Ricorre oggi in Portogallo il 50mo anniversario della Rivoluzione dei garofani, la rivolta prima solo militare poi anche popolare che depose il dittatore Marcelo Caetano e segnò in modo incruento la fine del regime Estado Novo instaurato da António Salazar nel 1933.
«Ho grande speranza nel futuro della Chiesa in Portogallo. Dio ha messo tutto dalla sua parte. Il Concilio e la rivoluzione del 25 aprile 1974 sono stati due grandi grazie. Una dalla mano destra di Dio e l’altra dalla mano sinistra». Era la primavera del 1980. Me lo diceva mons. Manuel Martins, dal 1975 vescovo di Setubal.
Mi ricevette nella sua casa modesta. Niente insegne episcopali, se non l’anello. Uomo intelligente, venuto dal ricco Nord del Portogallo, battagliero. Aveva avuto le sue difficoltà con il dittatore Salazar. Lo paragonavano, per le sue simpatie e impegno per la classe operaia, al vescovo francese Alfred Ancel, di cui aveva una grande stima.
La mano sinistra di Dio
Chiesi al vescovo Martins il senso del suo giudizio: «La mano sinistra di Dio sono gli schiaffi della rivoluzione del 25 aprile, la fine del rapporto stretto Stato-Chiesa, un po’ come la rivoluzione francese per la Francia. La mano destra è quella che accarezza, la più dolce. Il Concilio è stato un affare interno alla Chiesa sia pure in rapporto al mondo, e Dio ci ha dato gentilmente una mano».
Si discuteva molto in quegli anni sul passato della Chiesa portoghese legata al regime salazariano. Non erano un mistero le relazioni amichevoli del dittatore Salazar con il patriarca di Lisbona Gonçalvez Cerejeira, le coperture della Chiesa al regime, gli appoggi e i privilegi che ne venivano. La Chiesa portoghese accolse a braccia aperte il regime dittatoriale nel 1928, che si proponeva di porre fine all’anticlericalismo della Prima Repubblica.
Il mitico e odiato Salazar nel 1928 faceva il suo ingresso al governo e nel 1933 con la Costituzione salazariana dava inizio allo «Stato Nuovo» (Estado Novo). Tenutosi fuori dal secondo conflitto mondiale, il Portogallo di Salazar viveva distante dall’Europa. La dittatura non si curava delle aspre critiche, combatteva e reprimeva l’opposizione interna, affrontava la guerriglia degli anni sessanta in Angola, Mozambico, Guinea.
Nel 1968 l’Europa veniva scossa dalla contestazione. Salazar cedette il posto a Marcelo Caetano a motivo della sua sopravvenuta invalidità. Nel 1974 incominciarono i torbidi. Il potere era nelle mani di una giunta di «salvezza nazionale» formata dai militari. Nel 1974 si formò un secondo governo provvisorio, presieduto dal colonnello Vasco Conçalves, di sinistra. Vi era anarchia politica e numerosi erano i tentativi rivoluzionari. Il 28 settembre 1974, il Presidente della Repubblica, il generale Antonio de Spinola, rinunciò alle sue funzioni.
Euforia e disincanto
Il 25 aprile 1974 è la data storica della rivoluzione. Si tennero le prime elezioni per formare l’Assemblea costituente. Quattro i partiti in campo: il Partito socialista ottenne il 38 per cento, il Partito popolare democratico il 26,5 per cento, il Partito comunista il 12,5 per cento, il Centro democratico sociale il 7 per cento.
Il 2 aprile 1976 il Portogallo aveva una nuova Costituzione di sinistra, che si proponeva di «assicurare la transizione verso il socialismo, mediante la creazione di condizioni per l’esercizio democratico da parte delle classi popolari». In luglio, con il 61 per cento dei suffragi, venne eletto presidente della Repubblica il generale Ramalho Eanes.
Nel 1979 si tennero le elezioni politiche anticipate. La coalizione conservatrice (Alleanza democratica) ottenne la maggioranza assoluta nell’Assemblea e formò il governo. Nel 1980 Eanes fu eletto presidente per la seconda volta con il 56,4 per cento dei suffragi contro il 40,2 per cento di Sa Carneiro di Alleanza democratica.
Che cosa fu il 25 aprile 1974? Risposero i giovani dai quindici ai ventiquattro anni per conto di un’inchiesta della Fondazione Gulbenkian (1983): «non giudico» (16,4 per cento); «non ha portato benefici» (26,4 per cento); «indifferente» (52,1 per cento). E per la società borghese? «benefico» (47,5 per cento), «non lo so» (21,9 per cento); «senza incidenza» (22 per cento). I giovani si dichiararono di destra il 24 per cento, il 26 per centro di centro destra, il 26 per cento di centro sinistra, il 24 per cento di sinistra.
Mi faceva notare il «vescovo rosso» di Setubal: «La destra è forte. Il pericolo c’è. Lo esprimo così: tutti pensano la destra al potere, molti la temono, moltissimi la desiderano. C’è il disastro economico. I migliori economisti ritengono che non ci sia rimedio. Si sente spesso gridare per le strade: “Ci vuole Salazar!”». Ancora il vescovo di Setubal: «Prima c’è stata l’euforia, poi il disincanto, adesso la delusione, dopo verrà la disperazione. La gente non crede ai comunisti. Un nuovo Salazar? La gente lo vuole».