Il viaggio in Canada di papa Francesco si è concluso con il rientro in Vaticano il 30 luglio, dopo le ultime tappe a Québec, Ottawa e a Iqaluit nel nord-est del grande paese. Tappe che hanno proseguito il percorso di richiesta di perdono e riconciliazione, ma hanno aggiunto un’importante riflessione su come evangelizzare in un contesto di secolarizzazione.
Tema delicato in un paese – e soprattutto nell’area francofona – dove l’appartenenza religiosa si affievolisce e dove sono più forti le spinte verso la secolarizzazione.
Nell’omelia della messa del 28 luglio nel Santuario Nazionale di Sainte Anne de Beaupré, riflettendo sul Vangelo di Emmaus, papa Francesco ha esortato i fedeli a non disperare e seguire sempre Gesù. Al centro non devono esserci i nostri fallimenti e la tentazione della fuga ma piuttosto una spinta a fare sempre meglio nel seguire il Vangelo.
Penitenza e fraternità
Nell’arcivescovado di Québec, incontrando una delegazione di nativi, ha avuto di nuovo parole toccanti, ripetute poi anche a Iqalit, nel nord, una località remota e per questo tappa anche più significativa. «Non sono venuto come turista, sono venuto come fratello, a scoprire in prima persona i frutti buoni e cattivi prodotti dai membri della famiglia cattolica locale nel corso degli anni.
Sono venuto in spirito penitenziale, per esprimervi il dolore che portiamo nel cuore come Chiesa per il male che non pochi cattolici vi hanno arrecato appoggiando politiche oppressive e ingiuste nei vostri riguardi. Sono venuto come pellegrino, con le mie limitate possibilità fisiche, (…) perché si vada avanti a seminare speranza per le future generazioni di indigeni e di non indigeni, che desiderano vivere insieme fraternamente, in armonia. (…)
Davvero posso dire che, mentre vi ho fatto visita, sono state le vostre realtà, le realtà indigene di questa terra, a visitare il mio animo: mi sono entrate dentro e mi accompagneranno sempre. Oso dire, se me lo permettete, che ora, in un certo senso, mi sento anch’io parte della vostra famiglia, e ne sono onorato».
Secolarizzazione e secolarismo
Molto importante la riflessione su secolarizzazione e secolarismo, incontrando la Chiesa locale – sacerdoti, religiosi e religiose, diaconi – sempre a Québec. La secolarizzazione lascia Dio sullo sfondo, ha notato il papa. Tuttavia, «quando osserviamo la cultura in cui siamo immersi, i suoi linguaggi e i suoi simboli, occorre stare attenti a non restare prigionieri del pessimismo e del risentimento, lasciandoci andare a giudizi negativi o a inutili nostalgie. Ci sono infatti due sguardi possibili nei confronti del mondo in cui viviamo: uno lo chiamerei “sguardo negativo”; l’altro “sguardo che discerne”».
Qui il papa ha esplicitamente fatto riferimento all’Evangelii nuntiandi di Paolo VI e ai lavori del sociologo canadese Charles Taylor. In particolare papa Francesco ha sottolineato che la secolarizzazione è «lo sforzo in sé giusto e legittimo, per nulla incompatibile con la fede o con la religione» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 55), di scoprire le leggi della realtà e della stessa vita umana poste dal Creatore.
Infatti, Dio non ci vuole schiavi, ma figli, non vuole decidere al posto nostro, né opprimerci con un potere sacrale in un mondo governato da leggi religiose. No, Egli ci ha creati liberi e ci chiede di essere persone adulte, persone responsabili nella vita e nella società. Altra cosa – distingueva san Paolo VI – è il secolarismo, una concezione di vita che separa totalmente dal legame con il Creatore, cosicché Dio diventa «superfluo e ingombrante» e si generano «nuove forme di ateismo» subdole e svariate: «la civiltà dei consumi, l’edonismo elevato a valore supremo, la volontà di potere e di dominio, discriminazioni di ogni tipo» (ibid.).
Ecco, come Chiesa, soprattutto come pastori del Popolo di Dio, come pastori, come consacrate e come consacrati, come seminaristi e come operatori pastorali, sta a noi saper fare queste distinzioni, discernere. Se cediamo allo sguardo negativo e giudichiamo in modo superficiale, rischiamo di far passare un messaggio sbagliato, come se dietro alla critica sulla secolarizzazione ci fosse da parte nostra la nostalgia di un mondo sacralizzato, di una società di altri tempi nella quale la Chiesa e i suoi ministri avevano più potere e rilevanza sociale. E questa è una prospettiva sbagliata”.
Invece – ha aggiunto – il tema della secolarizzazione «per noi cristiani, non dev’essere la minore rilevanza sociale della Chiesa o la perdita di ricchezze materiali e privilegi; piuttosto, essa ci chiede di riflettere sui cambiamenti della società, che hanno influito sul modo in cui le persone pensano e organizzano la vita. Se ci soffermiamo su questo aspetto, ci accorgiamo che non è la fede a essere in crisi, ma certe forme e modi attraverso cui la annunciamo. E, perciò, la secolarizzazione è una sfida per la nostra immaginazione pastorale, è «l’occasione per la ricomposizione della vita spirituale in nuove forme e per nuovi modi di esistere» (C. Taylor, A Secular Age, Cambridge 2007, 437)”.
E le “chiavi” di un lavoro evangelicamente efficace sono tre: far conoscere Gesù, essere testimoni credibili, creare occasioni e spazi di fraternità. Temi validi per la Chiesa canadese ma anche per la Chiesa tutta intera.
L’impressione netta che si ricava dai discorsi del papa durante i suoi viaggi apostolici è che la chiesa abbia combinato nei secoli esclusivamente disastri. La chiesa deve chiedere perdono, deve scusarsi, deve pentirsi, deve riformarsi. Ma se veramente si crede che nessuno, prima di papa Francesco, abbia capito nulla del Vangelo la riforma non è possibile. Bisogna soltanto chiudere, liquidare e decidere cosa fare col patrimonio materiale. Grazie a Dio su questa questione il papa ha torto. Senza la chiesa cattolica il mondo sarebbe un posto molto peggiore. Ma è possibile che il papa non lo sappia?