Grandezza del passato e inquietudine del presente: sono i tratti che definiscono la Chiesa polacca. Il 12 settembre sarà celebrata a Varsavia la beatificazione del card. Stefan Wyszynski e con lui la riconquista della nazione cattolica sul regime comunista, avvio del crollo del sistema nei paesi dell’Est Europa.
A lui il parlamento ha dedicato quest’anno e la Chiesa sta spendendosi per ravvivarne la memoria. Sul fronte opposto, la crescente incomprensione della società polacca rispetto alla Chiesa: dalla protesta delle donne che le imputano la stretta legislativa sull’aborto alla polemica con le opposizioni che l’accusano di subalternità al governo di destra, dai giovani che si rifiutano in numero crescente all’insegnamento della religione nella scuola ai ceti culturali che denunciano il suo ripiegamento.
Fino alla lunga serie di accuse e condanne di abusi sessuali per il clero e per i vescovi. L’elenco di questi ultimi minaccia di crescere: J. Paetz nel 2002, H. Gulbinowicz nel 2020, S.L. Glódź e E. Janiak nel 2021. E ora (28 maggio) T. Rakoczy, obbligato a rinunciare a celebrazioni e riunioni pubbliche, alle assemblee della conferenza episcopale, invitato a una vita in spirito di penitenza e preghiera e a versare una congrua somma alla Fondazione San Giuseppe che gestisce il problema degli abusi del clero.
Wyszynski: padre della patria
L’onore e le celebrazioni per il card. Wyszynski trovano un ampio riscontro nella coscienza ecclesiale e nel consenso pubblico. Nato nel 1901 in una famiglia umile e povera, Stefan diventa prete a 23 anni buttandosi nell’ambito educativo e sociale. Durante la Seconda guerra mondiale è cappellano nella resistenza. Entra in clandestinità e scampa alla deportazione ad Auschwitz.
A 47 anni è vescovo a Varsavia, sotto il giogo comunista. Nominato cardinale nel 1952 resiste pubblicamente ai nuovi padroni. È incarcerato dal 1953 al 1956. Diventa l’uomo simbolo della resistenza del popolo. Guida con mano ferma l’episcopato e le Chiese del paese con la sapienza di non rompere mai del tutto il dialogo con il governo e il partito. Partecipa al concilio Vaticano II e nel 1966 avvia i nove anni di preparazione al millennio della fede nel paese.
Nel 1978, entrando in conclave, suggerisce a Karol Wojtyla «se ti scelgono devi accettare» – propiziando il primo papa polacco della storia della Chiesa. Muore nel 1981 con una Chiesa in piena vitalità e a pochi anni di distanza dal crollo del sistema.
Fra le iniziative in suo onore vi è una serie di omelie-conferenze affidate ai massimi responsabili dell’episcopato: M. Janocha, R. Markowski, P. Jarecki, K. Nycz, W. Polak. Il 28 maggio è toccato al presidente della conferenza episcopale: mons. S. Gadecki. A lui è stata affidata la memoria di uno degli eventi paradigmatici del post-concilio: la lettera con cui i vescovi polacchi si rivolsero a quelli tedeschi per una riconciliazione fra i due popoli, nel 1965.
La lettera all’episcopato tedesco
Al termine del concilio Wyszynski aveva avviato una serie di lettere a numerosi episcopati perché partecipassero al millennio del cristianesimo in Polonia. All’interno di questo carteggio, particolare cura venne data alla lettera per il papa Paolo VI e a quella, molto delicata, con i vescovi tedeschi. Ciascuna lettera aveva il suo piccolo gruppo di estensori per poi venire verificata dai vescovi e dal primate in particolare, che, assieme a Maria Winowska, fu il motore dell’impresa.
Quella al papa diede la forma comune a tutte: ciò che ci unisce, chiediamo preghiere, forse puoi venire a trovarci. La lettera-messaggio ai vescovi tedeschi aveva un precedente importante: un memorandum delle Chiese protestanti tedesche nel 1965 auspicava un accordo fra tedeschi e polacchi e il riconoscimento dei confini (la nota linea Oder-Naisse) usciti dalla Seconda guerra mondiale. Un gesto che probabilmente incoraggiò il primate nel suo intento.
La prima stesura che venne sostanzialmente confermata nelle sette stesure successive – ricorda Gadecki – fu opera di Boleslaw Kominek, vescovo di Breslavia, che usò alcuni suoi studi precedenti e i testi di H. Ludat e O. Halecki. Fra i nomi che misero mano al testo vi fu W. Urban che successe a Kominek come vescovo a Breslavia, il gruppo dell’Istituto storico polacco di Roma e alcuni padri gesuiti della Radio Vaticana.
Il messaggio fu approvato il 18 novembre 1965 dal primate, da Wojtyla e dai 35 vescovi che avevano partecipato all’ultima sessione del concilio. Non tutti erano d’accordo, ma l’autorità di Wyszynski non si discuteva.
Diamo e chiediamo perdono
Ecco alcuni brani della lettera-messaggio. «Dopo tutto ciò che è accaduto nel passato, non c’è da meravigliarsi che l’intero popolo polacco si trovi ora sotto la pressione di un elementare bisogno di sicurezza e consideri ancora con diffidenza i suoi prossimi vicini occidentali.
Questo atteggiamento è, per così dire, il problema della nostra generazione e, Dio ce lo conceda, scomparirà con la buona volontà e deve scomparire… Il peso che grava sui nostri rapporti reciproci è ancora greve e viene accresciuto da quello che è il problema più spinoso di questa vicinanza; il confine occidentale polacco sull’Oder e la Neisse è, come noi ben comprendiamo, per la Germania un frutto estremamente amaro dell’ultima guerra di annientamento di massa, insieme ai lutti dei milioni di fuggiaschi e tedeschi espulsi».
Ricordano la drastica riduzione territoriale subita dalla Polonia nel patto tedesco-russo e il trasferimento massiccio di popolazione polacca dall’Est all’Ovest (territori sottratti alla Germania). «Cari fratelli tedeschi, non rammaricatevi con noi per questa elencazione di ciò che è accaduto nell’ultima parte del nostro millennio. Essa deve essere non tanto un’accusa quanto piuttosto una nostra giustificazione. Sappiamo molto bene come gran parte della popolazione tedesca per anni ha dovuto subire la sovraumana pressione esercitata dal nazionalsocialismo sulle coscienze…
Migliaia di tedeschi condivisero come cristiani e comunisti nei campi di concentramento la sorte dei nostri fratelli polacchi. E malgrado questo, malgrado questa situazione gravata in modo quasi disperato dal passato, proprio da questa situazione, venerabili fratelli, rivolgiamo a voi l’appello: cerchiamo di dimenticare!».
«In questo spirito cristianissimo, ma anche umanissimo, tendiamo a voi le nostre mani, qui dagli scranni del concilio: diamo e chiediamo perdono. E se voi, vescovi e padri conciliari tedeschi, tendete fraternamente le vostre mani, potremmo celebrare il nostro millennio, con coscienza tranquilla nel modo più cristiano».
La risposta tedesca fu sotto le aspettative. Così scrisse il polacco S. Stomma: «A una lettera scritta dal profondo della coscienza pastorale, alla voce eroica della morale dei vescovi polacchi che rischiavano l’impopolarità e l’incomprensione dei fedeli, si diede una risposta laconica, educata, corretta e, appunto, evasiva».
I vescovi tedeschi non se la sentirono di esporsi sul riconoscimento dei confini per la consistenza numerica degli esuli, per il risentimento popolare per i polacchi e per la paura che il partito di governo (la democrazia cristiana) venisse penalizzata dalle forze della destra. Come disse l’allora ministro degli esteri tedesco, Heinrich von Brentano, i confini sono irreversibili, ma è troppo presto per dirlo.
Discussa e feconda
Durissima la reazione del governo e del partito comunista polacco. Accusarono l’episcopato di avere scritto tenendo nascosto il tutto al parlamento e ai massimi responsabili politici, di essersi mostrati arrendevoli e deboli rispetto ai tedeschi (in presenza di una vasto sentimento anti-tedesco in Polonia), di non aver insistito sui confini dando ai tedeschi l’impressione di poterli cambiare a loro favore.
Gadecki annota: «Ricordo personalmente quanta indignazione causò quella lettera nei ranghi di partito e del governo in Polonia a quel tempo. Il comitato centrale del partito decise che i vescovi avevano falsificato la storia, che il messaggio serviva gli interessi tedeschi e che i suoi firmatari avevano compiuto un tradimento del paese. Inoltre le autorità lanciarono una dura campagna di propaganda contro gli autori. Per i comunisti vi era una occasione unica per distruggere l’autorità della Chiesa».
Lo storico W. Baroszewski conclude: «La lettera dei vescovi polacchi si poneva decisamente sopra lo stato medio di consapevolezza sociale e di maturità morale dei cattolici polacchi. La risposta dei vescovi tedeschi invece corrispondeva al grado di maturità morale dei cattolici tedeschi».
Ma in seguito si misurò l’effetto positivo dell’apertura dei vescovi polacchi. Poco tempo dopo, 160 fra i massimi intellettuali e credenti tedeschi nel cosiddetto Memorandum di Bensberg chiesero con forza il riconoscimento dei confini post-bellici, il proseguo della riconciliazione con la Polonia e un più deciso cammino per l’unità europea.
Nel 1967 la Santa Sede nominò gli amministratori apostolici nelle diocesi di territorio ex tedeschi. Nel 1973 la presidenza dei vescovi tedeschi visitò la Polonia e cinque anni dopo i polacchi fecero il viaggio inverso. Ma il clima sociale cambiò con il colpo di stato di Jaruzelski nel 1981: la Chiesa e la società tedesca si mobilitarono per sostenere le famiglie polacche. Nel 1990 avvenne l’unificazione della Germania e nel 1991 i due governi firmarono un trattato di collaborazione che sotterrava per sempre le richieste di scambio di territori.
Ogni decennio successivo, la lettera-messaggio venne ricordata da un incontro e da un documento dei due episcopati, anche se in nessuna memoria si raggiunse l’intelligenza e il coraggio spirituale e storico di quel primo passo.
Anzi, lentamente ripresero fiato diffidenze e divergenze che motivano oggi una posizione dell’episcopato polacco molto critica nei confronti delle scelte ecclesiali tedesche e in generale, occidentali: troppo deboli di fronte alla secolarizzazione, troppo succubi dello spirito del tempo e disponibili a riforme ecclesiali come quelle richieste nel sinodo nazionale in corso.
Davanti o dietro?
Mentre lo scontro politico si è decantato nella comune appartenenza all’Unione Europea e l’attesa di sicurezza rispetto alla Russia è salvaguardata dall’ingresso della Polonia nella Nato, la differenza sulla modalità di presentazione di alcuni valori cristiani e morali sta diventando una sorta di barriera culturale.
Non solo verso l’Europa occidentale, ma anche dentro la Chiesa polacca che, da avanguardia della libertà e della tolleranza culturale, è percepita ormai da quasi la metà della popolazione – stando alle ricerche sociologiche – come la retroguardia della cultura civile, indebolendo anche le buone ragioni che la sostengono.
Un triplice segnale in merito: la memoria antisemita, il ruolo della cultura di destra dell’Ordo Iuris, la distanza dall’orientamento di papa Francesco.
La legge sulla memoria approvata pochi anni fa dal parlamento e condivisa dalla Chiesa per impedire ogni coinvolgimento dei polacchi nella shoah, come la resistenza già nel 1995 a un documento comune con i tedeschi e il dibattito sul monastero nei pressi di Auschwitz mostrano una ferita ancora aperta.
Negli anni ’90 l’intellettuale cattolico Jerzy Turowicz annotava: «Auschwitz è il punto di svolta dell’intera storia degli ebrei come popolo. Noi polacchi dovremmo capirlo e non dimenticare che per quanto duro sia stato il nostro destino non possiamo metterlo sullo stesso piano di quello degli ebrei che fu molto più duro».
Ordo Iuris è una fondazione culturale del pensiero di destra, soprattutto giuridico, che ha avuto un ruolo importante nel convincere i giudici della Corte costituzionale ad approvare la nuova stretta sulla legge dell’aborto e sta facendo pressione perché la Polonia e i paesi vicini non ratifichino la Convenzione di Istanbul sulla violenza alle donne e a garanzia delle relazioni di genere. Il 28 maggio ha inaugurato a Varsavia il Collegium intermarium (mar Baltico, mar Nero e mare Adriatico) come contraltare del pensiero di destra alla Central european university, voluta dal finanziere Soros a Budapest (ora a Vienna).
Il 4 ottobre comincerà la visita ad limina dell’episcopato polacco. Mentre sono state rinviate altre visite di episcopati quella coi polacchi è stata fissata prima possibile. Si dice anche su sollecitazione del nunzio a Varsavia, mons. S. Pennacchio. La questione degli abusi, le tensioni sociali e un’accoglienza tiepida dell’insegnamento del papa avranno il loro luogo di confronto.