All’inizio del percorso sinodale, peraltro appena annunciato, viene il desiderio semplicemente di partire.
Il richiamo all’ascolto di tutte le comunità, parrocchia per parrocchia, non fa che rallegrare, perché non è proprio prassi abituale.
Perciò mi sembra che suoni poco simpatico porre delle questioni su un modo di organizzarlo, di cui in sostanza si sa molto poco, quasi niente.
Non è gradevole perché sembra di voler frenare e perché appunto verrebbe da aspettare e vedere.
Ma quando la macchina sarà partita, come si dice, e il metodo sarà ben chiaro a tutte e tutti, sarà un po’ tardi per segnalare ambiti ulteriori da ascoltare.
E allora meglio formulare ora la domanda: ma (tutti) i cristiani interpellati saranno solo quelli di parrocchie, congregazioni e movimenti?
Sappiamo bene – e spesso la struttura tradizionale a torto e a ragione ha di che lamentarsene – che c’è un popolo che non coincide con il popolo dei cattolici “impegnati”, semplicemente perché vive la propria vita cristiana con riferimenti non territoriali – quanti, per esempio, ruotano intorno a monasteri?
E poi ci sono i molti che non vengono più, quelli che hanno cercato di restare, ma non ce l’hanno fatta.
Non ascoltarli significherebbe dire che le comunità sono sempre all’altezza della testimonianza e chi non c’è deve assumersi la responsabilità della lontananza.
Nessuno di noi, immedesimandomi con chi è dentro, pensa che la coppia dentro/fuori sia identica a giusto/sbagliato. Tutti siamo peccatori e salvati dalla grazia.
Ecco allora all’interno del metodo che molto probabilmente vede in questi giorni la sua rifinitura sarebbe bello potersi domandare: Sono tutti qui i cristiani? Gli altri che dicono? Che cercano?
Certamente arriverebbero risposte non facilmente incasellabili nella riflessione comune.
Le genti di oggi
Ma il Sinodo non dovrebbe aiutare la Chiesa Italiana a ripensarsi per tendere sempre più a quella vita insieme che leggiamo negli Atti degli Apostoli, a quella grande apertura che fu la missione verso le genti, i non ebrei, che fece assumere cibo non puro a Pietro e che innestò tanta proficua fatica nella Chiesa di Gerusalemme e non solo?
E poi ci sono i cristiani delle altre Chiese rispetto ai quali verrebbe da dire: non disprezziamo nessun buon consiglio.
Paolo nella prima lettera ai Corinzi interviene per disciplinare le assemblee e come criterio di riferimento offre il non credente che arriva e che ascoltando si sente trafiggere il cuore: prospettiva altissima, ma alla fine è la speranza di tutti noi. Perché sappiamo che nell’Evangelo è la gioia per ciascuno.
Il grande ostacolo potrebbe essere il realismo, che spegne ogni orizzonte entusiasmante, oppure un serio giudizio che decide, forse senza saperlo, i propri destinatari.
I passaggi delicati del metodo riguardano inoltre anche il Vaticano II.
Sappiamo che in Italia, ma non solo, si vive spesso un cristianesimo che nelle sue forme, ma anche nel suo pensare, non ha ancora recepito il Concilio; e alcune volte si pone proprio in uno stile di sua sconfessione. Questo non accade con proclami teorici, che porterebbero fuori dalla comunione, come per i lefebvriani. Accade piuttosto ripristinando pratiche antiche, con cui spesso ci sente a “casa” e che, prese per sé, non fanno cascare il mondo e neppure la Chiesa, ma in realtà veicolano una lettura che nega il Concilio.
Equilibrio difficile, ma tra la sapienza evangelica e millenaria della Chiesa e tante tecniche di gestione della democrazia reale, si riuscirà forse a trovare una via.
L’impressione è che uno scambio chiaro che metta in luce il Vaticano II come dirimente non sarà con toni da tavola rotonda, ma la parresia chiede fatica a chi decide di dire e a chi ascolta.
Come gli Atti segnalano con chiarezza, non c’è gesto, abitudine o pensiero comune che non possa essere vanificato da un cuore che non cerca il Signore e per questo non ha a cuore la vita della Chiesa, comunità con cui cercare e testimoniare il Signore.
E per questo possiamo solo pregare, perché il nostro cuore e il cuore di ciascuno sia disponibile all’ascolto.
E anche questo potrebbe essere un passaggio significativo del metodo del Sinodo italiano.
Non i soliti noti…ma sarà vero o è una iilusione? Basta guardare alla stampa cattolica di vario tipo…cambia testata, formato, periodicità ma i nomi restano quelli. Settimana ci ha offerto un po’ di varianti e io le sono grata. Perchè certi autori ci hanno anche rappresentato in un momento della nostra vita, poi non più, la vita fa percorrere cammini diversi e si ha bisogno di altro, si avrebbe bisogno anche di poter dire, forse con minore capacità di parola ma non di vissuto, di interiorità, profondità. Non ci sono spazi nelle realtà locali monopolizzate da alcuni, non ci sono testate aperte agli sconosciuti. Mi fermo sarebbero davvero molte le cose da dire, ma conto di poterle alemno leggere. Grazie.
Tanti e tante non ce l’hanno fatta a restare, e non solo persone che per vari motivi si sentono giudicate per le loro scelte di vita. La Chiesa é fatta dai credenti, non dai praticanti. Ascoltare tutti sarà difficile ma credo sia l’unico ascolto possibile. Nella mia diocesi si é cercato di farlo in vista del sinodo diocesano che comincerà a Pentecoste (rimandato di un anno causa covid). Con quali risultati vedremo, se consideriamo che ci sono state parrocchie che non hanno messo a disposizione nelle chiese, come previsto dal cammino sinodale, né le schede dove si poteva scrivere domande, suggerimenti, critiche, né le urne dove deporle in forma anonima. Un vero boicottaggio, che mi ha scandalizzata non poco! Quindi pur auspicando
quanto scritto, e molto ben scritto!, ho seri dubbi che si potrà avverare.