Il 7 aprile l’Alta Corte di giustizia australiana ha prosciolto il card. George Pell dall’accusa di abusi su due chierichetti a metà degli anni ’90. Liberato poche ore dopo dal carcere di massima sicurezza di Barwon, è ora ospite di un monastero a Est di Melbourne.
La sentenza era attesa, da un lato, e clamorosa, dall’altro. Attesa, perché le prove degli abusi poggiavano sulla testimonianza imprecisa di un’unica vittima. Clamorosa, perché smentisce i due precedenti gradi di giudizio. La sentenza riconduce il tutto al “caso” singolo del cardinale (e lo scagiona) e rimuove di fatto la dimensione simbolica (il più alto dignitario ecclesiastico indicato come pedofilo; cf. Card. Pell: caso o simbolo?).
Il dubbio ragionevole
L’Alta Corte avrebbe potuto confermare il giudizio dei tribunali precedenti e, in questo caso, rendere pienamente esecutiva la condanna a 6 anni di carcere del 78enne cardinale. Oppure poteva chiedere l’instaurazione di un nuovo processo riaprendo l’intero procedimento. Ha scelto di accogliere l’appello del cardinale e l’ha riconosciuto non colpevole.
L’argomento centrale della difesa era che il cardinale non avrebbe potuto avere il tempo materiale di un abuso: non solo perché una sagrestia della cattedrale non è luogo chiuso, soprattutto dopo una celebrazione, ma anche perché era sua abitudine uscire per salutare quanti si fermavano davanti alla chiesa, come hanno testimoniato decine di persone in processo.
La Corte ha ritenuto che fosse «significativa la possibilità di aver condannato una persona innocente, perché le evidenze non hanno soddisfatto il livello di prova necessario». In una breve dichiarazione il cardinale ha commentato: «Non voglio che la mia assoluzione aumenti il dolore e l’amarezza di quanti sono provati; di dolore e amarezza ce n’è abbastanza… Il punto in questione era se avessi commesso o no questi terribili crimini. E non l’ho fatto».
Vescovo-manager, stimato e discusso, Pell diventa cardinale nel 2003. Convocato a Roma da papa Francesco nel 2014 come prefetto della Segreteria economica, il nuovo organismo deputato a mettere ordine nelle finanze e nella gestione amministrativa vaticana, entra nel ristretto gruppo dei C9 (consiglio dei cardinali). Torna in Australia per seguire il processo e, nel 2019, viene sollevato dal suo incarico vaticano, senza alcuna censura ecclesiastica, possibile solo, eventualmente, alla fine del processo civile. A giugno del 2017 viene accusato di violenze sessuali sui minori.
L’anno successivo si avvia il processo. A settembre 2018 il processo è sospeso per la divisione all’interno della giuria. Riprende quasi subito e si chiude con una condanna. Essa è confermata nel tribunale di seconda istanza nel 2019 per la credibilità dell’unica vittima che testimonia abusi subiti (fellatio e masturbazione). Subito incarcerato, il cardinale fa appello e il 12 marzo 2020 i sette giudici dell’Alta Corte australiana riaprono i fascicoli con le conclusione della sua non colpevolezza, resa nota ieri.
L’onore delle vittime
La prima reazione di Pell e della Chiesa locale manifesta la preoccupazione di non penalizzare le vittime. È solo grazie ad esse che il bubbone è scoppiato e che le comunità cristiane hanno presa consapevolezza della dimensione del fenomeno e dello scandalo intollerabile conseguente. È loro merito se oggi si sono avviate procedure, riflessioni e istituzioni a ulteriore garanzia dei bambini in tutte le Chiese locali cattoliche.
Conseguentemente, suonano impropri gli squilli di vittoria dei conservatori, cattolici e non, che utilizzano lo schema complottista per leggere ogni realtà. È la stessa magistratura australiana che, in prima e seconda istanza ha condannato, e in terza istanza ha assolto. È un grave errore trasformare le vittime in perdenti. Del resto basta ricordare le pesantissime conclusioni della Commissione federale australiana che, nel 2017, ha reso pubblici i numeri: 6.875 vittime, delle quali 2.489 nelle istituzioni educative legate alla Chiesa cattolica. Il 7% dei preti cattolici è coinvolto come abusante, con picchi impressionanti in alcune congregazioni e diocesi.
Una riflessione a parte riguarda la dimensione simbolica, la gonfiatura enfatica, mediale e non, che trasforma significative personalità ecclesiali in capri espiatori, senza il supporto di delitti effettivi.
Non si tratta di ignorare che vi sono state corresponsabilità episcopali e vaticane nel caso del fondatore dei Legionari di Cristo (Marcial Maciel Degollado), che alcuni vescovi e prelati hanno rimosso gli abomini di mons. Kadima e del fondatore del Sodalizio, Figari, come di altri fondatori, che troppi non hanno adeguatamente valutato i comportamenti dei preti e religiosi in Irlanda, Germania, Olanda, Stati Uniti ecc. Di tutto questo la Chiesa di Benedetto XVI e di Francesco si è mostrata consapevole.
Ciò che va sottolineato è l’inconsistenza dell’aura pregiudizialmente colpevolista in capo a singoli esponenti. È stato il caso del card. Joseph Bernardin, uno dei più grandi vescovi statunitensi del secolo scorso, che, all’inizio degli ani ’90, si è visto accusare di abusi da una pretesa vittima che poi – troppo tardi – ha ritirato la denuncia.
È successo anche al belga card. Gotfried Danneels che ha visto l’occupazione dell’episcopio da parte della polizia in nome di sospetti rivelatisi del tutto infondati e per una supposta “copertura” a uno scandalo vero che interessava un altro vescovo (mons. Roger J. Vangheluwe).
È successo al card. Philippe Barbarin, ex vescovo di Lione (Francia), prosciolto nel gennaio scorso dall’accusa di avere insabbiato colpevolmente il caso drammatico di un prete abusatore.
L’atteso Vademecum
Dopo il grande incontro dei rappresentanti delle conferenze episcopali mondiali nel febbraio 2018 le decisioni della Santa Sede non si sono fermate: nuove normative per le linee guida, nuove leggi per lo stato del Vaticano, il documento Voi siete la luce del mondo, la rimozione del segreto pontificio, l’avvio di un gruppo di lavoro che ha il compito di aiutare le conferenze episcopali a redigere le loro linee guida.
Vi è ancora molta strada da fare, in particolare l’atteso Vademecum per i vescovi, ma la Chiesa cattolica non è più solo sul banco degli imputati. È a fianco e a sostegno di tutti quelli, dalle famiglie alle istituzioni, si prendono cura della sicurezza e dell’educazione dei bambini.