Nella società è acquisito il diritto di voto alle donne. E nella Chiesa? Prevarranno le antiche preclusioni? Saprà il Sinodo superare questo ritardo?
Winifred Banks è sicuramente uno dei personaggi più simpatici del classico disneyano Mary Poppins, uscito negli USA nell’estate del 1964 e in Italia l’anno successivo. Moglie del rigido e impettito Mr. Banks, bancario tutto dedito all’ordine e al lavoro, e madre di Jane e Michael, i due piccoli monelli che verranno affidati alle cure di Mary Poppins, bambinaia “praticamente perfetta”, Winifred fa la sua prima comparsa nel film – ambientato nella Londra di inizio Novecento – mentre entra in casa canticchiando allegramente.
Come racconterà alle cameriere, che la ascoltano guardandola con gli occhi sgranati, è di ritorno da una manifestazione antigovernativa durante la quale alcune suffragette, per reclamare il diritto al voto, si sono incatenate alle ruote della carrozza del primo ministro e poi si sono lasciate portare in prigione cantando e lanciando manifestini.
Winifred, in abito azzurro lungo fino ai piedi con tanto di fascia a tracolla con la scritta Votes for women, coinvolge le due cameriere in una esuberante esplosione di energica felicità, intonando insieme a loro una memorabile canzone:
Veri soldati in gonnella siam,
del voto alle donne gli alfieri siam.
Ci piace l’uomo preso a tu per tu,
ma il governo lo troviamo alquanto scemo.
Lacci e catene noi spezzerem
e tutte unite combatterem.
Noi siam le forze del lavoro
e cantiamo tutte in coro:
Marciam! Suffragette, a noi!
Non puoi arrestarci, o maschio,
son finiti i tempi tuoi.
È un solo grido unanime, femmine a noi!
Ben presto anche in politica, seguire ci dovrai:
se il voto ancor ci neghi per te saranno guai;
siam pronte al peggio, anche a morire ormai.
Chi per il voto muor, vissuto è assai:
Femmine, a noi!
Chi per il voto muor, vissuto è assai. Ha quasi dell’incredibile questa enfasi per un diritto che oggi, in Italia – gli ultimi dati delle elezioni amministrative di ottobre sono lì da vedere –, ormai soltanto un elettore su due si sente in dovere di esercitare.
Una lunga strada
Eppure, non possiamo dimenticare quanto è stata lunga e difficile la strada che ha portato le donne a potersi avvalere del diritto di voto; anzi, ogni tanto vale la pena rinfrescare alcune date e ricordare, ad esempio, che dal 1893, anno in cui la Nuova Zelanda si aprì al suffragio femminile, al 2 giugno 1946, quando le nostre nonne e le nostre mamme ebbero per la prima volta diritto di accesso alle urne, di anni ne trascorsero più di cinquanta.
Nel frattempo, l’Europa del Nord si era mossa con passo deciso in quella direzione già da qualche decennio. Resta la consolazione di non essere arrivati ultimi al traguardo del suffragio universale: dopo di noi, la Svizzera (1971) e il Portogallo (1976), per non parlare degli Emirati Arabi o dell’Arabia Saudita, che si sono aperti al voto alle donne solo a 2000 ormai iniziato.
Winifred Banks sorride orgogliosa e spensierata mentre canta Suffragette, a noi!; sorride, e ci fa sorridere. Il nostro è il sorriso di chi si sente sicura, di chi può dare per scontato un diritto che altre hanno rivendicato e ottenuto, e non solo per sé; il testo originale inglese della canzone di Mrs. Banks, tra l’altro, ad un certo punto dice Our daughters’ daughters will adore us (le figlie delle nostre figlie ci adoreranno).
Possiamo sorridere con Mrs. Banks perché siamo sicure che nessuno potrà mai più impedire a noi, donne di un Occidente apparentemente traghettato oltre le discriminazioni di genere, di entrare in una cabina elettorale per esercitare un nostro sacrosanto diritto. E siamo così sicure che nessuno potrà mai sottrarci questo diritto al voto, che possiamo perfino concederci la possibilità (il lusso?) di non andare a votare.
Possiamo decidere di non andare a votare. Possiamo decidere di esprimere una scelta politica – di e da cittadine – anche attraverso l’astensionismo. Possiamo deciderlo, ed è dentro questa possibilità di decisione che sentiamo scorrere linfa vitale.
Perché il diritto di voto, noi, donne d’Occidente, figlie delle figlie di quelle donne che per il diritto al voto hanno perso vita e reputazione, noi non lo consideriamo più come una magnanima concessione che gli uomini, se è il caso, se vogliono, o se si sentono costretti (se il voto ancor ci neghi per te saranno guai), possono fare alle donne, ma lo sentiamo e viviamo come diritto umano universale. Un diritto umano intangibile, sacro. Perno della nostra civiltà, della nostra società civile e dell’idea stessa di polis, di stato.
Poi c’è la Chiesa
Poi, certo, ci sono i club esclusivi, i “circoli per gentiluomini”. Lì possono entrare solo individui di sesso maschile. Leggono il giornale, giocano a scacchi. Votano per eleggere il presidente o per modificare lo statuto. Se la fanno e se la sbrigano da soli, senza bisogno delle donne. Gli va bene così, si divertono, gli piace. E lo dicono a chiare lettere: PER SOLI UOMINI.
A nessuna di noi viene in mente di rivendicare il diritto di accesso, non ci interessa. Al limite, ci venisse voglia, decideremmo di fondarne uno anche noi, di club così, un club altrettanto esclusivo con un altrettanto esplicito PER SOLE DONNE dichiarato con fermezza nello statuto.
Poi c’è la Chiesa. Superata ormai (si spera…) la secolare solidarietà Aristotele-Tommaso che alla donna guardavano come mas occasionatus, i venti di apertura degli ultimi papi sono andati riconoscendo la presenza – perfino nella storia della Chiesa! – di un genio femminile.
Sicché è giusto, si dice, che le donne, in chiesa, non si limitino a pulirla. Le donne, si dice, devono essere protagoniste della storia e della vita della Chiesa. E noi, donne che in chiesa andiamo tutte le domeniche e anche di più, e facciamo le sacrestane, le catechiste, le coriste, le lettrici, e partecipiamo ai consigli pastorali, alle iniziative dell’oratorio, alla Caritas, noi che nelle nostre chiese sempre più vuote ci guardiamo in faccia e vediamo quanto poche siamo – poche, eppure comunque più numerose degli uomini –, noi che dentro la vita delle nostre chiese ci sentiamo protagoniste attive del nostro cammino di fede, così come ci sentiamo protagoniste nelle nostre famiglie, nel mondo del lavoro, nelle nostre città – noi donne ci aspetteremmo un po’ di coerenza. Soprattutto ora che, con il Sinodo dei vescovi, la Chiesa con la C maiuscola sembra voler aprire una pagina nuova della sua storia.
Invece il cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo dei vescovi, ha detto che l’attenzione rivolta alla questione del voto alle donne in assemblea non lo lascia sereno.[1] Non è il voto che conta, ha detto. Perché – ha detto –, se il processo sinodale coinvolge tutto il popolo di Dio, la convergenza si tradurrà in consenso, il consenso si tradurrà in armonia e, quindi, si potrà fare a meno del voto.
Simpatico, il cardinale Grech. Simpatico e spensierato come Mrs. Banks. Lei perorava il voto alle donne, lui perora il voto per nessuno. O forse ho capito male.
Perché… e se non ci sarà convergenza? Se non ci sarà consenso? Se non ci sarà armonia? Cosa faranno i padri sinodali?
I casi sono due. O se ne ritorneranno a casa con un nulla di fatto e inizieranno a pregare e attendere che lo Spirito ispiri, con i suoi tempi, che non sono i tempi degli uomini, armonie ancora nascoste. O penseranno bene di ripercorrere strade ben note, granitiche e consolidate, e torneranno – ancora una volta e come nei migliori circoli per gentiluomini – a votarsela da soli, la loro storia.
[1]https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-09/sinodo-documenti-preparatori-conferenza-sala-stampa-vaticana.html
Scusate.
Al sinodo vorrei votare anche io.
Non sono donna ma falegname.
Credo che ci sia una forma di razzismo contro i falegnami nella chiesa.
È dai tempi di San Giuseppe che nessun falegname viene ascoltato dai vertici della Chiesa.
Perciò propongo di avere almeno un falegname votante al sinodo.
Ovviamente quel falegname sarei io.
La chiesa non ha mai preso sul serio il ruolo della donna nella chiesa, pur avendo avuto nella storia delle donne, del calibro di Santa Ildegarda di Bingen, Santa Chiara, Santa Giovanna d’Arco, Santa Teresa d’Avila, Santa Teresa Bendetta della Croce, Edith Stein, che hanno lasciato un segno indelebile, La chiesa deve codificare urgentemente dei ruoli di rilievo come diaconesse e capi di comunità o altri ancora. Mi domando: se le donne se andassero via, la chiesa cattolica sarebbe solo un club maschile e allora avrebbe ancora senso la chiesa?!
almeno metà delle donne che cita ai loro tempi erano prese molto sul serio, vedi Santa Chiara che parlava alla pari con cardinali, Giovanna d’Arco che parlava al re o Ildegarda che era tenuta in considerazione anche dai vescovi. tutto questo senza ruoli ufficiali, ma con la forza della testimonianza e del servizio
quello che lei propone sembra più una spartizione o ufficializzazione del potere
Se alcune donne sono state ascoltate perchè erano eccezionali e qui penso anche a Santa Caterina da Siena o a Santa Teresa di Calcutta. Invece nelle chiese si ascoltano o si sono ascoltatati sia uomini eccezionali che uomini mediocri o peccatori. Se si dovesse il suo parametro si dovrebbero cacciare la maggior parte dei preti e lasciare solo quelli santi.
Uomo e donna lo creò a immagine di Dio lo creò.
Partendo da questa icona esposta nella Genesi va considerato questa duplice manifestazione del volto di Dio declinato in modo diverso ma complementare, identico nella sostanza ma eucaristicamente parlando sotto forma di due specie. Una durante la cena e una postprandiale direbbero i medici.
Credo che dare ascolto alle donne sarebbe come elevare nell’oggi il calice della benedizione, necessario, veramente giusto e a completamento.
Finché non si coglierà questa valenza del femminile non come rivalsa e contrasto, ma come nitidezza e colore delle intuizioni maschili, mancherà sempre .oltre della comprensione del mistero di Dio.
Vero che i miei pensieri non sono i vostri pensieri.
Esteso al pensiero di Dio rispetto all’umanità in generale vorrebbe evidenziare la distanza tra il cielo e la terra. Credo che sia la stessa distanza esistente tra pensiero maschile e femminile. Constatata sapientemente questa banalità, occorrerebbe aggiungere nella relazione e nella comprensione di Dio, il pensiero, le intuizioni e la sensibilità divina.
Una sorta di triangolazione divino-maschile-femminile-divino che permetterebbe nello spazio mentale e spirituale una triade, di trinitaria memoria.
Se Maria per grazia è stata pervasa totalmente di Spirito, non potrebbe essere indice di una misura di capacità di Dio mai riscontrata nel maschile?
E se lasciassimo ad altre donne di mostrare a noi uomini altro, di nuovo, mai scontato, pieno di femminile grazia?
Ho gradito i vostri commenti che ho provato a riassumere così. Non credo che sia il posto adatto per spiegare l’ovvio e ciò che mi appare ora così banale (Watson!). Ma ciascuno porti con delicatezza questa proposta di completezza incutendo non paura di perdere qualcosa, ma infondendo la speranza di vedere finalmente ampliato lo spettro visivo spirituale che il Sinodo dal basso si propone: vedere assieme da un cannocchiale e non da un binocolo attraverso un solo occhio. Strizziamo l’occhio alle sorelle e sorprendiamoci del loro sentire e parlare Dio.
Sara Young docet. Sarà anglicana e troppo british ma davvero ha mostrato nel suo Jesus Calling un modo tutto speciale di rapportarsi a Dio, immaginando di specchiarsi in Lui e di rportare a tutti, da brava pastorella, l’icona del femminile che è in Dio e che molti uomini non conoscevano. Grazie!