Lo scorso mese di agosto si sono incontrati a Fortrose (Scozia) il vescovo emerito di Aberdeen, Peter Antony Moran, e don Francesco Strazzari. In una lunga chiacchierata informale il vescovo si è intrattenuto su alcuni passaggi particolarmente delicati che si trova oggi ad affrontare il cattolicesimo scozzese. Il vescovo stesso li ha sintetizzati nei cinque punti sotto riportati.
I cattolici della Scozia sono, sotto molti aspetti, veramente fortunati. Sono 750.000 su circa 5.400.000 di abitanti, cioè 14% della popolazione (cifre molto arrotondate), figurano nella vita professionale, giuridica e politica del paese, e vengono riconosciuti come cittadini del paese a pieno titolo.
Essi affrontano non di meno forti sfide lanciate da questa società che si crede ben disposta e bene intenzionata. Ne scelgo cinque: non sono tutte ugualmente gravi ma toccano tutti i principi di una vita genuinamente cattolica.
1. I negozi e la domenica
In Scozia i supermercati e altri grandi negozi rimangono aperti non solo la domenica ma 24 ore su sette giorni: la legge non lo proibisce, e ormai quasi tutti lo troviamo normale. Le compere le facciamo quando ci conviene, incontriamo amici in un ambiente comodo e gradevole… Con il risultato che la domenica diventa – anche per i cattolici – un giorno come tutti gli altri, un giorno privo di senso sacro.
Questo cambiamento di abitudini non impedisce, ben inteso, la partecipazione alla messa da parte di quelli che decidono di andarci, ma rischia di cambiare il senso stesso della messa, fino a farla diventare un peso di cui sbarazzarsi per poi trascorrere una giornata di libertà…
2. Le scuole e i licei cattolici
L’anno prossimo, 2018, si celebrerà il centenario di una legge, attualmente in vigore ma soltanto in Scozia (non in Inghilterra), con la quale si stabilì che le scuole e i licei cattolici, pur rimanendo cattolici, diventassero istituti pubblici. Questi istituti scolastici sono finanziati con fondi pubblici. Gli insegnanti vengono nominati dalle autorità provinciali, previa approvazione del vescovo.
Cent’anni fa, grazie ad un accordo del tutto imprevedibile tra la Chiesa e le autorità provinciali, l’educazione cattolica non fu più un fardello finanziario che pesava sulle parrocchie povere.
Oggi, però, questo sistema crea due problemi molto differenti, uno esterno alla Chiesa e uno interno ad essa.
Primo problema: esiste sempre sullo sfondo un’opposizione, perché (questa è l’accusa) un sistema come questo sostiene ingiustamente (con finanze pubbliche) la religione cattolica e favorisce la Chiesa cattolica. C’è da dire che il governo scozzese non si mostra d’accordo con questa opinione.
Il secondo problema è forse ancor più pericoloso: data la presenza di scuole primarie cattoliche in tutti i centri densamente popolati, le famiglie (i genitori) rischiano di demandare alla scuola l’intera formazione religiosa dei bambini. E – peggio ancora – se tale famiglia si trasferisce là dove non esiste una scuola cattolica, potrebbe non esserci più nessuna formazione religiosa, anche se ad offrirla fosse la parrocchia.
3. Il “diritto” all’aborto
L’anno prossimo, 2018, segna anche un altro anniversario: il 50° della legge che permetteva l’aborto, legge considerata oggi quasi da tutti come buona e progressista. Bisogna dire che, all’epoca, la Chiesa era propensa ad accettare la motivazione che era meglio proteggere le donne dal rischio letale di un aborto “backstreet” (segreto e fatto senza garanzie dal punto di vista medico): possiamo parlare della scelta del male minore?…
Questa nuova legge richiedeva – è chiaro – alcune precauzioni come, per esempio, il consenso di due medici. Alcuni però prevedevano già ciò che sarebbe accaduto di fatto. vale a dire l’enorme estensione (la “liberalizzazione”) di questo permesso. Questi tali fondarono la SPUC (= Society for the Protection of the Unborn Child”), in italiano “Associazione per la protezione del bambino non-nato”, organizzando manifestazioni e cercando fino all’ultimo, cioè fin sulla soglia delle cliniche, di persuadere le donne in attesa di cambiare idea. Alcuni membri della SPUC furono addirittura messi in prigione con l’accusa di “turbativa dell’ordine pubblico”.
Questa “azione cattolica” era – ed è tuttora – molto pressante e ben nota tra i cattolici scozzesi, ma non ha ottenuto alcuna modifica della legge. Cinquant’anni dopo la prima legge si parla dell’aborto come di un “diritto” della donna in gravidanza e sempre più spesso di “interruzione” della gravidanza, come se questa fosse una malattia. Raramente si parla dei diritti del bambino. Invece, nell’Irlanda del Nord (che pure fa parte della Gran Bretagna), la legge sull’aborto è meno “liberale”, e si protesta contro questa differenza perché, per abortire, bisogna venire in Inghilterra o in Scozia (pagando le spese del viaggio).
È probabile, dopo tanti anni, che un certo numero di cattolici, anche se non accettano l’aborto, non abbiano più la percezione della pericolosità di questa mentalità che si è ingenerata e di quanto sia seria questa sfida.
4. Il “matrimonio” omosessuale
Dapprima è andata diminuendo la disapprovazione dei rapporti sessuali fuori del matrimonio; poi non era più un problema la coabitazione permanente; in seguito non si nascose più l’accettazione dei rapporti omosessuali; più tardi ancora arrivarono i “civil partnerships” (contratti civili fra due persone del medesimo sesso); e, infine, il “same sex marriage” (“matrimonio” omosessuale), ammesso come legale dal parlamento scozzese.
La Chiesa si dichiarava contraria e protestava, ma ciascuna tappa di quell’itinerario venne accettata da molti come un passo verso una maggiore libertà personale e come un comportamento onesto e aperto, giustificabile con il rispetto dovuto alla coscienza di ciascuno…; e così, quasi senza accorgercene, siamo arrivati a ridefinire un elemento fondamentale della società: la famiglia.
Ripercorrendo l’itinerario sopra descritto, si costata oggi che si è trattato di una serie di tappe e di passaggi, nessuno dei quali, all’epoca, sembrava così grave. Ci si chiede anche se non ci fosse, più o meno dichiarata, una campagna organizzata nel tempo e se la Chiesa non avrebbe dovuto organizzarsi per meglio dimostrare la gravità della posta in palio. I figli di questo mondo sono più scaltri… (Lc 16,8).
5. Il sesso (o “genere”): una scelta personale
Parlare di “scelta personale” significa ancora una volta il desiderio di garantire la libertà dell’individuo come ultima giustificazione. Ciascuno può scegliere il suo “gender” (genere). Chi esita o rifiuta di accettare questo diritto rischia di trovarsi tacciato di essere un conservatore o un tradizionalista.
Esageriamo forse? Ci sono persone che si sentono “nate nel corpo sbagliato”, psicologicamente femminili ma con la fisiologia esterna e interna maschile (o il contrario). Con le ricerche degli scienziati si è accresciuta la nostra conoscenza dei cromosomi e da quelle ricerche sembra che tali individui esistano e che abbiano perciò il diritto di essere ascoltati. Ma quanti sono?
Si vedono in questi ultimi tempi negli Stati Uniti (ma anche qui in Scozia) degli adolescenti oppure degli alunni di scuola primaria che reclamano il diritto di vestirsi e di comportarsi come membri dell’altro “gender”. Sorpresa e ansietà enorme per il loro genitori; problemi di gestione per i direttori delle scuole; e un interrogativo da porre: si tratta di una cosa seria finora evitata o tenuta nascosta, oppure (a parte una situazione che potrebbe essere vera per pochi individui) si tratta di una moda o di un capriccio?
Ecco la quinta sfida lanciata alla Chiesa nel suo ruolo di custos morum, e anche ai fedeli che le appartengono.