Quando ho iniziato il mio lavoro, 40 anni fa, si parlava di missioni cattoliche italiane gestite (quasi) come parrocchie, perché la Chiesa locale consegnava la cura dei fedeli provenienti dall’Italia completamente nelle mani dei missionari e dei loro collaboratori italiani.
Chiese parallele per migranti
Negli anni ’60-‘70 la missione era perciò un po’ di tutto: un luogo di incontro degli italiani, un ufficio per il disbrigo delle pratiche civili, il punto di riferimento per i problemi sociali.
Spesso le Chiese locali – seguendo la logica politica delle società di accoglienza che consideravano temporanei i fenomeni migratori – hanno delegato la pastorale dei migranti alle missioni etnico linguistiche. Dopo aver preso coscienza che le migrazioni fanno parte, a pieno titolo, del tessuto ecclesiale, stanno ora riprendendo la cura pastorale degli emigrati quale compito proprio di comunità cristiane rinnovate.
Nei nostri confronti è mossa l’osservazione di aver fatto sì, un eccellente lavoro, ma, nel mentre, di aver costruito Chiese parallele, non inserite nella comunione della sola Chiesa. Da parte nostra, restiamo convinti che fosse allora necessario insistere nella pastorale etnico linguistica e sulla costruzione di comunità di migranti vive e capaci di vita propria.
Cercando di fare un bilancio della nostra storia, confermiamo di aver contribuito a costruire comunità del tutto simili alle comunità parrocchiali e formato fedeli che sono rimasti volutamente estranei alle dinamiche delle Chiese locali, spesso, purtroppo, piuttosto chiuse pure verso altri migranti.
Con tale piena consapevolezza, da oltre 10 anni, stiamo passando dalla forma delle missioni a quella delle comunità di madrelingua. Non è solo una questione di termini: ora ogni singola comunità non ha più una propria sede, bensì è posta nelle sedi della comunità locale tedesca. La nostra permanenza si propone di facilitare l’inserimento nella vita ecclesiale locale, facilitando pazientemente le relazioni, per transitare dalla fase del buon vicinato all’interazione.
Nelle comunità locali
Certamente ci rivolgiamo, ancora, innanzi tutto, agli italiani della prima generazione di emigrati, a coloro che, dalla prima ora, hanno dato un apporto determinante alla costruzione delle comunità etniche. Tuttora queste persone non risultano ben inserite, non solo linguisticamente, nel territorio.
Può sembrare strano, ma i molti giovani delle generazioni successive alla prima cercano di riscoprire ora le loro radici e più facilmente si rivolgono alla comunità ecclesiale italiana piuttosto che a quella tedesca. Un dato significativo è costituito dai bambini che hanno fatto la prima comunione nella parrocchia tedesca, e che poi facilmente si ritrovano, dopo qualche anno, a voler fare la preparazione alla cresima con la missione italiana.
Evidentemente per questi ragazzi non è stato sufficiente conoscere bene la lingua locale per sentirsi integrati nella comunità tedesca. Ed è vero che i tempi dell’integrazione linguistica, non sono gli stessi di quella culturale ed ecclesiale. Ed è proprio tale constatazione a giustificare e a rendere ancora necessaria, a nostro giudizio, l’attuale azione pastorale.
Stiamo assistendo inoltre ad una nuova ondata di emigrazione dall’Italia: la migrazione odierna è fatta per lo più da giovani famiglie e da persone laureate, con qualifiche in tasca, alla ricerca di posti di lavoro. Molti affrontano le difficoltà comportate dalla non-conoscenza della lingua. La comunità italiana è per loro, inevitabilmente, un punto di riferimento importante, ovvero un primo punto di contatto per ricevere orientamento nella società tedesca.
All’interno della comunità italiana si è organizzato un gruppo di giovani famiglie per andare incontro alle nuove famiglie che continuano ad arrivare, per offrire loro anche un po’ di catechesi in lingua italiana. Fra queste, c’è finalmente chi sceglie di fare la preparazione ai sacramenti all’interno della comunità locale, a cui noi possiamo sempre offrire la nostra collaborazione.
Alcune missioni hanno ripreso ad organizzare corsi di lingua tedesca, proprio per facilitare i connazionali nell’inserimento nella società. Non pochi – tra i nuovi giunti – sono italiani naturalizzati e portano con sé non pochi problemi sociali. Molti di loro non sono neppure cristiani cattolici, ma noi, naturalmente, cerchiamo di aiutare tutti indistintamente, a prescindere dall’appartenenza religiosa.
In alcune città importanti, come Monaco di Baviera, giungono inoltre moltissimi giovani, non solo per progetti Erasmus o Socrates ma pure per attività lavorative commissionate all’interno dell’Unione Europea, con imprese internazionali e per periodi definiti di tempo. Questi tecnici non assumono l’impegno di apprendere la lingua locale – in genere usano l’inglese – ma spesso richiedono un’assistenza religiosa e spirituale nella loro lingua con la prospettiva di rientrare in Italia.
È per me motivo di dolore peraltro costatare come spesso gli italiani – che non conoscono la lingua tedesca e che non dispongono di alti titoli professionali – siano ampiamente sfruttati dal mercato nel lavoro, quando non sfruttati da imprenditori connazionali.
Le migrazioni portano a porre l’accento sulla cattolicità della Chiesa, sul dialogo, sull’incontro tra culture nell’ambito di una pastorale di natura interattiva. Oggi possiamo dire di aver raggiunto in Germania un buon livello di scambio tra comunità di madrelingua italiana e comunità autoctone: ora abbiamo progetti fatti insieme, possiamo frequentare liturgie bilingui, disporre di collaborazioni tra consigli pastorali e team pastorali diversi.
Pastorale con i migranti
Nell’annuncio evangelico ai migranti – esaurita la prima fase di preservazione dell’identità – è necessario sviluppare a fondo gli aspetti della cattolicità e della comunione in Cristo. I migranti stessi sono chiamati ad essere protagonisti di questa grossa novità pastorale, proprio perché solo attraverso di loro la Chiesa può essere, al tempo stesso, cattolica e missionaria. In questo passaggio risulta determinante la formazione. Perciò cerchiamo di operare perché i migranti sappiano prendere in mano da sé la conduzione dei gruppi e delle piccole comunità localizzate.
Nonostante gli sforzi, sembra a volte che la nostra pastorale non riesca adeguatamente a trasmettere una visione di diversità nella comunione. Permangono chiusure e pregiudizi nel dialogo, con la precisa sensazione che le comunità di lingua italiana debbano essere in via di estinzione.
Siamo chiamati a fare un ulteriore sforzo: dobbiamo impegnarci a far sì che i migranti da oggetto della nostra missione, diventino soggetto della missione, ossia loro stessi protagonisti della comunicazione e comunione con le comunità autoctone. In tal modo la pastorale per i migranti può divenire la pastorale con i migranti.
Ciò risulta determinante in un tempo in cui – sempre più – vengono a mancare sacerdoti. Penso che le comunità di madrelingua italiana – o comunque straniere in Germania – sopravvivranno ancora a lungo grazie ad un laicato cristiano adulto capace di collaborazione e corresponsabilità con parroci e sacerdoti delle comunità locali. Ci sarà ancora una comunità cristiana di lingua italiana viva in Germania, intenzionata a non disperdere la propria specificità, ma ben disposta a fare Chiesa nell’unica Chiesa cattolica.
- Sonia Cussigh è collaboratrice della Chiesa cattolica di Bad Cannstatt-Munster, nella diocesi di Rottenburg-Stuttgart. Da anni si occupa di pastorale dei migranti italiani.
Grazie dell’articolo che scela cose che non si sapranno mai e che dice molte più cose di quanto non intenda esprimere la gentile colalboratrice. Una grande Chiesa con risorse economiche uniche nel pianeta dovrebbe far entrare anche queste cose nel suo “sinodo”