Aníbal German Torres ha trovato le parole giuste: «doctor trinitatis». Il dottore è Piero Coda, teologo di fama internazionale, appena insignito del titolo di dottore honoris causa in teologia.
Torres ne ha parlato in questi termini nel suo articolo sulla rivista online Exaudi dando ampio resoconto dell’evento. La portata di questo riconoscimento è notevole perché in un panorama teologico, che a voler essere benevoli si potrebbe definire non brillante, spicca per originalità e magistero l’ontologia trinitaria di Piero Coda.
Perché la teologia non è concepita dal segretario della CTI come un mero oggetto di studio, tra gli altri, ma piuttosto come uno stile, un metodo, un percorso di vita. La Trinità per Coda è ben più che qualcosa su cui scrivere: è il luogo in cui e da cui pensare, vivere, credere. Oggi la Chiesa intuisce qualcosa di tutto ciò nel processo sinodale, in cui rimette a punto la propria identità come popolo di Dio in cammino e come cammino del popolo di Dio.
Il riconoscimento
Il rinnovamento degli studi teologici tanto auspicato oggi ed emerso come tema urgente nella prima assemblea sinodale sulla sinodalità (di questa urgenza SettimanaNews ha dato conto in diversi articoli) non può avere luogo se ci si concentra meramente su questioni curricolari.
Ci sarà una nuova teologia solo se si avrà il coraggio di pensare altrimenti. E il pensiero che propizia tale rinnovamento deve sorgere «dalle viscere della Rivelazione» (Rosmini). È questo in definitiva l’impegno che ha portato avanti per anni nel suo teologare Coda. Un esercizio vissuto in comunità, anzi, molto di più: in comunione, dove nella pluralità delle voci e degli approcci epistemologici, l’accoglienza e l’ascolto reciproco si fanno risonanza della presenza del Risorto che vive tra i suoi e fa di tutti uno.
Certo, un uno plurale, un uno distinguente (Hemmerle) che non appiattisce le differenze, ma anzi scopre che nell’esercizio del dono reciproco è vero che c’è tanta più unità quanta più distinzione. E viceversa.
Lo hanno colto molto bene i gesuiti argentini che a Córdoba, nella sede dell’Università Cattolica gesuita UCC, erede di una delle prime istituzioni educative in America, il 6 marzo scorso hanno conferito il dottorato honoris causa a Piero Coda. Non è un caso che ciò sia avvenuto in America Latina, il continente che conosce la convivenza di culture in un meticciato fecondo e foriero di creatività straordinaria. Un continente che conosce le lacrime della violenza colonizzatrice di terre e idee. Che per questo sa quanto la pluralità delle voci sia importante e che sa che identità è un sostantivo plurale, meticcio.
Nella luce della Trinità
Oltre all’acume speculativo tipico di Coda, v’è poi il carisma dell’unità di Chiara Lubich che illumina da dentro il suo teologare. La finezza spirituale dei gesuiti ha colto nell’Opera di Piero Coda un esercizio «d’incarnazione» culturale del carisma focolarino.
Il teologo lo ha esplicitato fin dalla metà degli anni Ottanta attraverso la linea di ricerca aperta da Klaus Hemmerle che prende il nome di ontologia trinitaria. Si tratta, per dirla fin troppo sinteticamente, di guardare alla realtà a partire dalla luce della Rivelazione, cioè dalla Trinità, come recita il titolo di un importante libro di Coda. Perché dalla Trinità si vede la realtà in modo non dialettico ma pericoretico, non escludente ma inclusivo, non in termini di opposizione ma di composizione.
Solo uscendo dal dualismo oppositivo in cui si è infossata buona parte della società e della politica (anche ecclesiastica) si può rinnovare la società. Per questo, evidentemente, occorre un pensiero trinitario, capace cioè di pensare l’uno come abitato dai molti. Altrimenti, se non si riesce a convivere tra diversi, l’esito è drammatico e lo stiamo già vedendo: mors tua vita mea.
Un pensiero nella luce della Trinità non è possibile però se non come cammino condiviso con altri, nella reciprocità dell’amore. Si tratta, in fondo e per davvero, non solo dunque come mero auspicio, di abitare la reciprocità del Padre e del Figlio nello Spirito Santo per riaccendere il senso e il destino della storia, come recita il titolo della lectio magistralis che Coda ha tenuto il 7 ottobre nell’auditorium della UCC.
Uno stile, tra vita e pensiero
Di questo, i giorni argentini del teologo torinese sono stati una testimonianza. Oltre agli appuntamenti istituzionali sulla sinodalità e il dialogo interreligioso, si sono svolti in concomitanza, i lavori del gruppo di ricerca in antropologia trinitaria promosso dal CELAM.
Una quindicina di studiosi e studiose, per la quasi totalità latinoamericani, che da una decina d’anni, animati da Coda e dal compianto Juan Carlos Scannone sj, esercitano un pensare e sentire in comune a partire dall’esperienza pratico-teoretica propria di ciascuno. Il risultato è, in questi casi, sempre uno: vedere.
Come sul cammino di Emmaus quando ai viandanti si aprono loro gli occhi nello spezzare il pane: dono di reciprocità che il forestiero fa a coloro che lo avevano accolto. E allora al tramonto sorge la speranza, il cuore s’infiamma e i viandanti diventano discepoli.
Questo è lo stile del teologare di Coda. L’auspicio è che nel necessario processo di riforma degli studi teologici oltre ai curriculum si riformi anche lo stile del fare teologia. Uno stile sinodale capace di abitare la reciprocità trinitaria e di far così sorgere di nuovo la speranza in questo momento piuttosto vespertino della teologia.
Piero Coda, insieme a Pierangelo Sequeri, è uno dei grandi teologia italiani. Sono davvero due maestri. Tuttavia la teologia di Hemmerle, che ha indubbiamente dei punti critici (cfr. https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/05/gioco-e-teologia.html), è stata ampiamente rimodulata e corretta da Coda. A mio avviso sulla sua teologia ha influenzato la sua appartenenza al Movimento dei focolari.