esecuzione non si presenta facile (Lorenzo Prezzi).
1 SettimanaNews ha dedicato decine di articoli alla vicenda ucraina e alla minaccia scismatica nell’ortodossia. Fra questi: L’Ortodossia, l’Ucraina e Parigi; Ortodossia: più diocesi e più divisioni; Ortodossia: lo scisma e i greco-cattolici; Ortodossia: dopo lo scisma la frantumazione; Costantinopoli, l’Ucraina e la nuova geografia ortodossa; Ortodossia: crepe e frane.