Ogni anno, decine di migliaia di persone lasciano la Chiesa cattolica in Germania. Anche di questo si tratterà in maggio al Katholikentag. Per la prima volta, un’indagine cerca di entrare nei dettagli delle motivazioni degli “infedeli”. E, a sorpresa, risulta che non è la tassa per la Chiesa la motivazione principale.
Si deve accettare il fatto di essere criticati. Alla Chiesa cattolica, la cosa riesce difficile. A chi le girava le spalle, finora non si chiedevano i motivi alla base della scelta, ma lo si ammoniva. In una lettera-tipo della Conferenza episcopale tedesca del 2012, ideata per i parroci che la dovevano inviare a chi lasciava la comunità, si diceva senza mezzi termini che l’uscita dalla Chiesa era «una grave violazione dell’unione ecclesiale». Seguiva una serie di minacce: nessuna partecipazione ai sacramenti, nessun diritto ad essere padrini o madrine, accesso al matrimonio solo con un permesso eccezionale. «Inoltre, se lei non avrà mostrato prima della sua morte alcun segno di pentimento, potrà esserle negato il funerale cristiano». Un commiato impietoso.
La diocesi di Essen – da decenni scossa dal crollo dei numeri dei suoi fedeli e da difficoltà finanziarie – ha finalmente deciso di assumere un atteggiamento diverso nei confronti dei transfughi: non ha fatto ammonire i cattolici che se ne sono andati, ma li ha fatti seriamente interrogare: la diocesi ha commissionato un’indagine inusuale sui motivi degli abbandoni a studiosi di diverse facoltà teologiche. Ha quindi presentato, alcuni mesi prima del Katholikentag, i risultati dell’indagine che potranno essere discussi all’incontro di Münster. I risultati non saranno molto diversi dalle esperienze in altre regioni. Quindi, per parlare di come la Chiesa debba porsi in futuro, si dovrebbero conoscere le risposte delle persone a cui non andava più bene ciò che la Chiesa offriva.
Klaus Pfeffer, vicario generale ad Essen e moderno manager ecclesiastico, descrive così la nuova strategia: «Occorre entrare in dialogo con le persone che lasciano o che vogliono lasciare la nostra Chiesa. Che cosa li spinge davvero? Come sono arrivati a distanziarsi dalla Chiesa? Che cosa avrebbe potuto contribuire, o potrebbe contribuire in futuro, a evitare gli abbandoni?» scrive Pfeffer. «Queste persone devono pur aver qualcosa da dirci! Non vogliamo quindi più minacciare, ma chiedere umilmente come possiamo migliorare la nostra offerta».
Un punto importante ha sorpreso i ricercatori nella loro analisi: «I soldi, cioè la tassa per la Chiesa, non è il motivo centrale per cui le persone si allontanano dalla Chiesa», dice Tobias Faix della CVJM-Hochschule di Kassel. Certo, la tassa è stata citata abbastanza spesso anche nelle interviste e nei colloqui che Faix e i suoi colleghi hanno condotto per l’indagine della diocesi di Essen. Ma, per lo più, unitamente ad argomenti di tipo personale e contenutistico: la morale rappresentata dalla Chiesa non corrisponde più alla concezione del mondo delle persone e l’arroganza degli ecclesiastici di alto rango disturba da tempo.
Motivi dell’abbandono
Secondo gli autori dello studio, anche l’appartenenza alla Chiesa oggi viene considerata dal punto di vista costi-benefici. Molti ex cattolici sarebbero disposti a pagare le tasse a favore della Chiesa se parroci e vescovi offrissero loro qualcosa di diverso. I motivi di abbandono più importanti possono essere sintetizzati in questi quattro punti: uno specifico momento della vita, gli scandali, il senso di estraneità, la propria concezione del mondo.
Uno specifico momento della vita. Studi universitari, primo impiego, primo avanzamento di carriera o primo insuccesso nel lavoro, matrimonio, figli. La fase che i sociologi definiscono «l’ora di punta della vita» è eccitante, perché proprio lì accadono contemporaneamente molte cose. E, per il rapporto con la Chiesa, è una fase particolarmente critica: nel momento della pianificazione della propria carriera e della propria famiglia, il numero di coloro che decidono di non essere più membri della Chiesa è superiore a quello di chi prende questa decisione in qualsiasi altro momento della vita, scrivono gli autori dello studio. Dei 4300 cattolici che hanno lasciato la diocesi di Essen nel 2016, il 40% apparteneva alla fascia d’età tra i 23 e i 35 anni.
Certo, incide anche il livello dello stipendio: chi si rende conto improvvisamente di dover pagare alcune centinaia di euro alla Chiesa, valuta per la prima volta costi e benefici. Secondo i ricercatori, però, il denaro è solo l’ultima spinta.
Gli scandali. Il 10% degli intervistati ha indicato come motivo dell’abbandono i numerosi casi di abusi sessuali o lo scandalo delle spese pazze per la residenza dell’ex vescovo di Limburg Franz-Peter Tebartz-van Elst. Nella valutazione degli scandali all’interno della Chiesa, i ricercatori notano un cambiamento: il desiderio di trasparenza e di rinnovamento è diventato più forte. Gli scandali non sarebbero più visti come indicatori dell’arretratezza della Chiesa e relativizzati. Questo avrebbe come possibile conseguenza la scelta di uscire da una Chiesa che non viene più vista come integra ma ripetutamente macchiata dagli scandali.
Il senso di estraneità. Dopo le costose tasse, il motivo di abbandono maggiormente indicato è la mancanza di un legame emotivo e pratico con la Chiesa, spesso unito a personali dubbi di fede o alla motivazione di voler scindere la propria fede personale dall’appartenenza alla Chiesa.
La propria concezione del mondo. Anche l’immagine della donna, il celibato, l’atteggiamento verso l’omosessualità – e cioè le tradizionali linee di rottura tra la società liberale e la dottrina morale cattolica – sono tra i motivi maggiormente indicati per l’uscita dalla Chiesa.
Cosa si può cambiare?
Però quanto emerge dall’analisi dei motivi non dà elementi per un cambiamento di atteggiamento.
Che cosa si può cambiare? Gli autori dello studio consigliano i seguenti primi passi per contrastare in qualche modo la tendenza: far passare il messaggio, istituire organismi a cui rivolgersi per i reclami, entrare in contatto dialogando, curare la tradizione, formare il personale, costruire credibilità.
Far passare il messaggio. Poiché la morale (sessuale) cattolica difficilmente può essere superata, i ricercatori consigliano un atteggiamento più offensivo. Le posizioni sull’omosessualità e sui divorziati risposati dovrebbero essere formulati in maniera così chiara e comprensibile che anche i laici possano presentarli. Inoltre, non si dovrebbero proporre solo divieti, ma si dovrebbe presentare il valore della morale. In un mondo plurale queste prese di posizioni potrebbero non essere condivise da tutti, ma chiarirebbero la linea della Chiesa. Nella speranza che, spiegando sinceramente il proprio atteggiamento, si guadagni almeno il rispetto.
Organismi a cui rivolgersi per reclami. In base alle rilevazioni, l’uscita dalla Chiesa è una decisione ben ponderata, alla fine di un lungo processo. Quest’ultimo passo potrebbe essere evitato, dicono i ricercatori. Ad esempio, se ci fosse un luogo dove rivolgersi per i reclami, da cui si potrebbero avere indicazioni migliori. Con buone esperienze, i momenti negativi potrebbero essere superati.
Entrare in contatto, dialogando. Un forte numero di fedeli sono solo formalmente parte della Chiesa. Non partecipano mai o solo raramente alla messa, non conoscono il loro parroco. Anche solo una minima attenzione potrebbe aiutare a rafforzare il legame. Concretamente: dare il benvenuto ai nuovi arrivati con una lettera, oppure sfruttare l’occasione di funerali o battesimi per entrare in dialogo. La Chiesa dovrebbe essere presente nei luoghi che sono importanti per le giovani famiglie, come le scuole elementari, materne, gli asili nido.
Curare la tradizione. Una cosa che ha sorpreso i ricercatori è che, per alcuni, la Chiesa non è più abbastanza tradizionale, abbastanza spirituale. Il consiglio è quindi di offrire anche per questo “target” specifiche offerte.
Formare il personale. Molte persone sono andate via a causa di delusioni personali per l’atteggiamento pastorale, cosa che si dovrebbe poter evitare con una migliore pianificazione e formazione del personale.
Costruire credibilità. Attraverso un simbolico ruolo di guida nella rielaborazione dell’attentato di Utoya, sembra che la Chiesa norvegese abbia migliorato la sua reputazione nella società. Non è riuscita la stessa cosa alle Chiese tedesche con la crisi dei rifugiati: hanno lasciato nelle mani di Horst Seehofer (ndr. del partito CSU, cristiano sociale bavarese) l’interpretazione e quindi anche l’orientamento sul tema.
Fino ad ora è spesso mancato alle Chiese il coraggio di una narrazione forte che susciti interesse nell’opinione pubblica. I ricercatori consigliano perciò ai vescovi di porsi maggiormente come figure significative della loro regione.
Lo studio viene ora effettuato in altre regioni. Il questionario (in tedesco) è reperibile sul sito www.kirchenstudie.de.
Il testo è stato pubblicato in www.zeit.de del 16 febbraio 2018 (traduzione: www.finesettimana.org).