«Stiamo vivendo un’esperienza senza precedenti per le nostre generazioni»: così inizia un documento di riflessione sulla pandemia Covid-19, approvato alla fine dell’assemblea generale dall’episcopato portoghese (Fatima, 15–17 giugno 2020). Un «piccolo contributo» alle sfide che si aprono e che riguardano «le basi su cui poggiano le nostre società».
Se le norme di confinamento e di chiusura sono state necessarie nel momento dell’esplosione pandemica, le indicazioni per il “dopo” richiedono discernimento più che determinismo. Vi sono elementi preziosi di questa crisi come il più prudente utilizzo dei trasporti, l’apprendimento a distanza e il telelavoro. Ma la lezione prioritaria è la «riscoperta del valore inestimabile di ogni vita umana» che ha giustificato le limitazioni alle libertà personali, il confinamento e i disagi. Un orientamento «consensualmente accettato da persone di vari orientamenti» che i vescovi apprezzano e che va riconfermato nel momento in cui verranno chiesti sacrifici per «ricominciare e ricostruire» come suona il titolo del documento. «Senza un’efficace solidarietà, non saremo mai in grado di superare questa crisi» che è senza precedenti.
Gratitudine e convergenze
Sono state per tutti evidenti l’importanza e la nobiltà della missione degli operatori sanitari, nei cui confronti «non ci sarà mai troppa gratitudine». Ma è emersa anche «la rilevanza dei servizi sanitari… È diventato più chiaro che la spesa per questi servizi non è superflua» e che richiede «la responsabilità innegabile dello stato» anche se, oltre al pubblico, è auspicabile il ruolo del settore sociale e del privato. L’impegno di tutti per salvare le vite ne ha mostrato anche le fragilità e precarietà «che né la scienza più avanzata né la ricchezza materiale possono annullare».
«È bastato un virus invisibile a ricordarcelo. Questa deve essere anche un’occasione per riscoprire Dio, al quale dobbiamo la vita e che ci chiama a condividere con lui un’altra vita, di pienezza e di eternità». La famiglia si è mostrata, ancora una volta, «la prima ed essenziale roccaforte di sostegno nelle situazioni difficili». Accanto ad essa, sono emersi molti servizi considerati marginali come la protezione civile, la sicurezza pubblica, la fornitura del cibo e le strutture dell’informazione. In particolare, «la pandemia ha rafforzato in molte persone la consapevolezza del bene comune come bene di ognuno e di tutti: tutti siamo parte di un’unica famiglia umana e abitiamo una casa comune».
Dobbiamo affrontare la «grave crisi economica e sociale» con la convinzione espressa da papa Francesco, «siamo tutti nella stessa barca», e con un’attenzione particolare ai più deboli: senza tetto, immigrati, senza fissa dimora, baraccati. L’esplosione della disoccupazione richiederà una positiva convergenza fra imprenditori e lavoratori, come, a livello politico, fra maggioranza e opposizione. I disagi della crisi potrebbero essere molto elevati, facendo riscoprire «l’importanza dello stato, non solo per quanto riguarda il necessario sostegno sociale, ma anche per quanto attiene al rilancio dell’economia».
L’ideologia neo-liberista è fallita, mentre ne esce confermata la dottrina sociale della Chiesa e i suoi principi, in particolare quello di sussidiarietà. Andrà stimolata la creatività della società civile e sostenute le istituzioni di solidarietà sociale, fra cui quelle cattoliche. Non basterà «l’aiuto sporadico e occasionale», né le emozioni momentanee. Solo indirizzi politici e amministrativi continui e coerenti potranno far fronte ai molti che non avranno più reddito o ne avranno uno troppo basso.
Lo stato e l’Unione Europea
«La necessaria ricostruzione di un sistema economico a cui assisteremo nel prossimo futuro, dovrebbe essere un’occasione per ripensarlo, preservando ciò che è buono e correggendo ciò che è negativo e ingiusto». Sapendo, – come ha indicato l’enciclica Caritas in veritate – che la solidarietà e la gratuità devono entrare a titolo pieno nel mercato. Così come la salvaguardia dell’ambiente, prima che i cambiamenti climatici richiedano un prezzo ancora più grave della pandemia. La globalizzazione ha certo mostrato i suoi limiti (oltre ai vantaggi), ma questo non deve favorire «un nazionalismo di esclusione, il protezionismo economico e l’ostilità nei confronti dei migranti». Si tratta di attuare una globalizzazione solidale.
«Più che costruire muri, è necessario rafforzare gli sforzi congiunti di diversi paesi per rispondere alle sfide che ora si presentano». La lotta alla pandemia richiede il convergente sforzo di tutti i paesi e la salute pubblica non può che essere mondiale. Sarà necessario «rendere universale l’accesso al futuro vaccino contro il Covid-19, che spinge al superamento di un uso eccessivamente rigido dei diritti di proprietà intellettuale in campo sanitario».
Vi è una sfida decisiva per l’Unione Europea. «Il sentimento di appartenenza che ha dato coesione alla comunità continentale può diminuire o addirittura scomparire se i cittadini europei avvertono l’Unione come estranea ai loro drammi. Per questo l’Unione Europea si trova oggi di fronte a quella che forse è la più grande sfida della sua storia. Nella lotta alla pandemia e alla crisi economica e sociale deve agire come una vera comunità e non come un aggregato di interessi contrapposti». I vescovi sono consapevoli che si tratta di una riflessione solo iniziale e la propongono «solo come un contributo costruttivo e cordiale senza pretendere di offrire soluzioni tecniche e immediate».
Un dehoniano al timone
L’assemblea ha provveduto anche alle nomine delle sue cariche interne. Fra queste emergono quelle di due dehoniani: il presidente della conferenza, José Ornelas Carvalho, vescovo di Setùbal ed ex superiore generale della congregazione (2003-2015), e il segretario, p. Manuel Barbosa.
Nella sua prima conferenza stampa da presidente, mons. Ornelas, oltre a ripercorrere i temi emersi dal documento, ha fatto quattro sottolineature in particolare: la questione dei poveri, il tema dell’eutanasia legato alla difesa della vita, l’adeguamento ecclesiale alle norme di sicurezza sanitaria e l’atteggiamento dialogico nei confronti della politica. «La pandemia ci ha fatto capire che le sacche di povertà mettono a repentaglio l’intera società. Una società come la nostra non può permetterselo». Affermare il valore della vita contrasta con la richiesta di legalizzazione dell’eutanasia. Non si può non affermarlo in particolare per le fasi più fragili dell’esistenza: il nascere e il morire.
Con l’attenzione a rivedere i modelli delle case di cura per gli anziani dove il virus ha fatto strage. Un messaggio per il gruppo di lavoro parlamentare sulla legge che si riunirà di nuovo fra qualche giorno. In merito, la Chiesa e le fedi si sono già espresse nel 2016 e nel febbraio scorso. Sulla rigorosa osservanza delle norme di confinamento che hanno interessato le celebrazioni, i riti e alcune espressioni rilevanti della vita ecclesiale, mons. Ornelas, ha fatto presente – parlando in particolare ai critici interni – che non si è trattato di «obbedienza» e di subalternità della Chiesa allo stato, ma dell’«esercizio di una responsabilità che abbiamo per il rispetto della vita».
Quanto al mondo politico e istituzionale, il nuovo presidente dei vescovi si è mostrato molto disponibile e ha espresso l’intenzione di «cercare convergenze» con l’insieme delle forze politiche e di governo.
La crisi finale del razionalismo