Uno dei temi più controversi nell’attuale dibattito sia teologico sia pastorale riguarda il modo di valorizzare le istanze che derivano dalla vita delle persone e, più ampiamente, dalle varie culture per una comprensione più approfondita della Tradizione della fede e per realizzare la riforma della Chiesa.
Perché ascoltare anche il mondo?
Per molti secoli si è pensato che la comunità ecclesiale fosse una società perfetta, cioè autosufficiente rispetto al mondo e alle sue dinamiche, e che quindi quest’ultimo potesse solamente ricevere dall’insegnamento dei pastori quei principi su cui avrebbe dovuto fondarsi per allinearsi alla volontà di Dio.
Anche il vissuto delle persone non era ritenuto significativo per la missione della Chiesa, dal momento che le caratteristiche e i contenuti di questa missione erano già predefiniti e non potevano subire alcun adattamento.
La teologia dei primi decenni del ’900 ha ripensato il rapporto tra la comunità ecclesiale e il mondo, riconoscendo che quest’ultimo è in grado di cogliere e di esprimere qualche aspetto della verità divina.
Padre Congar si muove proprio in questa linea, affermando che non solo la Chiesa deve offrire delle risposte alle questioni poste dal mondo, ma che pure quest’ultimo può proporre delle risposte alle domande ecclesiali, divenendo così strumento della parola di Dio per la conversione delle comunità cristiane: «Talvolta il mondo non pone alla Chiesa soltanto delle questioni, ma offre anche risposte parziali, dei valori positivi, benché ancora piuttosto rozzi o inadeguati. Questi si sviluppano sul piano delle idee, e guidano a nuove prospettive di cui può trarre profitto lo stesso popolo di Dio. Sovente, d’altronde, il mondo non fa che rendere al cristianesimo ciò che ha ricevuto da esso in germe. In ogni caso, una parte del progresso del cristianesimo avviene grazie ad elementi che provengono dai non cristiani. […] Può anche darsi che, formulando delle critiche e anche dei giudizi molto severi sulla vita della Chiesa, mettendo gravemente in questione certi atteggiamenti dei cristiani, il mondo pronunci, senza saperlo, il giudizio di Dio» (Y. Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1972, 119, traduzione rivista).
Dunque, la riforma della Chiesa non passa solamente attraverso un ritorno alle fonti bibliche, patristiche e liturgiche, e attraverso un recupero della grande tradizione teologica e spirituale dei secoli passati, ma deve arricchirsi anche delle istanze che derivano dalla società nella sua pluriformità.
Esiste un’azione della grazia al di fuori dei confini ecclesiali che va riconosciuta e accolta.
Operazione rischiosa ma necessaria
Il problema è che questa operazione è pericolosa, dal momento che, così facendo, la Chiesa rischia di mondanizzarsi, cioè di adeguarsi a istanze della società che non vengono da Dio e non edificano il suo regno. Occorre, quindi, un discernimento molto attento per cogliere la verità divina dovunque essa si trovi e distinguerla da ciò che le è alieno a partire dal confronto con le fonti, soprattutto con la Scrittura.
Ci si potrebbe chiedere come mai Dio non abbia voluto donare solamente alla sua Chiesa la sua verità, ma l’abbia frammentata anche all’interno del mondo, complicando così la missione ecclesiale e obbligando le comunità cristiana ad un ascolto che è sempre pericoloso.
In realtà, proprio questa situazione singolare consente alla Chiesa di essere tutelata da un grave rischio per la sua missione. La necessità di dover ascoltare il mondo alla ricerca di una Parola che Dio ha voluto disseminare al suo interno impedisce che la Chiesa si senta proprietaria di questa Parola, che finisca per considerarla un suo possesso, finendo così per mettersi al posto di Dio e per assumere l’atteggiamento demoniaco per eccellenza.
In secondo luogo, la frammentazione della verità divina al di fuori dei confini ecclesiali consente alla Chiesa di vivere nei confronti del mondo una relazione di reciprocità.
Con questo termine si indica un tipo di rapporto nel quale si sfugge ad una logica di potere, di controllo o di imposizione della propria superiorità, ma si arricchisce l’altro e ci si fa arricchire da esso nel rispetto della reciproca identità e alterità.
Il fatto che la parola di Dio sia disseminata anche nel mondo consente alla Chiesa di costruire rapporti di reciprocità con la società, caratterizzati sia dalla testimonianza coraggiosa del Vangelo sia dall’ascolto della verità divina che risuona nel vissuto delle persone, nelle questioni che emergono nella vita pubblica, nelle varie istanze delle differenti culture, e così via.
Nel contesto sinodale, la Chiesa italiana si è impegnata anche in un ascolto delle opinioni di persone lontane dalla vita ecclesiale. Ha intrapreso così un percorso virtuoso alla ricerca della verità di Dio dovunque egli abbia deciso di seminarla e di costruire relazioni di reciprocità con coloro che le sono più distanti.
Forse, questo ascolto non farà emergere contenuti di particolare rilevanza, ma rappresenterà una medicina preziosa contro qualunque tentativo ecclesiale di considerare la Parola come proprio possesso e gli atteggiamenti supponenti che ne derivano.
A me pare che oggi ci sia un problema nella Chiesa molto forte: chi/cosa si ascolta? Talvolta ho l’impressione che si ascolti più se stessi e non l’altro, incluso l’Altro per eccellenza. Anche perché c’è un certo analfabetismo della Parola: cfr: https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/12/cattolicesimo-borghese6.html.
Bel contributo