«Volendo scorgere e studiare quale sia la visione ecclesiologica sottesa ai documenti principali e agli interventi di papa Francesco, viene da dichiarare, sin da subito e in maniera sintetica, che ci si trova alle prese con una nuova fase di recezione dell’insegnamento ecclesiologico espresso dal Vaticano II».
È la convinzione di Roberto Repole,[1] docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Torino e presidente dell’Associazione teologica italiana, peraltro ampiamente condivisa in ambito teologico. Basti citare Ghislain Lafont, docente emerito di ecclesiologia presso la Gregoriana e l’Ateneo Sant’Anselmo: «Il quadro generale nel quale collocare l’evento Francesco, che è uno sviluppo dell’evento Vaticano II», è «il passaggio a un’intelligenza e a una pratica rinnovate del Vangelo».[2] O Piero Coda, docente di teologia e ontologia trinitaria presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano e membro della Commissione teologica internazionale: «Papa Francesco è il primo papa che non ha partecipato al concilio Vaticano II. L’insegnamento conciliare scorre nelle sue vene, illumina i suoi pensieri, accende i suoi sogni, ispira le sue decisioni. In altri termini, non vi è più per lui conflitto d’interpretazioni… nell’interpretazione dell’ultimo Concilio».[3] O ancora Christoph Theobald, per il quale l’esortazione apostolica Evangelii gaudium – il documento programmatico del pontificato di Francesco – «mantiene, ad un tempo, un rapporto vivo con il Concilio, da una parte, e una reale libertà rispetto al corpus conciliare dall’altra, corpus che essa interpreta riscrivendolo, se posso esprimermi così».[4]
“Il Vaticano II? Bisogna farlo”
Che cosa papa Francesco pensi del concilio ecumenico Vaticano II è lui stesso a dircelo.
Nell’intervista concessa a La Civiltà Cattolica nell’agosto/settembre 2013, alla domanda di Antonio Spadaro «Che cosa ha realizzato il concilio Vaticano II? Che cosa è stato?», Francesco risponde: «Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi».[5]
Martedì 8 ottobre 2013, presentando a Roma il suo libro La sorpresa di papa Francesco,[6] Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha affermato che, nel corso di un suo colloquio con Francesco, gli ha fatto notare: «Lei non parla molto del Concilio». Risposta del papa: «Il Concilio bisogna farlo, più che parlarne».
Nella Evangelii gaudium scrive che «il concilio Vaticano II ha presentato la conversione ecclesiale come l’apertura ad una permanente riforma di sé per fedeltà a Gesù Cristo»[7] e che la dottrina della costituzione dogmatica conciliare Lumen gentium sta alla base delle linee che intende proporre al fine di «incoraggiare e orientare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice».[8]
Nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia scrive che, «nel 50° della conclusione del concilio ecumenico Vaticano II, la Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento», inizio di un nuovo percorso della sua storia.[9]
Nel discorso fatto il 29 dicembre 2017 ai membri dell’Associazione teologica italiana, Francesco afferma: «La Chiesa deve sempre riferirsi a quell’evento, con il quale ha avuto inizio una nuova tappa dell’evangelizzazione e con cui essa si è assunta la responsabilità di annunciare il Vangelo in un modo nuovo, più consono a un mondo e a una cultura profondamente mutati. È evidente come quello sforzo chieda alla Chiesa tutta, e ai teologi in particolare, di essere recepito all’insegna di una fedeltà creativa: vi chiedo di continuare a rimanere fedeli e ancorati, nel vostro lavoro teologico, al Concilio e alla capacità che lì la Chiesa ha mostrato di lasciarsi fecondare dalla perenne novità del Vangelo di Cristo».
In sostanza – scrive la biblista Marinella Perroni – «Francesco sa molto bene che, mai, elementi di continuità con il passato possono impedire fermenti di discontinuità che preparano il futuro e non si lascia quindi intrappolare nella contrapposizione tra ermeneutica della continuità ed ermeneutica della rottura. Si inserisce, invece, nel complesso iter della recezione del Vaticano II, delle aspettative mancate, delle parole ambigue e dei silenzi eloquenti, delle scelte fatte da alcuni e dell’acquiescenza di molti, e prova a riannodare i fili di quell’evento che tanto ha ancora da dire alla Chiesa».[10]
Nuova fase di recezione del Concilio Vaticano II
Roberto Repole individua in almeno una decina di argomenti[11] la nuova fase di recezione e di rilancio dell’insegnamento ecclesiologico espresso dal Vaticano II avviata da Francesco.
1. Una prima nuova fase di recezione dell’insegnamento del concilio Vaticano II è individuata dal prof. Repole nel dinamismo del mistero della Chiesa messo in evidenza nel primo capitolo della Lumen gentium, laddove si afferma che la luce delle genti non è la Chiesa ma Cristo,[12] e la Chiesa può brillare solo di luce riflessa.
Nell’enciclica Lumen fidei il papa scrive testualmente: «La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua la luce del cero accende tante altre candele. La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma».[13] La riforma per antonomasia di cui la Chiesa necessita «non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture» ma consiste, in primo luogo, nell’«innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività».[14]
La Chiesa è semper reformanda essenzialmente perché in essa deve risplendere la forma Christi. Scrive Repole: «Solo una Chiesa trasparente al Dio apparso in Cristo può far sì che egli rimanga vivo e capace di interpellare l’umanità di oggi e di sempre» e «soltanto una Chiesa realmente evangelica può consentire al Vangelo di continuare la sua strada nel mondo».[15]
2. In occasione dell’apertura del concilio ecumenico Vaticano II, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII aveva indicato con le seguenti parole la via da seguire: «Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imboccare le armi del rigore». E Paolo VI, al termine dei lavori del Concilio, aveva affermato che la religione del Concilio era stata «principalmente la carità» e che il paradigma della spiritualità conciliare era stata «l’antica storia del Samaritano».[16]
Con la centralità che il «Vangelo della misericordia» ha nell’insegnamento di Francesco si è in presenza di una nuova fase di recezione del magistero conciliare: la misericordia «esprime qualcosa di fondamentale del volto di Dio che si è rivelato compiutamente in Cristo».[17] Nella parola «misericordia» è rinvenibile la sintesi del mistero della fede cristiana.[18] Nel nostro tempo il tema della misericordia «esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale».[19] «Volgere lo sguardo a Dio, Padre misericordioso, e ai fratelli bisognosi di misericordia, significa puntare l’attenzione sul contenuto essenziale del Vangelo di Gesù».[20]
Per Roberto Repole, la centralità della misericordia nel magistero di Francesco costituisce addirittura un «balzo in avanti» rispetto al quanto affermato con il Vaticano II.[21]
3. Per quanto riguarda il sogno della «Chiesa povera e per i poveri», con Francesco si è in presenza di un vero e proprio rilancio di quanto il Concilio aveva messo in evidenza al paragrafo 8 della Lumen gentium, laddove, da un lato, si afferma che «la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche con il suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione», dall’altro, si ricorda che «la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l’indigenza e in loro cerca di servire il Cristo».[22]
Annota Repole: «Si tratta di un passo – occorre riconoscerlo – passato spesso sotto silenzio nei cinquant’anni che ci distanziano dal Vaticano II».[23] Lo stile di vita sobrio di Francesco e il suo sogno di «una Chiesa povera per i poveri» non possono non richiamare alla memoria il famoso Patto delle catacombe, con il quale alcuni vescovi di tutto il modo, tra cui diversi latino-americani, il 16 novembre 1965, vollero suggellare il punto di partenza della loro recezione del concilio ecumenico Vaticano II. Chi oggi legge quel profetico documento – silenziato di fatto per 50 anni – non può che avere la netta sensazione «che Jorge Mario Bergoglio lo abbia incarnato come vescovo di Buenos Aires e lo incarni oggi come vescovo di Roma».[24]
4. Anche la categoria del «popolo di Dio», che risulta essere assolutamente centrale nei testi conciliari (la si richiama per ben 184 volte), per una serie di motivi era stata di fatto tacitata. Con Francesco se ne ha un vigoroso rilancio, con la conseguente entrata in una nuova fase di recezione del Vaticano II.[25] «Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è un’élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il santo popolo fedele di Dio. Dimenticarci di ciò comporta vari rischi e deformazioni nella nostra stessa esperienza, sia personale sia comunitaria, del ministero che la Chiesa ci ha affidato. Siamo, come sottolinea bene il concilio Vaticano II, il popolo di Dio, la cui identità è «la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio (Lumen gentium, n. 9)».[26]
Ne consegue che «ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati».[27]
Scrive Repole: «Ponendosi, dunque, nella prospettiva del popolo di Dio, per Chiesa Francesco intende la totalità e la comunione dei battezzati, la cui dignità è data dall’essere figli nel Figlio in forza dell’unzione dello Spirito, che abita in ciascuno di essi».[28] Nella Chiesa, «nessun gruppo – né di chierici né di laici – può avanzare la pretesa di essere il tutto e sostituire altri».[29]
5. La prospettiva di un’ecclesiologia strutturata sulla categoria di «popolo di Dio» aveva indotto i padri conciliari a recuperare la dottrina del sensus filelium.[30] Ma anche questo recupero nel periodo postconciliare era stato di fatto accantonato.
La novità di Francesco, al riguardo, non sta nell’inventare la dottrina del sensus fidelium, ma – come scrive Repole – nel trattarne «in modo diffuso».[31] «In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che, quando crede, non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione».[32]
A partecipare del sensus fidei, conoscendo con le loro sofferenze il Cristo sofferente, sono in primo luogo i poveri, dai quali tutti dobbiamo lasciarci evangelizzare, avendo essi molto da insegnarci.[33]
6. La Chiesa, popolo di Dio, nella quale la dignità e l’eguaglianza di tutte le persone battezzate sono considerate un dato originario e basilare rispetto a qualsiasi distinzione in funzioni e ministeri,[34] non può non essere una Chiesa “sinodale”, che cammina insieme per annunciare e testimoniare in modo efficace il Vangelo: un camminare insieme non solo di vescovi, ma di tutto il popolo di Dio.
Nella Chiesa sinodale «ciò che riguarda tutti, da tutti è trattato», nessuno si eleva al di sopra degli altri e chi esercita le funzioni di governo lo fa ricordandosi che il più grande è come il più piccolo e chi governa come colui che serve (Lc 22,16).
L’immagine privilegiata è quella della piramide capovolta, il cui vertice si trova al di sotto della base. In una Chiesa sinodale non si può separare rigidamente un’ecclesia docens e un’ecclesia discens.[35]
Di sinodalità diffusa – alla quale tutti siamo chiamati, ciascuno nel ruolo che il Signore gli affida – al Vaticano II non se era parlato: «nella visione ecclesiologica del popolo di Dio e nella conseguente concezione del sensus fidei vi erano, però, le premesse di un suo sviluppo».[36] Per Francesco, il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio è quello della sinodalità.[37] Chiesa e Sinodo sono sinonimi.[38]
7. La visione di una Chiesa «in uscita missionaria», che sta particolarmente a cuore a Francesco, non è altro che la riproposizione dell’insegnamento conciliare del carattere strutturalmente missionario della Chiesa.[39] La recezione del Vaticano II in questo caso si caratterizza come necessità, per la Chiesa, intesa come totalità di persone battezzate, di “riformarsi”. Se la Chiesa è «semper reformanda» essenzialmente perché in essa deve risplendere la forma Christi, lo è non di meno perché tutto in essa (strutture, linguaggi, comportamenti) diventi un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale.[40]
Repole ritiene che il discorso di Francesco sulla Chiesa in uscita missionaria, non solo sia l’aspetto «più rilevante e probabilmente originale dell’ecclesiologia soggiacente il suo magistero»,[41] ma anche appaia «singolarmente incisivo e ricco proprio per le Chiese di antica cristianità, segnate oggi dalla scristianizzazione e dalla secolarizzazione»,[42] che hanno assoluta necessità di un annuncio cristiano che si concentri «sull’essenziale, su ciò che è più bello, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario».[43]
8. Sulla scia conciliare e nella prospettiva di una Chiesa missionaria si rende necessario il richiamo all’esistenza di una «gerarchia delle verità»[44] che vale tanto per i dogmi quanto per l’insieme degli insegnamenti, anche morali, della Chiesa.[45]
Lungi dal menomare l’integralità del Vangelo e della verità, questo criterio «è piuttosto l’invito a ritrovare il cuore del Vangelo, che consiste nell’incontro salvifico con Cristo e, dunque, con l’Amore di Dio, affinché ogni verità possa essere ritrovata e integrata nella giusta prospettiva».[46]
Secondo Repole, il criterio della «gerarchia delle verità» dovrebbe essere tenuto in debita considerazione per approfondire quattro aspetti di particolare urgenza: «la ristrutturazione delle comunità cristiane sulla base della necessità di annunciare il Vangelo a quanti non lo conoscono o ne hanno una percezione errata; la costituzione di luoghi di autentica fraternità; la scelta preferenziale dei giovani; il coinvolgimento reale e responsabile dei cristiani laici».[47]
9. «Il Vaticano II è stato l’espressione di una Chiesa desiderosa di entrare finalmente in dialogo con la cultura moderna, rispetto alla quale si erano da secoli create abissali distanze».[48]
La missione di una Chiesa in uscita implica sempre una inculturazione e una evangelizzazione delle culture. Anche se il Vangelo all’inizio si è inculturato nelle culture occidentali, a cominciare da quella greca e quella latina, tutte le trascende e in tutte è chiamato ad incarnarsi.[49] Il papa afferma che «la grazia suppone la cultura e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve».[50]
L’inculturazione della fede attende di essere fatta anche nella cultura post-moderna. Il cristianesimo, «mantenendosi fedele alla sua identità e al tesoro di verità che ha ricevuto da Gesù Cristo, sempre si ripensa e si riesprime nel dialogo con le nuove situazioni storiche, lasciando sbocciare così la sua perenne novità».[51] «Non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile senza umiliare l’azione dello Spirito Santo».[52]
10. Il Vaticano II ha voluto essere un Concilio pastorale. Il che, per Francesco, significa anche sostituire al consueto e compassato “ecclesiastichese” riservato agli specialisti un linguaggio immediatamente comprensibile da persone comuni fatte non solo di ragione e pensiero ma anche di emozioni e affetti.[53] «Nell’insegnamento di Francesco appare ormai come un punto di non ritorno ciò che tanto la teologia recente quanto il magistero conciliare hanno insegnato: che la dottrina, cioè, non è né può essere qualcosa di estraneo rispetto alla cosiddetta pastorale.
La verità che la Chiesa è chiamata a custodire è quella del Vangelo di Cristo, che dev’essere comunicato alle donne e agli uomini di ogni luogo e ogni tempo. Per questo il compito del magistero ecclesiale deve essere anche quello di favorire la comunicazione del Vangelo. E per questo, la teologia non potrà mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino, sganciato dalla vita del popolo di Dio e dalla sua missione di far incontrare le donne e gli uomini del proprio tempo con la novità perenne e inesauribile del Vangelo di Gesù».[54]
[1] Roberto Repole, Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia di papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017, p. 16.
[2] Ghislain Lafont, Piccolo saggio sul tempo di papa Francesco, Edizioni Dehoniane, Bologna 2017, p.15.
[3] Piero Coda, “La Chiesa è il vangelo” – Alle sorgenti della teologia di papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017, pp. 59-60.
[4] Christoph Theobald, Fraternità – Il nuovo stile della Chiesa secondo papa Francesco, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 2016, p. 26.
[5] Concetto ribadito il 3 marzo 2015 in una lettera inviata al Gran Cancelliere della “Pontificia Università Cattolica Argentina” nel centesimo anniversario della Facoltà di teologia: «Il concilio Vaticano II è stato un aggiornamento, una rilettura del Vangelo nella prospettiva della cultura contemporanea. Ha prodotto un irreversibile movimento di rinnovamento che viene dal Vangelo. E adesso, bisogna andare avanti».
[6] Andrea Riccardi, La sorpresa di papa Francesco, Crisi e futuro della Chiesa, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2013.
[7] Evangelii gaudium n. 26.
[8] Evangelii gaudium n. 17.
[9] Misericordiae vultus n. 4.
[10] Marinella Perroni, Kerigma e profezia – L’ermeneutica biblica di papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017, p. 70.
[11] Tutti richiamati nel già citato scritto Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia di papa Francesco.
[12] Lumen gentium n. 1.
[13] Lumen fidei n. 37.
[14] Francesco, discorso del 10 novembre 2015 in occasione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana.
[15] Roberto Repole, ib., p. 40.
[16] Paolo VI, Allocuzione del 7 dicembre 1965 in occasione dell’ultima sessione pubblica del concilio ecumenico Vaticano II.
[17] Roberto Repole, ib., p. 28.
[18] Misericordiae vultus n. 1.
[19] Misericordiae vultus n. 12.
[20] Francesco, Udienza generale di mercoledì 9 dicembre 2015.
[21] Roberto Repole, ib., p. 31.
[22] Lumen gentium n. 8.
[23] Roberto Repole, ib., p. 43
[24] Marinella Perroni, op. cit., p. 72.
[25] Roberto Repole, ib., p. 49.
[26] Francesco, lettera del 19 marzo 2016 al cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia commissione per l’America Latina.
[27] Evangelii gaudium n. 120.
[28] Roberto Repole, ib., p. 59.
[29] Roberto Repole, ib., p. 61.
[30] Lumen gentium n. 12.
[31] Roberto Repole, ib., p. 71.
[32] Evangelii gaudium n. 119.
[33] Evangelii gaudium n. 198.
[34] Lumen gentium n. 32.
[35] Francesco, discorso del 17 ottobre 2015 in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi.
[36] Roberto Repole, ivi, p. 109.
[37] Francesco, discorso per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).
[38] Giovanni Crisostomo, Explicatio in Ps. 149.
[39] Ad gentes n. 5 e 6.
[40] Evangelii gaudium n. 27.
[41] Roberto Repole, ib. pp 81.
[42] Roberto Repole, ib. pp 83-84.
[43] Evangelii gaudium n. 35.
[44] Unitatis redintegratio n. 11.
[45] Evangelii gaudium n. 36.
[46] Roberto Repole, ib., p. 91.
[47] Roberto Repole, ib., pp. 91-96.
[48] Roberto Repole. Ib., p. 64.
[49] Evangelii gaudium n. 118.
[50] Evangelli gaudium n. 115.
[51] Laudato si’ n. 121.
[52] Francesco, discorso dell’11 ottobre 2017 ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
[53] Evangelii gaudium n. 158 e n. 41.
[54] Roberto Repole. Ib., p. 8.