Papa Bergoglio e Victor M. Fernandez

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La conversazione confidenziale con Víctor Manuel Fernández risale all’indomani dell’elezione di Bergoglio. In quel tempo era rettore dell’Università cattolica di Buenos Aires, dove si era laureato in teologia. Era collaboratore stretto di Bergoglio negli anni in cui era arcivescovo della capitale argentina. Era stato suo consulente teologico ad Aparecida (Brasile, 13-31 maggio 2007).

Fernandez lo ammirava per il suo sentimento profondo nei confronti del “popolo”: «Valorizzava il popolo come soggetto collettivo, che dovrebbe essere il centro delle preoccupazioni della Chiesa e di qualunque altro potere. Ecco il motivo per cui insisteva con i suoi preti di essere misericordiosi, non adottassero una morale o una prassi ecclesiale rigida e non complicassero la vita della gente con precetti calati autoritariamente dall’alto». E questo non per populismo opportunista, ma per convinzione profonda: lo Spirito opera nel popolo.

Per Bergoglio la Chiesa ufficiale con i suoi ministri e le sue strutture è lì per essere trasparenza di Gesù Cristo. Da qui la convinzione che la Chiesa deve essere povera, fraterna, libera e semplice, generosa e gioiosa.

Bergoglio si diceva convinto che occorreva decentralizzare il potere, nel rispetto delle procedure, delle scelte, della storia e delle culture locali. A Buenos Aires Bergoglio parlava un linguaggio che tutti potevano capire, non per carenza di formazione o di cultura, ma per precisa volontà di rendersi comprensibile e assicurarsi che il messaggio evangelico potesse giungere a tutti.

Apprezzava e sentiva forte la pietà popolare che non sempre coincide con le indicazioni della gerarchia ecclesiastica: «Ha fatto sua questa valorizzazione positiva della fede popolare, come effetto della libera e misteriosa azione dello Spirito».

Ancora Fernández: «La sua preferenza per i poveri segnava la sua vita intera. Da arcivescovo la promosse, dando appoggio privilegiato ai preti che vivono negli agglomerati anonimi e nei quartieri poveri. Era cosciente che taluni non comprendessero bene la sua attività, ma lui era convinto che il povero non è solo l’oggetto di un discorso né il destinatario di mera assistenza, tanto meno di “promozione”, volta solo a liberarlo dai suoi mali. I poveri sono soggetti attivi e creativi a partire dalla loro cultura; non solo oggetti di discussione, di riflessione o di programmazioni pastorali».

Impressionavano il suo stile di vita, la povertà e l’austerità personale. Mi confidava Fernandez: «La sua povertà personale non era opportunista né mediatica. Lo sapevano tutti che era austero fino al sacrificio. Non si è mai sentito degno di farsi servire e sono noti i suoi gesti di servizio umile, evitando di dar mostra di essere superiore. La sua scelta di una semplicità austera non rispondeva a un ideale storico né a semplice amore per la povertà, ma piuttosto al suo desiderio di rendersi accessibile così che i poveri potessero sentirsi bene con i loro pastori e la Chiesa fosse sentita come casa loro».

Semplicità evangelica: non solo nell’abbigliamento e nel linguaggio, ma anche nelle abitudini. Non sopportava i vezzi cortigiani, alcuni riti e formalità, che vedeva in contrasto con la semplicità del vangelo di Gesù.

Progressista Bergoglio? «Non propriamente. Nutriva un profondo rispetto per gli insegnamenti tradizionali della Chiesa e dei papi. Aveva però ben chiare le cose fondamentali e decisive: la giustizia, la fratellanza, e le secondarie e, da buon gesuita, ci invitava al discernimento, dando la precedenza a quelle che hanno “l’odore del vangelo”».

Coltivava con passione l’impegno ecumenico e filo-ebraico. Dedicava moltissimo tempo a dialogare con i non cattolici. Erano conosciute, ad esempio, le lunghe conversazioni con il rabbino Skorka.

Ora papa Francesco l’ha chiamato a Roma. Ne conosce la signorilità del tratto, la profondità teologica, lo spirito gioioso, l’eleganza dello stile. Non sarà certo il guardiano della fede, ma l’anima di una evangelizzazione dal basso.

Francesco sarà rimproverato per questa scelta, come d’altronde per la scelta del nuovo arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Ignacio Garcia Cueva, fatto oggetto di incresciosi attacchi, che coinvolgono la sua persona. Come d’altronde sta avvenendo per Víctor Manuel Fernández, il volto nuovo in una Curia che ha bisogno di essere “umanizzata”. Ancora bisognosa, come dimostra il recente caso del moralista Martin Lintner (cf. qui), di conversione evangelica.

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4 Commenti

  1. Albertina 5 luglio 2023
  2. Mauro Mazzoldi 4 luglio 2023
  3. Rinaldo Gusso 3 luglio 2023
  4. Gian Piero 3 luglio 2023

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