Si è conclusa la visita ad limina dei vescovi polacchi (4-20 ottobre). Dotati di un eccellente tesoro storico (i 100 anni dalla nascita di Giovanni Paolo II, la beatificazione del «primate del millennio», il cardinale Stefan Wyszynski, trent’anni di libertà dalla caduta del regime), sono tuttavia appesantiti da nuove fragilità: lo scandalo degli abusi dei chierici, il declino della credibilità istituzionale, lo smagrimento dei numeri (frequentanti, seminaristi, ora di religione ecc.).
Prima dell’appuntamento romano, il primate Wojciech Polak, vescovo di Gniezno, indicava le tre sfide maggiori della Chiesa polacca. La prima è la sfida migratoria e la formazione all’apertura verso i nuovi arrivati. La seconda è la ripresa pastorale dopo la pandemia. La terza è la crisi di credibilità della Chiesa.
Nella lettera pastorale dei vescovi alle comunità, letta il 17 ottobre nelle chiese in occasione dell’avvio del sinodo mondiale, si sottolinea una duplice domanda. «Vale la pena chiedersi: gli altri, guardando la mia vita, possono vedere il riflesso di Cristo-servo in essa, o piuttosto qualcuno costantemente preoccupato della propria posizione e dei propri affari, costantemente indignato con gli altri e chiuso nel suo mondo? E poi: cosa si vede guardando la vita delle nostre comunità ecclesiali: Cristo chino al servizio dei più deboli o preoccupazione per l’immagine dell’istituzione, la lotta per la propria opzione pastorale o la propria appartenenza politica?».
Il cammino sinodale suggerisce non solo il coinvolgimento di tutte le comunità cattoliche, ma anche di quanti sono ai margini dell’esperienza ecclesiale e della vita civile.
Le vittime ignorate
Dalla scarsa e frammentaria informazione mediale del soggiorno romano dei vescovi sono emerse tre indicazioni: la richiesta di una modulazione più prudente delle disposizioni circa la messa preconciliare, la posizione dei vescovi nello scontro fra governo polacco e Commissione europea e il suggerimento di adattare e calibrare le censure ai vescovi coinvolti nella copertura dei casi di abuso.
Sono considerate «sproporzionate» le pene previste per i vescovi accusati di coperture verso gli abusatori. «Sono state espresse critiche – così mons. Stanislaw Gadecki, presidente della conferenza episcopale – sul trattamento riservato dalla Santa Sede ai vescovi cui sono state comminate pene per mancanze, trasgressioni o atti di dimenticanza nei confronti del clero accusato di pedofilia».
Mentre i pedofili possono uscire dal carcere dopo alcuni anni con la fedina penale a posto e avviarsi a una vita nuova, un vescovo, non pedofilo, è destinato alla «morte civile», «viene rimosso dall’incarico, cade nell’infamia ed è annientato dai media». Il prefetto della Congregazione dei vescovi, card. Marc Ouellet, avrebbe risposto: «Non si tratta di liberare i vescovi dalla responsabilità delle azioni, ma di riflettere su una possibile graduazione delle pene».
Dura la reazione delle vittime. R. Fidura, vittima di abusi e coinvolto dal primate, mons. Polak, nel consiglio della Fondazione san Giuseppe, creata dai vescovi per coordinare l’insieme delle azioni sul versante degli abusi del clero e dimessosi in polemica con le resistenze di molti esponenti dell’episcopato, ha commentato su Wieź: «Difficile trovare uno scivolone più clamoroso del presidente dell’episcopato polacco, che racconta con orgoglio in pubblico di essersi lamentato in Congregazione del “rigore” delle procedure vaticane, comunemente ritenute troppo deboli e opache».
Dopo dieci condanne ad altrettanti vescovi, «i gerarchi devono andare veramente ad pedes vulneratorum (la visita dei vescovi a Roma è chiamata: ad limina ad pedes sancti Petri, ndr), ai piedi degli offesi… È triste che il presidente sia così concentrato sui preti e i vescovi e non si accorga delle vittime».
È in atto un confronto molto duro fra quanti, preti, vescovi e laici, si ritrovano negli indirizzi e nelle iniziative della Fondazione san Giuseppe e quanti non escono dalla prioritaria difesa dell’istituzione. Da un lato, si celebra con successo un importante convegno per mettere in rete tutte le iniziative anti-abusi nell’insieme delle Chiese centro-europee (Varsavia, 19-22 settembre), dall’altro, come ha detto mons. Polak, «stiamo ancora avvertendo chiaramente una forte resistenza e una comprensione insufficiente del nostro lavoro nelle nostre comunità».
E non solo nelle comunità, se l’opinione pubblica cattolica indica nel vicepresidente, il vescovo di Cracovia, Marek Jedraszewski, la punta di lancia della resistenza. Non mancano voci, come quella del sacerdote Tadeusz Isakowicz-Zaleski, noto per il suo passato di oppositore al regime comunista, che chiede apertamente una commissione indipendente di indagine come è avvenuto in Francia.
Del resto, la provincia dei domenicani polacchi ha chiesto e avuto un rapporto (260 pagine) di una commissione indipendente circa i gravi abusi operati da p. Pawel M. e dalla sua comunità di Breslavia. Se lo fanno i religiosi, si dice, possono farlo anche i vescovi.
Fuori dall’Unione Europea?
Mentre i gerarchi erano a Roma, a Bruxelles si consumava uno scontro al calor bianco fra la Commissione europea e il governo polacco. Nonostante la difesa rocciosa del premier polacco, Mateusz Morawiecki, davanti al parlamento dell’Unione, la Corte di giustizia ha comminato il 27 ottobre una pena da un milione di euro al giorno contro la Polonia se non blocca, come più volte promesso, l’attività della sezione disciplinare nominata dall’esecutivo per controllare i giudici polacchi.
La Corte costituzionale polacca il 7 ottobre ha dichiarato non accettabili l’articolo 1 e 19 del Trattato di Lisbona (2009), ponendosi fuori dal quadro del diritto comunitario. La grave dissonanza che minaccia il cuore stesso dell’Unione ha provocato grandi manifestazioni in Polonia a favore di Bruxelles e contro l’ipotesi di una Polexit (cf. SettimanaNews, qui).
L’autonomia della magistratura è uno dei capisaldi della democrazia liberale che il governo di destra in Polonia sta distruggendo dal 2015. In merito, non si registra una sola parola della dirigenza dei vescovi, come se la difesa della democrazia non rientrasse nei suoi compiti. Interrogato su questo argomento, mons. Gadecki, ha telegraficamente detto: «Vogliamo tutti restare in Europa» – sovrapponendosi ancora una volta al giudizio del governo che considera il tutto come un intollerabile ricatto e liquida il pericolo di una Polexit come una fake news.
Adam Bodnar, ex membro del Consiglio del Fondo dell’ONU per le vittime della tortura ed ex preside della facoltà di giurisprudenza dell’università di Varsavia, ha denunciato la crisi dello stato di diritto nel paese. «La crisi consiste in un attacco all’indipendenza della Corte costituzionale, nella subordinazione della procura agli interessi politici, nella limitazione dell’indipendenza della magistratura, nella riduzione del ruolo del parlamento».
Si produce un avvelenamento progressivo della vita civile, un crescente senso di imprevedibilità e di instabilità dell’ordinamento giuridico, una pervasiva mancanza di responsabilità politica, delegata alla Corte costituzionale. Si parla di «legalismo discriminatorio» e cioè la legge è applicata con durezza agli oppositori ideologici e politici, mentre è disattesa per gli alleati del potere politico.
A caccia di migranti
È quanto sta succedendo anche contro la stessa Chiesa, quando, come nel caso delle migrazioni di siriani e afghani dalla Bielorussia, si schiera a favore degli immigrati. L’azione dei volontari cattolici è disciplinata se non impedita, mentre bande paramilitari di destra scorazzano senza controllo nelle aree boschive del confine alla ricerca di immigrati da assicurare alla polizia. Tanto da provocare la denuncia del vescovo di Görlitz, Wolfang Ipolt, che ha detto: «È vergognoso per la nostra città che, nelle ultime settimane, gruppi radicali di destra siano usciti di notte come ronda nella zona di confine e pretendano di sostituirsi alla polizia dando la caccia ai profughi per assicurarli alle forze dell’ordine». E si chiede: «Cosa sta succedendo in loro che si vantano di fermare persone innocenti? Dov’è la pietà per loro?».
È comprensibile che fra preti e laicato si registri una crescente inquietudine e dure contrapposizioni. L’esito non sarà indifferente per la Chiesa polacca e le Chiese del centro-Europa. E neppure per noi.