La trasformazione della sessualità (matrimonio paritario, procreazione responsabile, identità omosessuale, autorità pubblica femminile) è uno dei terreni su cui il cattolicesimo rischia di legare la propria identità alle logiche della società chiusa. Occorre comporre Humanae vitae e Dignitatis humanae. Pubblicato il 21 maggio 2023 nel blog: Come se non
Se osserviamo con cura la storia degli ultimi duecento anni, possiamo notare come le posizioni del magistero cattolico abbiano patito l’impatto con il mondo tardo moderno, nei suoi aspetti più qualificanti: la società aperta mette in crisi le forme classiche di esercizio dell’autorità, di produzione, le forme e i tempi del vivere, le relazione sessuali e i diversi modi dell’identità sociale.
In tutto questo grande ambito di concezioni, forse quello che, fin dall’inizio, è parso come prioritario è sembrato il campo della concezione del matrimonio, della vita sessuale e dell’esercizio della libertà. Potremmo dire che l’intreccio tra esercizio dell’autorità e vissuto della sfera affettiva e sessuale, costituiscono un plesso decisivo per intendere le sfide principali di fronte a cui il cattolicesimo sente di essere sfidato in profondo, da almeno 150 anni.
Vi è un «filo rosso» che unifica, sotto traccia, l’emergere di un matrimonio «paritario», la possibilità di una maternità responsabile, l’emergere di orientamenti sessuali omoaffettivi in cerca di riconoscimento sociale, la possibilità che il sesso femminile acquisisca un riconoscimento di autorità.
Ciò che unifica tutte queste diverse fattispecie è un nuovo e spesso inaudito «bisogno di riconoscimento», che elabori diversamente la correlazione tra cultura e Vangelo, sfuggendo alla trappola di una presunzione pericolosa: ossia quella che pensa di poter identificare in una «cultura contingente» il Vangelo stesso, in forma, se non infallibile, quanto meno definitiva. Proviamo a soffermarci brevemente su ciascuno di questi ambiti.
Chi riconosce le unioni legittime
a) L’autorità che riconosce le unioni legittime è solo la Chiesa? Questo è il timore profondo, che ha inaugurato una serie di encicliche, che da Leone XIII (1880) arrivano fino ad Amoris laetitia (2016). Il nuovo mondo della «sentimentalizzazione» del matrimonio, che inizia dal XIX secolo, scopre gradualmente la pari dignità di uomo e donna.
La forza di questa nuova rappresentazione culturale, nella quale la «patria potestà» viene sostituita dalla «potestà genitoriale» trasforma anche il rito della Chiesa cattolica. Si passa dall’unico anello, che il marito infila nel dito della moglie, allo «scambio degli anelli». E la benedizione, che da molti secoli riguardava esclusivamente la sposa, diventa «benedizione degli sposi». La traccia evidente della «pari dignità» della donna ottiene, almeno in termini formali, una completa recezione. La differenza sessuale si coniuga con una eguaglianza battesimale e civile.
Qui i passi, almeno sul piano positivo, sono stati compiuti. Sul modo di affrontare le crisi ancora permane un modello di «concorrenza tra ordinamenti giuridici paralleli» che impone spesso la ricostruzione mistificata dei vissuti e l’applicazione troppo facile di fictiones iuris, per far tornare i conti.
Controllo delle nascite
b) Le forme della convivenza, del matrimonio civile e del matrimonio sacramentale elaborano una «sapienza» sul bene, che vede affermarsi forme sempre più sofisticate e sicure di «paternità e maternità responsabile». L’uso dei «metodi di controllo delle nascite» implica uno spazio di discernimento nel quale la Chiesa ritiene di poter decidere «a priori» su quali siano i metodi leciti e quelli illeciti.
Già con Casti connubii (1930) vi era stata una forte ripresa dell’esclusiva facoltà di Dio nel decidere sulle nascite. Ma, nel 1968, Humanae vitae ritiene di assumere un’iniziativa forte contro l’impiego di anticoncezionali che non rispettino il «metodo naturale».
L’esclusione di uno spazio prudenziale affidato ai soggetti del rapporto sessuale, e la sua sostituzione con una decisione «in contumacia» da parte del magistero, rende molto difficile distinguere il bonum prolis dal bonum coniugum, stabilendo un vincolo «naturale» tra atto sessuale e generazione. Non solo in genere, ma in specie. Una comprensione «biologistica» del sesso è ancora alla radice di una posizione troppo marginale, frutto di una teologia da scrivania e non da strada.
Vissuti omosessuali
c) In modo simile il magistero affronta con diversi documenti, tra gli anni Settanta del XX secolo e gli anni Venti del secolo XXI, la questione del riconoscimento dei «vissuti omosessuali»: non solo degli atti, ma delle condizioni e dei progetti.
La tentazione di giungere a una «definizione» del comportamento omosessuale in termini di «autocompiacimento» – universalmente chiuso a ogni possibilità di autentica relazione, se non in termini di castità – delinea, anche in questo campo, una lettura estrinseca della cultura e la convinzione che la tradizione, con le sue fonti storicamente limitate, sia in grado di venire a capo delle questioni nuove in modo autonomo e incondizionato.
Una Chiesa che non sa benedire i percorsi, ma solo i soggetti, non è esemplare e fatica a riconoscere la realtà.
Il femminile e l’ordine sacro
d) In modo ancora più evidente, la relazione tra autorità e sesso appare limpidamente limitata nel modo con cui viene impostata (e si crede di risolvere) la questione dell’accesso del «sesso femminile» al sacramento dell’ordine.
La dissimulazione dell’immobilismo sotto la figura di una «obbedienza e fedeltà ecclesiale alla volontà del Signore» esclude, a priori, ogni spazio per il riconoscimento della pur minima trasformazione nell’identità e nella percezione della «donna», al di fuori degli stereotipi essenzialistici, spesso tradotti addirittura in «principi», su cui si sono costruiti grandi pregiudizi, felici barzellette e infelicissime incomprensioni o violenze.
La pretesa di risolvere la questione dell’accesso delle donne al ministero ordinato, sostituendo all’argomento contra naturam quello contra historiam, appare segnato da un tratto ancora più viscerale, sebbene sia in linea con quanto osservato fin qui.
La parola dei «terzi»
La prudenza ecclesiale, che non può mai venir meno, non si identifica mai con l’immobilismo. L’esigenza di trovare risposte adeguate su ognuno di questi piani riguarda esattamente l’esercizio di questa prudenza. Per essere prudenti bisogna evitare di cadere nell’errore di ritenere che l’unica possibilità sia quella di difendere anche le scelte inopportune o sbagliate addirittura.
Come Amoris laetitia ha segnato una tappa nuova rispetto all’assetto magisteriale che da Arcanum divinae sapientiae arrivava fino a Familiaris consortio, subendo in modo troppo smaccato l’identificazione tra «pastorale» e «gestione giuridica del rapporto», così occorre che la considerazione della sessualità non venga giustificata soltanto in relazione alla generazione (anche se questa non può mai essere esclusa), che la tendenza omosessuale di ogni soggetto non venga semplicemente sottoposta a una riduzione al peccato, che la considerazione della donna sappia riconoscere e valorizzare anche la donna nella chiamata al carisma profetico, al carisma di governo nonché al carisma di culto e santificazione.
Anche le forme fragili con cui il magistero perpetua l’incomprensione del munus docendi, regendi e sanctificandi delle donne riposa su una questione sessuale non sufficientemente elaborata e risolta, quando va bene, con principi di comodo, quando va male con un carico di violenza indifferente e di discriminazione efficace che è tanto più pesante in chi la subisce quanto meno è consapevole in chi la infligge.
In tutti questi quattro casi, dove di mezzo vi è sempre una visione del significato globale del sesso come «coscienza sessuale dei soggetti», l’obbedienza della teologia al magistero deve diventare responsabile di dare la parola ai «terzi». Una vera obbedienza, se diventasse indifferenza verso i terzi o riduzione dei loro vissuti a stereotipi senza cuore, diventerebbe un pessimo servizio alla Chiesa.
Le famiglie effettivamente esistenti, le forme della generazione responsabile, le relazioni omosessuali e le possibili chiamate femminili al ministero ordinato non possono essere risolte senza una triangolazione strutturale: parola magisteriale, riflessione teologica ed esperienza vissuta si richiamano e chiedono una diversa integrazione, che metta in gioco, contemporaneamente, la capacità magisteriale di ascolto dell’esperienza per offrire una lettura fedele della parola di Dio, l’elaborazione di categorie nuove da parte della teologia, in grado di mediare pensiero, parola e azione e, infine, la veridicità con cui ogni uomo e ogni donna, fuori da ogni cattura ideologica, interna o esterna alla Chiesa, possa valorizzare in pieno la propria vocazione.
Il prof. Grillo continua nella sua “kulturkampf” evidentemente finalizzata a scollare la Chiesa attuale da Scritture e Tradizione. Ciò che rimane è una chiesa non tanto “in uscita” quanto alla rincorsa dei “venti di dottrina” dominanti. L’approccio storicista salta agli occhi quando – ed è questa la prospettiva in tutti i punti qui trattati – si ritiene che solo le istanze secolari siano capaci di “elaborare sapienza”. I padri, e lo stesso Cristo – anch’esso irrimediabilmente cristallizzato nella sua “fonte storicamente limitata” (i vangeli) – restano nell’angolo. Si fanno avanti invece i veri maestri dei teologi “da strada” (o da accademia?) come il professore Grillo: da Hegel, giù giù sino a Deridda, Deleuze e Foucault. Senza dimenticare Judith Butler, passando per Loisy. Questa teologia prometeica, a volte, si spinge sino a tirare le orecchie ad agiografi e dottori della Chiesa. Non si sa in base a quale autorità, se non quella dei loro transeunti maestri. La tesi finale è la seguente: la Chiesa se non vuole perire deve cambiare (evoluzionismo ecclesiologico) e – ovviamente – il cambiamento deve essere quello auspicato dal teologo di turno, non altro. Beh, ci sarebbe molto da dire in proposito. Intanto il prof. Grillo non riesce a leggere nelle dinamiche secolari – che lui ben esemplifica – una minaccia per lo stesso consorzio umano. Minaccia concreta ed attuale al vero bene delle persone. A puro titolo di esempio, il divincolarsi della sessualità umana dalla sua fondamentale funzione procreativa non fa scorgere al prof. una incipiente ascesa della tecnologia come monopolista di quella funzione? Qui è evidente come lo Spirito sia uscito dal recinto e parli maggiormente attraverso laici come l’Huxley del “Mondo Nuovo” che non attraverso i nostri profeti d’accademia.
L’esito finale di questa teologia prona alla filosofie dominanti è quello – spero involontario – di un populismo teologico tutto proteso a dire ciò che gli interlocutori secolarizzati vogliono sentirsi dire. Ma questo è sale che ha perso il suo sapore.
Ormai sono ragionamenti talmente condivisibili che si stenta a credere se ne debba ancora parlare. Se tutto questo non cesserà in poco tempo di essere fonte di articoli ma diventerà semplicemente la normalità credo che i giovani non metteranno più piede in futuro in chiesa. E faranno bene. Perché è sfinente dover continuamente ribadire cose che nella testa dei ventenni sono la normalità.