Il 31 maggio l’Assemblea mondiale della sanità ha adottato per consenso la formalizzazione della partecipazione della Santa Sede all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in qualità di osservatore.
La proposta formulata dall’Italia e condivisa da 71 stati «riflette il rapporto che la Santa Sede intrattiene in modo continuo con questa organizzazione fin dal 1953 e testimonia l’impegno della famiglia delle nazioni nell’affrontare, attraverso il dialogo e la solidarietà internazionale, le sfide globali di salute che affliggono l’umanità». Si stabilizza così il rapporto di collaborazione che, precedentemente, era legato all’invito dal presidente, rinnovato ogni anno.
Oltre alla rappresentanza diplomatica in 183 paesi, la Santa Sede è presente in molti istituti sovra-nazionali come l’ONU, l’Unesco (educazione), la FAO (alimentazione), il Consiglio mondiale dell’alimentazione, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, il Consiglio economico e sociale, le Commissioni economiche regionali (fanno tutte riferimento all’ONU).
È stata membro fondatore per l’Alto commissariato per i rifugiati, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, l’Organizzazione mondiale del turismo. È presente nell’Unione Europea e nel Consiglio d’Europa. E nell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) a titolo di membro perché fu la condizione posta dall’URSS per entrare nell’istituzione.
Il multilateralismo
Partecipa ai lavori dell’Organizzazione mondiale della sanità forte delle sue 300.000 scuole e delle 110.000 istituzioni legate al Welfare in tantissimi paesi del mondo. Oltre alla lunga collaborazione fornita nei decenni precedenti, la Santa Sede è stata una delle istituzioni più attente rispetto alla perdurante pandemia di Covid-19, esempio di emergenza mondiale, particolarmente pesante per i paesi più poveri.
In un momento in cui l’OMS era sotto tiro dell’amministrazione Trump e molto criticata per i ritardi e le incertezze legate alla pandemia, ha sempre trovato una sponda di aiuto in papa Francesco. Le attenzioni maggiori espresse dall’istituzione ecclesiale sono state l’assistenza e la gratuità dei vaccini per tutti, la dignità dell’inizio e della fine della vita, le cure palliative e la dimensione spirituale della malattia.
Il numero degli stati che hanno sponsorizzato la risoluzione (71) è molto significativo e rappresenta un terzo dell’intera assemblea. Particolarmente apprezzata è la scelta coerente della Santa Sede nella difesa del multilateralismo e dcl dialogo internazionale.
Nel messaggio di papa Francesco all’assemblea generale ONU del 25 settembre 2020 è detto: «Ci troviamo quindi di fronte alla scelta tra uno dei due cammini possibili: uno conduce al rafforzamento del multilateralismo, espressione di una rinnovata corresponsabilità mondiale, di una solidarietà fondata sulla giustizia e sul compimento della pace e l’unità della famiglia umana, progetto di Dio per il mondo; l’altro predilige gli atteggiamenti di autosufficienza, il nazionalismo, il protezionismo, l’individualismo e l’isolamento, escludendo i più poveri, i più vulnerabili, gli abitanti delle periferie esistenziali. E certamente recherà danno alla comunità intera, essendo autolesionismo per tutti. E questo non deve prevalere».
Significativa la presenza consistente di paesi islamici fra i proponenti, convinti dall’apertura di dialogo fra le religioni. Per l’Occidente ai consensi si aggiungono i dissensi (per l’Europa le firme erano 19) legati o alla tradizione laicista (come Belgio e Olanda) o a interessi feriti dal magistero papale.
Gli stati e le ONG
Ma le difficoltà maggiori non provengono dagli stati, ma da alcune lobby veicolate attraverso organizzazioni non governative (ONG). Non solo per le fonti di finanziamento a loro necessarie, ma in ragione del particolare ruolo che esse esercitano nella struttura dell’ONU.
Al loro personale fanno riferimento gli stati per le competenze, le missioni, gli studi e le proposte. E per un certo numero di ONG la presenza e il giudizio della Santa Sede costituisce un pungolo scomodo. Basti pensare ai temi dell’aborto, dell’ideologia di genere o dell’eutanasia. Tentano quindi di togliere e impedire una rappresentanza istituzionale che sia superiore alla loro, riconosciute come associazioni umanistiche.
È successo nel 2004 quando fu necessario un voto dell’assemblea generale dell’ONU per confermare lo statuto di osservatore per la Santa Sede, rimasta sola in quel ruolo dopo che la Svizzera era entrata come membro a titolo pieno. Difficile capire dall’esterno una simile tensione, in particolare con le ONG che vorrebbero rappresentare gli interessi LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali).
«In certe occasioni – annota mons. I. Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU – si vedeva che anche l’OMS non ci percepiva come un ente giuridico sovrano, riconosciuto negli ambienti internazionali, ma ci considerava come una delle iniziative di un’organizzazione tipicamente umanitaria. Per noi era importante che si difendesse questo carattere specifico della Santa Sede e che il nostro diritto di partecipare alle riunioni dell’OMS venisse istituzionalmente garantito e non stabilito con un invito volta per volta».
Così il papato può meglio contribuire a una leadership politica mondiale dove i problemi globali sono risolti con un approccio multilaterale, senza la prevalenza degli interessi di parte.