Sulle critiche che vengono rivolte a papa Francesco in merito al suo atteggiamento verso quanto sta vivendo la Chiesa cattolica in Nicaragua sotto il regime Ortega, è intervenuto domenica scorsa il cardinale L. Brenes, arcivescovo di Managua.
Brenes ha sottolineato il fatto che il “papa è molto ben informato e lo è anche la Segreteria di stato vaticana” sulla situazione attuale in Nicaragua, dopo l’arresto di mons. Alvarez, vescovo di Matapalga nel Nord del Paese. Ricordano che, per quanto riguarda i rapporti fra la Chiesa locale e il governo Ortega, “ogni azione provoca una reazione” – e, quindi, bisogna agire con estrema cautela per non peggiorare la situazione del vescovo e degli altri sette sacerdoti incarcerati (che, al momento, si trovano ancora nella prigione politica di El Chipote).
I sette sacerdoti hanno potuto ricevere la visita del presidente della Conferenza episcopale del Nicaragua, mons. C.E. Herrera. Nel frattempo, si è giunti a un accordo per permettere anche la visita da parte dei loro famigliari. Non si sa, invece, ancora se sarà possibile per loro passare agli arresti domiciliari.
Brenes ha detto che “si stanno facendo tutti i passi possibili” per giungere a questa soluzione, ma si procede lentamente “passo dopo passo”.
Mons. Alvarez si trova da due settimane in regime di arresto domiciliare, senza che nel frattempo l’autorità giudiziaria abbia formulato i capi di accusa che ne giustifichino la detenzione.
Sulle condizioni di salute e di stato d’animo del vescovo Alvarez, il card. Brenes ha speso parole rassicuranti: “sta bene, chiede di continuare a pregare per lui e di sperare che lo Spirito Santo ci illumini in modo da poter risolvere questo conflitto”.
Nell’insieme, si ottiene il quadro di una situazione di oppressione della Chiesa nicaraguense – verso la quale le ragioni del diritto, che dovrebbero vincolare le mosse del governo Ortega, vengono da esso sistematicamente eluse. Ma anche quello di una Chiesa coesa e solidale – né inerme né inerte, o schiacciata dalla situazione di persecuzione. Una Chiesa locale che sente vicina la presenza della Santa Sede e di papa Francesco, legate in un’azione corale non sbandierata ma adeguata alle circostanze del momento.
La stessa prudenza che usò Pio XII per non provocare più pesanti ritorsioni da parte del regime nazista. Eppure si contuinua a subire le critiche, anche recentemente rinnovate, al “silenzio” di papa Pacelli, e non si decide sulla sua beatificazione. Un ritardo che implicitamente finisce per insinuare il dubbio che i detrattori di Pio XII siano nel giusto.