La visita del papa in Giappone, la seconda dopo quella effettuata da san Giovanni Paolo II nel 1981, sta alimentando tra le comunità cristiane del Paese alcune attese che vorrei qui brevemente riassumere ripercorrendo le tre maggiori città che il pontefice andrà a visitare: Hiroshima, Tokyo e Nagasaki.
Hiroshima
Hiroshima, che con Nagasaki è nota in tutto il mondo per esser stata l’unica località ad aver sofferto un attacco atomico, è una città simbolo per eccellenza per far sentire al mondo un messaggio contro le armi nucleari. Al Parco del memoriale della pace, di fronte allo scheletro della famosa cupola Genbaku (“della bomba”) sventrata dall’esplosione atomica, è situato un cenotafio dove sono incisi i nomi delle vittime, e dove si trova scolpita la scritta: «Riposate in pace perché questo sbaglio non verrà ripetuto».
La presenza del pontefice a Hiroshima, e le sue parole contro ogni forma di violenza, potranno così incoraggiare il governo giapponese a firmare il Trattato per la proibizione delle armi nucleari adottato nel 2017 dalle Nazioni Unite (cosa che non ha ancora fatto), a fermare i tentativi di modificare, o reinterpretare in chiave più “possibilista”, l’articolo 9 della Costituzione (che recita: «Il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali»), e a riflettere seriamente sulla sua nuova corsa al riarmo (il 30 agosto scorso, il Ministero della Difesa di Tokyo ha richiesto un aumento della spesa militare dell’1.2% per un totale di 5.32 trilioni di yen, pari a 50.48 miliardi di dollari).
La Chiesa cattolica di Hiroshima, che da moltissimi anni organizza attività per la pace nel mondo (simposi e conferenze, campagne e marce, incontri di preghiera e raccolta fondi), si augura quindi che papa Francesco indichi ulteriori iniziative per la costruzione di una pace migliore per il mondo, e si auspica che il pontefice solleciti gli esponenti delle altre religioni a compiere azioni concrete in risposta ai problemi ambientali e nucleari del mondo attuale appellandosi ai valori sacri dell’esistenza umana e di tutta la vita creata da Dio.
Quest’ultimo accenno alla sacralità dell’esistenza (che rimanda allo slogan del viaggio apostolico: “Proteggere ogni vita”), è senz’altro un tema molto sentito dai vescovi giapponesi, oltre che di fondamentale importanza per l’attuale società nipponica.
Tokyo
In questi ultimi decenni, la Chiesa ha più volte ha affermato che in questo Paese la vita umana (dal suo inizio alla sua fine) è sottoposta a innumerevoli sfide. Di fatto – afferma Tarcisius Isao Kikuchi, arcivescovo di Tokyo – la società giapponese apprezza l’essere umano soprattutto in base al contributo che esso può dare alla società, emarginando così tutti coloro che il cui apporto è insufficiente o insignificante, come ad esempio le persone disabili, gli anziani, i poveri, i rifugiati, gli immigrati.
Ecco perché i vescovi chiedono che il santo padre possa portare un messaggio di amore e di speranza per aiutare le persone ad accorgersi che non sono abbandonate a loro stesse, ma che sono invece accolte e profondamente amate da Dio. E che questo suo amore si estende alle generazioni dei più giovani, cioè di coloro ai quali appartiene il futuro di questo Paese (in Giappone vi sono 18.49 milioni persone dai 15 ai 29 anni, pari al 14.5% della popolazione).
Tra i giovani, infatti, si nota l’emergere di alcuni fenomeni abbastanza preoccupanti che minano in profondità il rapporto che essi intrattengono con la società e con gli altri: basti qui solo pensare al fenomeno degli hikikomori (cioè di coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento), a quello dei cosiddetti NEET (un acronimo inglese per “not (engaged) in education, employment or training”), cioè di persone che non sono impegnate né nello studio, né nel lavoro né nella formazione) e a quello dei furītā (cioè di coloro che, terminati gli studi, cercano lavori precari e a breve termine per mantenersi senza perdere la propria indipendenza, cosa questa che accade normalmente a coloro che sono assunti nelle ditte, nelle aziende o nelle fabbriche).
Ecco perché i vescovi e le comunità cristiane giapponesi si attendono che papa Francesco incoraggi i giovani a ritrovare il senso profondo della loro vita, a comprendersi gli uni gli altri e a sostenersi reciprocamente affinché non si sentano soli.
Nagasaki
Infine, la visita del papa a Nagasaki, ritenuta la cittadella cristiana del Giappone, oltre che ad essere un’importante occasione per dare visibilità alla presenza cristiana in seno alla società giapponese (i cattolici nel Paese sono circa 400.000, pari allo 0.1% della popolazione), rappresenta anche un prezioso supporto e incoraggiamento per la loro fede. Una fede che, per la maggior parte dei suoi 470 anni di storia, è stata lungamente provata da persecuzioni e violenze.
Ritenuta una «religione malvagia» che si opponeva alla morale confuciana, alla Legge del Budda e alla Via dello Shintō, il cristianesimo è riuscito a sopravvivere alle varie persecuzioni grazie ai kakure kirishitan (cristiani nascosti), i quali praticarono la loro fede in clandestinità, amministrando il battesimo ai propri figli in segreto e camuffando i simboli cristiani seguendo i canoni dell’iconografia buddista.
Ecco perché – affermano i vescovi giapponesi – le famiglie che oggi hanno difficoltà a trasmettere la fede ai propri figli possono trarre un prezioso esempio da questi cristiani vissuti nella clandestinità – oltre che da altre recenti figure (come quella, ad esempio, di Elisabetta Maria Satoko Kitahara, 1929–1956, che nell’immediato dopoguerra si è spesa per aiutare i senza tetto e i bisognosi), le quali, pur non subendo il martirio, hanno contribuito enormemente a far comprendere l’importanza fondamentale della dignità umana e della predilezione che Dio prova nei confronti degli ultimi e dei deboli.
La visita del papa in Giappone sarà quindi di stimolo per aiutare i cristiani e tutti i giapponesi a creare una società che non escluda nessuno, che sia attenta alle necessità materiali e spirituali dell’altro, e che inviti tutti a credere in quella misericordia di Dio che ama ogni sua creatura, indistintamente, dato che «chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10,35).
Quando nella Chiesa si parla di discernimento non di rado ci si riferisce a circoscritte tematiche spirituali, delle intenzioni profonde. Ma delegando alle scienze umane tanta parte dell’umano si finisce in criteri spiritualistici disincarnati. Il raggio di azione viene talora allargato per esempio a tematiche pastorali sempre riservando altri campi ad un raziocinio alla fine variamente separato dal resto della vita personale.
Sembra non ci si avveda di questa drammatica spaccatura dell’uomo, della sua coscienza integrale, spirituale e psicofisica, ossia del cuore, nella luce serena, a misura. In realtà persino la logica, la matematica, vengono riconosciute sempre più solo in un autentico percorso di maturazione (in Cristo). E ciò può avvenire in modo tendenzialmente pieno proprio scoprendo che lo Spirito di Gesù, la sua grazia è divina e umana. Non calpesta la persona, la persona specifica ma la fa crescere con delicatezza per il proprio cammino, ben al di là degli schemi, verso il pieno compimento del vangelo in lei. Allora tutto l’uomo, non un suo astratto spirito, è condotto nel mistero e vede ogni cosa in modo continuamente rinnovato.
Non possono darsi casistiche, risposte prefabbricate. E solo il soggetto alla fine può operare il proprio discernimento. In ogni cosa si impara da ciascuno, da ogni cultura ma poi si discerne dal vivo, in quella situazione, senza lasciarsi ingabbiare da schemi. Bisogna tornare all’uomo semplice e vivo, umano. La gente in genere subito riconosce, beneficia, di questo amore che la comprende, la aiuta a comprendersi e a crescere serenamente, liberamente. Mentre avverte la distanza dalle astrazioni moralistiche, dagli spiritualismi disincarnati, dagli svuotanti pragmatismi. Il sensus fidei è divino e umano.
La persona gradualmente può tornare in contatto naturale col suo cuore (integrale), riconoscere in modo sempre più autentico la luce serena che lo illumina in ogni situazione. E può donargli la fede. E se accolta si manifesta in modo via via nuovo. La vivisezione dell’umano in ragione astratta, spirito disincarnato, resto dell’umano, disintegra la coscienza, vivisezionando allo stesso modo il suo dialogo nello e con lo Spirito. È la radice ultima dello sfacelo odierno.