Il fascino degli inizi
Una consacrazione episcopale conserva sempre il fascino degli inizi dell’avventura ecclesiale, con l’antico rito dell’imposizione delle mani che rinnova la grazia e il ministero dell’apostolato, per la predicazione dell’evangelo e l’edificazione della Chiesa nell’unità. Il rito celebrato sabato 10 settembre nella cattedrale di Bergamo per il conferimento dell’episcopato a mons. Pierbattista Pizzaballa, nominato da papa Francesco amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei latini, attingeva una dimensione e un sapore fuori dell’ordinario, per la presenza di ventinove vescovi, molti dei quali dal Medio Oriente, la rilevanza simbolica della Chiesa madre, custode del sepolcro vuoto, e la persona dell’eletto, per ben tre mandati responsabile della minoritica Custodia di Terrasanta.
Da Bergamo al Patriarcato latino
Bergamo è la diocesi originaria del nuovo vescovo, dalla cui comunità parrocchiale di Cologno al Serio provengono numerosi presbiteri e ben due cardinali negli ultimi due secoli. Al prefetto della congregazione per le Chiese orientali, card. Leonardo Sandri, vescovo consacrante, si associavano come co-consacranti il patriarca emerito Fouad Twal e il vescovo di Bergamo Francesco Beschi. Inoltre, ad alcuni vescovi delle diocesi lombarde o originari di esse, si aggiungevano diversi vescovi provenienti dai paesi toccati dalla giurisdizione del patriarcato latino, articolata nei quattro vicariati per Gerusalemme e territori, per Israele, per la Giordania, e per Cipro. Assisteva al rito anche il vescovo Nectarios, inviato personale del patriarca greco ortodosso Teofilos.
Allo stesso modo, se tra i presbiteri si notava il gruppo del patriarcato, già cosmopolita per la presenza di clero arabo, diocesani fidei donum e religiosi di varie nazioni, nell’assemblea si riflettevano i volti e le lingue che fanno di Gerusalemme la meta del pellegrinaggio universale annunciato da Isaia e Michea. La storia e la vita della città santa risuonavano nei testi proposti per la liturgia, soprattutto i canti e le intenzioni di preghiera, e hanno trovato un’eco profonda nell’omelia del cardinale Sandri, nel saluto del vescovo Nectarios e nei ringraziamenti del nuovo arcivescovo, che hanno richiamato la ricca e complessa realtà delle chiese cristiane del vicino oriente e le sfide che essa pone all’impegno dei discepoli di Gesù, soprattutto in ordine alla testimonianza della carità e al servizio alla giustizia.
«Ti basta la mia grazia»
Sopratutto il neo-vescovo ha richiamato, spiegando la composizione del suo stemma episcopale, come Gerusalemme non sia soprattutto una matassa inestricabile di problemi religiosi e diplomatici, ma innanzitutto una grazia, per la quale Dio fonda nuove identità e relazioni a partire dalla sua parola, e un luogo privilegiato di contemplazione e di servizio fraterno. La consapevolezza esplicitamente rimarcata delle difficoltà non cancella la percezione festosa di un dono sempre più grande e nuovo, che fa rialzare e rimette in cammino.
Con il motto «Ti basta la mia grazia», l’arcivescovo Pierbattista non solo dà conto del suo punto di vista personale, ma anche indica una prospettiva ecclesiale di lettura delle situazioni e di costruzione di relazioni significative e feconde.
Il saluto del vescovo Nectarios ha aperto uno squarcio, anche per i meno informati, sul calore delle relazioni coltivate dal nuovo vescovo anche in campo ecumenico. Con accenti cordiali e apprezzamenti decisamente non convenzionali, anzi piuttosto eccezionali almeno nella storia recente del patriarcato latino, il patriarcato greco ha ringraziato mons. Pizzaballa e gli ha offerto in dono una croce pettorale come segno di amicizia e auspicio di futuri cammini condivisi. Anche il breve che conferiva il mandato apostolico all’ordinazione episcopale rimarcava le doti personali, l’esperienza pastorale e la competenza biblica dell’eletto, ma soprattutto il ruolo costruttivo svolto con il suo incarico di custode…
La pace di Gerusalemme
Infine, mons. Pizzaballa ha esortato tutti a pregare secondo il testo del salmo 122,6 che nell’originale ebraico non dice di pregare per Gerusalemme, ma di «domandare la pace di Gerusalemme» (cf. anche il greco: «chiedete a Gerusalemme ciò che serve alla pace»), quella pace che viene da Gerusalemme e adempie la sua missione universale rispetto a tutte le nazioni. Così anche nella periferia di una diocesi minore ha soffiato il Vento della Pentecoste che anima e sospinge tutta la Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica» verso il suo compimento.
Omelia nella messa di consacrazione
Pubblichiamo di seguito l’omelia del card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, nella celebrazione eucaristica per l’ordinazione episcopale di Pierbattista Pizzaballa – arcivescovo titolare di Verbe e amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini – nella cattedrale di Bergamo, lo scorso sabato 10 settembre 2016.
Carissimo fra Pierbattista!
Abbiamo appena ascoltato queste parole : “la Santa Chiesa Cattolica chiede che sia ordinato Vescovo il presbitero Pierbattista Pizzaballa”. Il 15 settembre di ventisei anni fa, nella cattedrale di Bologna, l’amato Cardinale Biffi che impose le mani ordinandoti sacerdote diceva a te e ai tuoi compagni: “è la Sposa stessa di Cristo a implorare il suo Sposo: è dunque una richiesta impreziosita dalla indefettibile fedeltà sponsale.. motivata dalla sua preoccupazione materna.. Ciò che voi diventate, lo diventate per sempre; ciò che oggi avviene in voi, avviene una volta per tutte…”.
Contempliamo la Chiesa sposa di Cristo e Madre di tutti i credenti, e facciamo oggi una singolare esperienza della sua cattolicità: il mandato apostolico del Santo Padre Francesco, Successore dell’apostolo Pietro, la tua famiglia, prima chiesa domestica, l’amata Chiesa di Bergamo, che ci accoglie nella sua cattedrale, l’Ordine dei Frati Minori, in particolare i Frati della Custodia di Terra Santa, e ora la Diocesi Patriarcale di Gerusalemme, alcuni Nunzi Apostolici, Vescovi, Delegati ecumenici, sacerdoti e fedeli laici che qui si sono radunati per pregare e gioire insieme per l’opera che il Signore ha iniziato in te, e anche in loro attraverso la tua presenza e il tuo ministero.
1. Nel mistero della Chiesa, insieme al vescovo Pierbattista, ci rendiamo conto che al centro non c’è un uomo, ma la grazia di Dio che ha operato e opererà ancora più efficacemente dentro di lui. Ce lo ha ripetuto san Paolo, le cui parole appena proclamate sono diventate il tuo motto episcopale: “Sufficit tibi gratia mea – Ti basta la mia grazia”.
È un’espressione ben lungi da un vago sentimentalismo o da una fede disincarnata. Paolo arriva a “vantarsi ben volentieri delle proprie debolezze, perché dimori in lui la potenza di Cristo”, di fronte ad una situazione di grande difficoltà nell’esercizio del ministero apostolico che gli è stato affidato dal Signore.
Attraverso le esperienze dolorose Paolo giunge alla percezione molto semplice che Cristo è il Signore e che il suo ministro si prepara liberando il cuore da tutto ciò che poteva essere una forma di successo proprio, divenendo strumento sempre più adatto nelle mani di Dio. Attraverso l’attimo di incomprensione con la comunità di Corinto, certamente riprende coscienza dell’assolutezza e della trascendenza indescrivibile del mistero di Dio, che gli era diventato così vicino nell’apparizione del Cristo sulla strada verso Damasco, tanto quasi da arrivare a sembrargli suo, mentre in realtà è al di là di ogni capacità umana di parlarne e di disporne. Il dolore dell’esperienza credente di Paolo fa scaturire insieme ad una lettera che lui stesso definisce “scritta tra le lacrime” anche l’altezza e l’intensità della riflessione sul ministero della Nuova Alleanza e della riconciliazione, come servizio (diakonía) ai fratelli nella fede e come collaborazione alla loro gioia. Invochiamo l’intercessione di san Paolo sul vescovo Pierbattista, perché il nuovo passo chiesto nella Chiesa alla sua vita di fede sia vissuto come modo per approfondire la propria esperienza di credente che lo renda autenticamente Pastore secondo il cuore di Dio.
2. Il testo del profeta Isaia, tratto dal cosiddetto “libro della consolazione”, pone l’uomo di ogni tempo anzitutto dinanzi ad una domanda: “Perché spendi denaro per ciò che non sazia e non disseta, ritrovandoti ultimamente come il popolo disperso e esiliato a Babilonia?”. La risposta però consiste non in un giudizio di condanna da parte di Dio, ma in una promessa di fedeltà e di alleanza eterna. L’iniziativa ancora una volta è del Signore che redime, raduna dalla dispersione, ama e si prende cura. Ma Dio ha bisogno del profeta che se ne faccia portavoce ed interprete, uno che viva tra gli uomini e sia capace di ridestare in loro la fame e la sete dell’Autore della Vita. Il Vescovo allora, superato il senso di inadeguatezza e confermato nell’assoluto primato della grazia, di cui ha fatto egli per primo esperienza, passa annunciando la consolazione che viene da Dio “consolate, consolate il mio popolo; come sono belli sul monte i piedi del messaggero che annuncia la pace”. Tanti cuori in Terra Santa e particolarmente nel territorio del Patriarcato Latino hanno sete di giustizia e di pace: dimensioni fondamentali del vivere umano, che prima ancora che rivendicate come diritto dagli altri devono essere desiderate e operate nei rapporti dentro la Chiesa e tra le Chiese, oltre che con i credenti Ebrei e Musulmani. Essere Vescovo per la Chiesa Latina che è in Gerusalemme, Amministrandola a nome e per conto del Santo Padre, come pure guidando l’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, è compito senz’altro arduo, ma potrà essere vissuto pieno di gioia e di serena determinazione, perché ancorati nella Parola del Signore e non nei nostri progetti umani. La Parola infatti non è incatenata né messa in fuga, ma efficace e porta frutto: “come la pioggia e la neve scendono giù dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia… così sarà anche della parola uscita della mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero, e senza aver compiuto ciò per cui l’avevo mandata”.
3. Nella Terra Santa, che tu, Padre Pierbattista, hai abitato e servito da 26 anni, il Verbo fatto carne ci ha fatto conoscere il desiderio di Dio, la salvezza per l’umanità, lì Colui che è la Parola del Padre ha portato a pienezza la Rivelazione, “parlando a noi come ad amici”. Come il Salmo, anche noi diciamo “Tutti là siamo nati”. Nella fede vogliamo rinnovare la consapevolezza che in quei luoghi, sotto le macerie frutto dei peccati, delle violenze e delle miopie di molti uomini e di molti poteri del mondo, è rimasta la sorgente posta da Dio, che zampilla per dare sollievo e fecondità. E’ la presenza stessa di Gesù che è il Vivente. Sacerdoti e fedeli, guidati dal Vescovo, dovranno avere ogni giorno il coraggio di scavare più in profondità dentro il proprio cuore, attraverso le vicende della storia, per ritrovare il Cristo che ne è il Signore. Allora la comunità cristiana, che chiede di essere preservata, sostenuta e protetta, continuerà ad essere dono per tutti, per coloro che abitano quei luoghi da secoli, ma anche per i pellegrini e per le migliaia di lavoratori migranti che ormai ne fanno stabilmente parte. L’unico strumento nelle nostre mani per evitare che i cristiani emigrino dal Medio Oriente, o vengano fatti uscire da progetti non chiari, è trovare sempre forme antiche e nuove per essere chiesa in uscita, che ha a cuore la promozione di spazi di incontro e riconciliazione. Il Vescovo, che nella porzione di Chiesa locale presiede nella carità, mentre vive il ministero della santificazione (munus sanctificandi), spezzando il pane della Parola e dell’Eucarestia, edifica la comunità cristiana come casa fondata sulla roccia. Ed insegnando, educa a pensare che tale stabilità, proprio perché ci è data da Dio, è anche dono che ci impegna a protenderci in avanti verso chi soffre, bisognoso di una speranza affidabile per la propria vita e il proprio destino, anche attraverso la solidarietà concreta – e pensiamo con riconoscenza a quanti, anche tra i presenti, da tutto il mondo si impegnano nel sostenere la vita delle Chiese in Terra Santa.
È lo stile del pastore tratteggiato da San Gregorio Magno nella sua Regola Pastorale: “La Verità stessa, quando apparve in mezzo a noi assumendo la natura umana, si dà alla preghiera sul monte e compie miracoli nelle città, suggerendo con l’esempio ai pastori saggi di accostarsi con amore alle necessità degli afflitti, pur tenendo lo sguardo alla contemplazione. La carità infatti raggiunge le altezze quando scende con gesto d’amore alle infime necessità dei poveri, e quanto è maggiore la benevolenza nel piegarsi verso gli umili, tanto è più rapido il volo verso Dio” (2,5).
4. Intercedano per te la Vergine Maria e San Francesco, e faccia loro corona la preghiera e il canto degli angeli di Betlemme: sia il tuo episcopato capace di mettersi in cammino, come sono raffigurati nella Basilica della Natività, per condurre il gregge a te affidato ad incontrare, riconoscere e servire il Verbo della vita; abbi il coraggio di tendere sempre la propria mano, come Tommaso, al costato trafitto di Cristo crocifisso e risorto, per essere confermato e confermare nella fede i fratelli. Sia un ministero di luce e di bellezza, che non si spaventa di fronte alle sfide che gli sono poste innanzi. Ti accompagni nel viaggio che oggi inizi questa parola del Santo Padre: “Il volto delle nostre comunità ecclesiali può essere coperto da ‘incrostazioni’ dovute ai diversi problemi e ai peccati. La nostra opera deve essere sempre guidata dalla certezza che sotto le incrostazioni materiali e morali, anche sotto le lacrime e il sangue provocati dalla guerra, dalla violenza e dalla persecuzione, sotto questo strato che sembra impenetrabile c’è un volto luminoso come quello dell’angelo del mosaico della Basilica di Betlemme. Coopera a questo ‘restauro’ – come già fece San Francesco – perché il volto della Chiesa rifletta visibilmente la luce di Cristo Verbo incarnato”. Amen.
Ringraziamenti al termine della celebrazione
Al termine della celebrazione eucaristica per la sua ordinazione episcopale, Pierbattista Pizzaballa ha rivolto all’assemblea alcune parole di ringraziamento che pubblichiamo qui di seguito.
1. Ho trascorso questi ultimi giorni di preparazione al nuovo ministero affidatomi presso il santuario di Caravaggio, dove siamo stati tutti almeno una volta e i cui ricordi affondano nella mia primissima infanzia e da lì ho ripercorso il cammino di grazia che mi ha accompagnato in tutti questi anni. La grazia ha le sembianze di volti e nomi, attraverso i quali, non sempre consapevolmente, ho ricevuto tanto.
2. Penso innanzitutto alla mia famiglia, ai miei genitori che mi hanno donato la vita, i fratelli e quel primo nucleo vitale che mi ha discretamente accompagnato fin qui; ai miei primi anni, da bambino, nella campagna colognese, a Liteggio. Erano gli ultimi anni di una vita semplice di campagna, con le cascine che già cominciavano a spopolarsi, ma che ancora vivevano gli ultimi momenti di un mondo ormai scomparso. Le visite nelle stalle, dove mi mandavano a prendere il latte, la gioia di andare sui carretti trainati dal cavallo, per andare a fare il fieno, i giochi semplici di campagna, e così via. Era un mondo semplice e genuino, e una vita sobria e felice. Solo con il tempo ho capito come quel mondo abbia influito nel darmi uno stile e una ricerca di sobrietà e sincerità.
3. Mi attraeva soprattutto la figura del prete, che arrivava dal paese con la sua bicicletta. Penso soprattutto a Don Pèrsec. Come lo attendevano, come gli volevano bene! E come lui voleva bene a quella gente. Sono partito presto da casa, ma quegli anni li ricordo bene e sono stati determinanti per dare un volto alla mia prima vocazione. Volevo essere come don Pèrsec.
4. Poi gli anni del seminario minore. Penso a padre Giovanni, padre Francesco, fra Gregorio, padre Candido, padre Davide e tanti altri. Lì in quel piccolo seminario ho imparato dalla passione e dalla disciplina di quei frati che la Chiesa non ha confini. Avevamo in quel tempo un museo missionario, che dovevamo tenere aperto ai visitatori (e che dovevamo pulire!). C’erano le sale della P.N. Guinea, della Terra Santa, della Cina e così via. Raccontava la vita di tanti missionari che tornavano da quelle terre e che portavano ricordi, li conservati. Ogni oggetto aveva una storia. Mi colpivano soprattutto le sale della Cina, ricchissime. Ma soprattutto le reliquie dei martiri del ‘900, vittime della rivoluzione dei Boxer. E poi le visite dei missionari che arrivavano da lontano, soprattutto dal Giappone e dalla Papua dove erano andati dopo l’espulsione dalla Cina, e che passavano sempre per raccontare le loro esperienze (uno di loro è ancora qui in mezzo a noi). E avevamo ciascuno corrispondenza con un missionario. A me toccò padre Gaetano in Papua N. Guinea. Senza rendermi conto si faceva chiara nella nostra coscienza di bambini, che la Chiesa parla tutte le lingue e sta bene in tutte le culture e che si poteva anche pensare a partire e andare lontano. I vecchi missionari espulsi dalla Cina e presenti in mezzo a noi, poi, fecero il resto. Anch’io volevo andare missionario. In Cina. Stranamente la sala della Terra Santa era quella che mi interessava meno…
5. Poi Ferrara, con il primo servizio da ragazzo liceale in parrocchia. Dove ho poi vestito l’abito francescano.
6. L’ingresso nell’Ordine. Il desiderio di semplicità ha trovato poi espressione concreta nella scelta religiosa e francescana, che consideravo naturale.
7. Sono stati molto pazienti con me i formatori e i superiori del tempo, e li ringrazio per la loro pazienza e, quando necessaria, anche per la loro severità.
8. La partenza per la Terra Santa fu un’altra lezione importante. Il “Si” al Signore passa attraverso sì molto concreti e umani e non è un sentimento astratto e vago. La partenza per obbedienza per Gerusalemme mi ha insegnato a fare la sintesi vitale tra le intuizioni interiori e la vita reale. Una lezione che ho poi maturato sempre più negli anni a seguire.
9. L’arrivo in Terra Santa e l’esperienza in Custodia di Terra Santa la posso sintetizzare nell’amore alla Parola, per gli anni trascorsi presso lo Studium Biblicum e l’Università ebraica. E poi nell’accogliere la complessità della realtà come forma di vita. La complessità propria della Custodia, con provenienze da tutto il mondo e complicata al suo interno, segno di una complessità più grande e di cui Gerusalemme è il simbolo: nelle relazioni tra le Chiese, tra le fedi monoteiste, nella vexata questione politica e sociale, e così via. Accogliere tutto questo, non necessariamente condividendo tutto, e intercedere pazientemente guardando alle cose di lassù e non solamente a quelle di questa Terra (Col. 3,1).
10. Per tutti quei volti e quei nomi (e che non posso certamente nominare tutti) attraverso i quali è passata tanta grazia, va il mio ringraziamento.
11. E ora il Patriarcato Latino e più in generale, tutta la Chiesa di Terra Santa, alla quale consegno la mia vita e quello che sono in maniera nuova e completa. Ringrazio tanti di voi qui presenti. La vostra spontanea e desiderata presenza mi incoraggia nel ministero che mi accingo ad iniziare. Ringrazio in particolare il Patriarca Fouad Twal e i vescovi ausiliari quasi tutti qui presenti.
Una parola speciale, semplice e breve, ai sacerdoti del Patriarcato qui presenti.
أَعِزَّاءِي الْكَهَنَة،
أَشْكُرُكُم عَلَى حُضُرِكُم إِلى هُنا مِن بَعيد لِمُرافَقَتي، وَأَشكُرُ أَيضاً الّذين لَمْ يَسْتَطيعوا الْحُضور٠
صَلّوا لي وَلِكَنيسَتِنا، كَي تَكونَ كَما طَلَبَ مِنّا الرَّب٠أَنا مُتَأَكِّد أَنَّنا مَعاً سَنَفْعَل ذَلك٠ الرَّبُ قُوَّتَنا٠ شُكْرَاً٠
12. E ora vengo al presente e all’oggi. A questa cerimonia che cambia ancora una volta la vita e il mio servizio alla Chiesa di Cristo, e a quanti mi hanno condotto fin qui.
– Il santo padre Francesco per la fiducia che mi ha dimostrato con questo nuovo ministero e per l’amicizia.
– Il cardinal Sandri, non solo per avere accettato di venire fin quassù per consacrarmi, ma anche per il suo servizio e presenza alle Chiese Orientali, insieme alla CCO qui molto ben rappresentata e a tutti i vescovi qui presenti che, attraverso la preghiera e imposizione delle mani, mi hanno introdotto nell’episcopato. Ringrazio in particolare i nunzi mons. Lazzarotto e mons. Ortega, mons. Franco.
– Un ringraziamento a mons. Francesco Beschi e, nella sua persona, a tutta l’amata Chiesa di Bergamo, che ci ha accolto qui con gioia dando piena disponibilità per questa cerimonia, bella ma certamente non semplice da preparare e gestire. Davvero grazie, Eccellenza. In un certo senso oggi la Chiesa di Bergamo che mi ha generato alla fede, mi consegna alla Chiesa di Gerusalemme, dove svolgerò il mio nuovo ministero.
– I vescovi orientali AOCTS presenti: mons. Hage e mons. Bakaouni. Thank you. I assure my full cooperation and that of the Latin Patriarchate for the grow of communion in the pastoral service of our respective communities and also in the Assembly, for the benefit of our Church in Holy Land.
– Il Ministro Generale dei Frati Minori, che mi onora con la sua presenza, sapendo quanto sia impegnato in viaggi in tutto il mondo, e i tanti confratelli presenti da tutta Italia, in particolare dalla mia antica/nuova provincia di appartenenza.
– Il Custode di Terra Santa, al quale faccio tanti auguri e preghiere per il suo servizio appena iniziato e la cui complessità conosco molto bene. Nella sua persona saluto i confratelli della Custodia, pensando soprattutto a quanti da anni sono in territorio di guerra, dando esemplare testimonianza.
– Suor Maria Chiara, suor Ines Yaakoub generale delle suore del Rosario, con le quali collaboriamo nel servizio alla nostra Chiesa, suor Paola e le sorelle presenti.
– Mons. Nektarios, rappresentante del Patriarca Greco di Gerusalemme, che ringrazio per questo squisito gesto di vicinanza, che certamente confermerò e mi impegno a custodire gelosamente.
– I fratelli e amici ebrei e musulmani che in questi giorni hanno espresso la loro gioia e amicizia, assicurando la loro preghiera e collaborazione per questo nuovo ministero.
– I cavalieri del Santo Sepolcro, con il Governatore generale e le diverse delegazioni presenti. Assicuro la nostra totale disponibilità alla collaborazione, in piena e sincera fiducia.
– I rappresentanti delle autorità civili di Giordania, Palestina, Cipro e anche di Israele che si scusano per l’assenza a causa dello Shabbat. Le autorità civili e militari della Provincia e del comune di Bergamo che ringrazio, scusandomi del disagio che forse ho creato. Al sindaco e ai colognesi tutti sarò lieto di esprimere i miei sentimenti domani, ma già da ora e qui: grazie. Mi avete commosso.
– E tutti voi amici, presenti e assenti, vicini e lontani. So quanti di voi state pregando e sento la forza della vostra preghiera e amicizia, che sono stati il conforto più grande in questo tempo.
13. Ora uno sguardo in avanti, brevissimo, anche per non tediarvi troppo.
La consapevolezza della grazia non esonera, però, ma spinge all’impegno affinché abbiamo quanto basta per lavorare nel campo di Dio che è la Chiesa. Qui dico con fiducia e convinzione il mio voler essere per tutti! Se ciò che sono è da tanti non posso che vivere per tanti! Per quanti mi sono affidati, innanzitutto per quanti condividono l’amore e la sollecitudine per il Medio Oriente; per ebrei e musulmani; per i più poveri; per la Chiesa intera cui il mio ministero mi consegna in modo speciale.
Nello stemma che ho scelto ho voluto mettere solo due cose: Gerusalemme e la Parola. Dalla Parola desidero iniziare e fondare il ministero che mi è stato assegnato perché poco alla volti ci plasmi, come ha fatto dall’inizio per generazioni di credenti, e illumini le nostre scelte, le nostre relazioni e le nostre città dove è calata la vita di noi tutti, soprattutto su Gerusalemme, che ci richiama tutti. E Gerusalemme.
Psa. 122:6 שַׁאֲלוּ שְׁלוֹם יְרוּשָׁלִָם…
Chiedo, insieme a tanti, pace per Gerusalemme ma soprattutto la pace di Gerusalemme, che è la pace offerta nel cenacolo della Cena e di Pentecoste: pace che non è soppressione delle differenze, annullamento delle distanze, ma nemmeno tregua o patto di non belligeranza, garantito da accordi o separazioni. Chiedo una pace che sia accoglienza cordiale e sincera dell’altro, volontà tenace di ascolto e di dialogo, strade aperte su cui la paura e il sospetto cedano il passo alla conoscenza, all’incontro e alla fiducia, dove le differenze siano opportunità di compagnia e non pretesto per il rifiuto reciproco. Mi impegnerò perché, anche grazie al mio servizio in quella terra, sorga per tutta la chiesa e sugli uomini di quella terra, la pace di Gerusalemme!
Felicissimo della scelta di papa Francesco e dell’ordinazione di padre Pizzaballa.
Però – sia concesso occuparsi “de minimis” – che “stonatura” vederlo con quel copricapo paonazzo (da noi detto tricorno), insegna episcopale che ormai non ha più senso…
Spero che papa Francesco dia un calcio anche a tutto questo vetusto abbigliamento ecclesiastico che sfiora (o già oltrepassa) il ridicolo!