Papa Francesco ha tolto la prescrizione all’accusa di abusi compiuti dall’ex gesuita Marko Rupnik; la comunità Loyola, luogo originario delle violenze, potrebbe essere chiusa; il processo amministrativo cede il passo al processo penale. Sono gli eventi che hanno rovesciato il giudizio prevalente di una chiusura favorevole a Rupnik della complessa vicenda che lo riguarda (qui).
L’udienza pontificia accordata a Maria Campatelli, direttrice del Centro Aletti, l’esito della visita canonica al Centro da parte di don Giacomo Incitti (canonista, docente presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma) e l’incardinazione di Rupnik nella diocesi di Capodistria (Koper, Slovenia) avevano infatti convinto i più che la protezione papale avrebbe garantito l’artista e la sua opera. Depositando un’ombra seria sul pontificato.
La Commissione per la tutela dei minori
In un breve comunicato della Sala stampa vaticana si legge che la Commissione vaticana per la tutela dei minori ha segnalato gravi problemi nella gestione del caso e denunciato la mancata vicinanza alle vittime. «Di conseguenza il santo Padre ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della fede di esaminare il caso e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento del processo» (27 ottobre 2023).
La decisione ha raccolto un ampio consenso, confermando tuttavia lo stupore per un cambiamento tanto repentino. Le domande si susseguono: Rupnik prenderà parte al processo? Sarà un processo trasparente e definitivo? Si chiariranno finalmente tutti i passaggi dei due processi precedenti (il primo chiuso con la scomunica, subito tolta, il secondo con il ricorso alla prescrizione)? Come reagiranno le consacrate del Centro Aletti?
«Siamo molto sorprese – hanno scritto cinque vittime – del comunicato della Santa Sede nel quale il santo Padre chiede di esaminare il caso Rupnik al dicastero della dottrina della fede e deroga alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo che possa rendere giustizia alle vittime. Speriamo che questo sia un passo idoneo per vedere riconosciuta la verità. Siamo in attesa di ulteriori sviluppi» (Domani, 30 ottobre).
In un comunicato stampa del 30 ottobre, l’associazione Italychurchtoo («Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica»), auspica: «Il processo canonico a Rupnik, alla cui istruzione il papa si è impegnato, non si trasformi in un processo alle vittime; la loro credibilità di donne adulte dovrà essere rispettata e tutelata; dovranno potersi avvalere di avvocati di loro scelta; essere informate debitamente sulle procedure e coinvolte direttamente; in caso contrario, non faranno che rivivere un ulteriore abuso».
Il 29 settembre la Commissione per la tutela dei minori scrive ai sinodali per sollecitare l’attenzione agli abusi da parte dell’assemblea. L’8 ottobre un suo membro, Patricia Espinosa, si indirizza alle vittime di Rupnik ammettendo di non poter modificare le sentenze, ma di essere decisa a controllare l’attenzione alle vittime e la correttezza delle procedure. Il 21 ottobre c’è stato un incontro tra la commissione e alcune vittime. All’indomani del comunicato del 27 ottobre la Commissione ne sottolinea l’importanza «per tutta la Chiesa».
Incardinazione e dubbi sulle procedure
Il 26 ottobre esce la notizia dell’incardinazione di Rupnik nella diocesi di Koper (Capodistria, Slovenia). Il vescovo Jurij Bizjak dichiara di non disporre di alcun documento probatorio che Rupnik sia oggetto della condanna di un tribunale, senza la quale egli «beneficia degli stessi diritti e doveri di ogni altro prete». La decisione è condivisa dal nunzio, Jean-Marie Speich. Già in marzo il vescovo aveva ricevuto tutte le informazioni del caso dai gesuiti e, in giugno, una lettera di Rupnik per essere ammesso nel presbiterio.
Il 18 settembre ha fatto molto rumore la nota del vicariato di Roma (card. De Donatis) al termine della visita canonica di mons. Giacomo Incitti al Centro Aletti. Il visitatore segnala una vita comunitaria sana e priva di criticità, una piena disponibilità alla prova e l’opportunità di una qualche modifica statutaria.
«Il visitatore ha doverosamente esaminato anche le principali accuse che sono state mosse a p. Rupnik, soprattutto quella che ha portato alla richiesta di scomunica. In base al copioso materiale documentario studiato, il visitatore ha potuto riscontrare, e ha quindi segnalato, procedure gravemente anomale il cui esame ha generato fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica».
Il giudizio netto si rovescia come un’accusa di incompetenza al dicastero della dottrina della fede e ai procedimenti condotti dalla Compagnia di Gesù. Cresce il malumore nell’episcopato sloveno, che aveva preso una posizione molto critica verso l’artista, e nello stesso governo che gli aveva ritirato un prestigioso premio nazionale.
Quali sarebbero le procedure anomale? La «complice» nell’assoluzione avrebbe parzialmente modificato il suo racconto in una lettera successiva; il «reo» sarebbe apparso in tribunale senza avvocato e senza sapere che poteva, seduta stante, ricorrere all’istanza superiore; il processo «amministrativo» (comune in molti casi di abuso e molto più rapido) non garantirebbe i diritti fondamentali dell’accusato come il processo «penale», non utilizzato nel caso in esame.
Un confronto molto duro avviene in vicariato fra il card. A. De Donatis e il vescovo ausiliare Daniele Libanori. Quest’ultimo era stato visitatore alla comunità Loyola e autore di una valutazione assai critica sulla fondatrice, Ivanka Hosta e sull’operato di Marko Rupnik.
Da quasi cardinale a impunito
Sull’immagine pubblica di Rupnik si depositano accuse sempre più gravi: «È un violentatore di coscienze, un predatore, un molestatore sessuale e ora, per opera e grazia di un cardinale di nome angelico (Angelo De Donatis – ndr) è diventato un protetto. Rupnik può fare quello che vuole a Roma, è impunito» (Cristina I. Sanz).
Fino a pochi mesi prima dello scoppio del caso (2022) diverse autorevoli voci lo davano come candidato al cardinalato. Si sapeva del suo influsso in ordine alla scelta di vescovi «amici», dei vescovi sloveni e alla gestione del dossier «Stepinac» in attesa di beatificazione da molti anni.
Oltre alla nota del vicariato e alla notizia dell’incardinazione, ha fatto impressione la visita al papa di Maria Campatelli, presidente del Centro Aletti (15 settembre). Un appuntamento a cui si è dato ampia diffusione sui media, ma non da parte dell’interessata.
Con la nota del vicariato e l’udienza papale esplode la sofferenza delle vittime. Cinque di loro (con nome e cognome) scrivono: «In questi due avvenimenti non casuali, anche nella loro successione nel tempo, riconosciamo che alla Chiesa non interessa nulla delle vittime e di chi chiede giustizia; e che la “tolleranza zero sugli abusi nella Chiesa” è stata solo una campagna pubblicitaria, a cui hanno invece fatto seguito solo azioni spesso occulte, che hanno invece sostenuto e coperto gli autori di abusi… Non abbiamo altre parole perché tutta la sofferenza delle vittime l’abbiamo esposta come una ferita aperta e certo disgustosa… E le vittime sono perciò state censurate per non essere state discrete, ma avere esposto qualcosa di ripugnante: il loro dolore, la manipolazione di chi le ha circuite in nome di Cristo, dell’amore spirituale, della Trinità. Hanno esposto il loro dolore, perché la manipolazione e gli abusi ne hanno ferito per sempre la dignità».
Il papa c’entra o no?
Nel frattempo la situazione della comunità Loyola (circa 50 suore) diventa sempre più difficile. Dopo la visita di mons. Libanori (2020-2022), un rapporto è presentato al dicastero dei religiosi e un decreto (21 giugno 2023) impone alla fondatrice di rinunciare ad ogni posizione di governo, di trasferirsi a Braga (Portogallo), di fare un pellegrinaggio una volta al mese per pregare «per le vittime del comportamento di p. Marko Ivan Rupnik e per tutte le suore della Comunità Loyola». A breve dovrebbe arrivare la decisione del dicastero. Non viene esclusa la chiusura della comunità.
Ma papa Francesco c’entra o no? In un paio di risposte ai giornalisti ha detto di essere sostanzialmente estraneo alla questione, dicendo di Rupnik: «Ci si accorge di trovarsi di fronte a una persona molto limitata, che però è potente, a volte» (Associated Press 25 gennaio).
Nondimeno sono continuate le voci, alcune autorevoli, di un interventismo sistematico. Tanto da indurre R. Zbinden a tre ipotesi: il papa non sa effettivamente nulla del caso; conosce il caso, ma blocca le procedure perché non è convinto della sua colpevolezza; lo difende in ragione della sua amicizia e della salvaguardia dell’istituzione.
«Qualunque sia la verità, il fatto che le informazioni date dalle istanze vaticane siano, come d’abitudine, particolarmente lacunose, ermetiche e imprecise non contribuiscono in niente ad appianare i rumori, le speculazioni e l’appetito giornalistico per i sospetti di intrighi e complotti» (www.cath.ch).
La scelta compiuta da Francesco di togliere la prescrizione per permettere che le denunce delle 25 vittime trovino conferma o meno nell’aula di un tribunale ha rasserenato il clima e avviato quella che, forse, sarà la conclusione di un dramma ecclesiale.
Tutta questa drammatica vicenda mi fa pensare che come per Galileo ci vorranno due secoli perchè la Chiesa chieda perdono a Padre Rupnik, La sua sincerità, anche cruda su alcune azioni ipocrite della Chiesa e il suo successo artistico hanno suscitato odio ben manovrato contro di lui , io dico solo che dopo quaranta anni di ateismo mi ha riportato a credere in Dio e di questo gli sarò sempre grata
È la solita teoria del complotto (ce l’hanno con me per invidia, perché mi odiano ecc.), che non regge, come non regge il paragone con Galileo (che un processo l’ha affrontato e si è difeso, mentre Rupnik l’ha sempre evitato e non ha fatto alcun intervento pubblico). Se è innocente, dovrebbe essere il primo a voler vedere riabilitato il suo nome. Se non lo è, la chiesa dovrebbe farsi carico della vita rubata alle vittime (che denunciano da anni, senza ricevere risposta, udienza, ascolto). Chi ha insabbiato le denunce, screditato le vittime, coperto i fatti per il buon nome della chiesa è responsabile tanto quanto chi ha commesso gli abusi.
Sono pienamente d’accordo. Il confronto con Galileo non calza anche per il contenuto dell’accusa. Semmai è l’esercizio del medesimo potere che condanna la scienza e copre gli abusi che poi sono abusi di potere! Io penso che è tempo che la nostra madre Chiesa affronti con coraggio questo suo lato oscuro. Sempre presente anche nella vita terrena di Gesù contro il quale ha sempre combattuto, mettendo in guardia i suoi discepoli, fino alla sua morte violenta. Ma noi lo abbiamo reso sacro questo potere, dimenticando che per il cristiano di sacro c’è solo la nudità di un Dio crocifisso. Penso che come la società civile deve confrontarsi con i femminicidi, così la chiesa deve confrontarsi con l’esercizio dell’autorità al suo interno. Per me sono le due facce di una stessa medaglia. Non si può più aspettare.
La Chiesa dovrebbe chiedere perdono a Padre Rupnik o quest’ ultimo dovrebbe chiedere perdono alle sue numerose vittime???
Chi l’ ha portata alla fede avrebbe un patentino di infallibilità per caso? Non le è mai capitato di conoscere cristiani ” duoble face”?
Più verosimilmente il successo artistico gli avrà portato dei soldi….
Io cambierei il titolo, al di là della vicenda ben ricostruita in questo articoletto, e metterei questo titolo: “Rupnik: finalmente a processo!”. Su certi reati non dovrebbe esseri prescrizione. Nessuno può e deve godere di un’immunità che gli consente di poter continuare a fare quello che ha fatto (conferenziere, direttore spirituale ecc…) senza conseguenze per ciò che ha commesso.
Ormai siamo alle comiche.
Scomunicato, descomunicato (si dice così?), espulso dai gesuiti, ammesso in Istria, la sua comunità, secondo il vicariato di Roma, è un esempio da seguire…
Speriamo che ci sia un vero processo per capirci qualcosa e non il solito provvedimento amministrativo che lascia tutto nell’ ombra.
La situazione è complessa e riguarda diversi aspetti (giuridico, dottrinale, pastorale…) che si incrociano fra di loro e questo richiusa di creare fraintendimenti sulla faccenda nella quale comunque in sintesi si può dire che chi soffre ed è ferito deve essere tutelato e sperimentare la vicinanza della Chiesa.
Per stare sull’ambito giuridico, riguardo la scomunica, se ho capito bene, viene non dai fatti di violenza compiuto, non c’è stato un processo che l’ha riconosciuto colpevole e gli ha inflitto una scomunica come condanna, ma essa viene dall’aver assolto “la complice” nel peccato contro il sesto comandamento il che prevede una scomunica immediata (senza sentenza) riservata alla santa sede, ossia per essere rimessa occorre rivolgersi ad essa; probabilmente questo stato fatto da Rupnik e gli saranno state date delle “penitenze” e in seguito a questo gli è stata rimessa la scomunica, pratica abbastanza comune in questi casi, che la cosa poi sia opportuna o no non lo so perchè non conosco i confronti avvenuti e il percorso fatto.
Riguardo la sua espulsione dai gesuiti, così facendo si dice che non è più un religioso di quell’ordine, ma rimane presbitero fino a quando e se dovesse intervenire una sentenza di riduzione allo stato laicale, essendo rimasto presbitero il diritto prevede che non ci possono essere chierici vaganti quindi occorre che venga incardinato da qualche parte, finché rimane prete è così per il diritto e il compromesso per risolvere la questione è stato trovato incardinandolo in una nuova diocesi, che la cosa poi sia opportuna o no esula da quanto sto spiegando, è una formalità del diritto che non entra nel merito di quanto accaduto.
Grazie,
Che la situazione sia complessa è poco ma sicuro.
Io mi sono persuaso del fatto che in tutta questa storia c’è veramente qualcosa di poco chiaro,
E’ come se ci fossero due cordate: una pro e l’altra contro don Rupnik:
Cordata contro: scomunichiamolo
Cordata pro: facciamogli rimettere la scomunica
Cordata contro: cacciamolo dai Gesuiti
Cordata pro: facciamolo incardinare in Istria
Cordata contro: le comunità fondate da Rupnik marciano veramente male e sono fonte di violenza psicologica e di intromissioni nel foro interno
Cordata pro: le comunità fondate da Rupnik sono degli esempi da seguire, tutto va bene e non c’è nulla da cambiare.
Ora che un tale bailamme sia normale non mi pare proprio.
Spero che il processo faccia chiarezza non soltanto sui fatti di cui don Rupnik è accusato ma nache sulle vicende che hanno condotto a questo processo.
Tanto basterà aspettare per capire dove andremo a finire.
Il problema è che le stesse persone che hanno creato questo intrico indistricabile ora devono rigiudicare Rupnik. Non sarebbe meglio affidare il caso a un soggetto terzo estraneo ai fatti ed indipendente?
Il dramma ecclesiale non si concludera’ col processo a Rupnik: non si esce da un dramma entrando in una farsa .