Il 22 febbraio 2022, il presidente della Conferenza episcopale spagnola (CEE), card. Juan José Omella, e il presidente dello studio legale Cremades & Calvo-Sotelo, Javier Cremades, hanno informato, in una conferenza stampa, che il medesimo studio era stato incaricato di svolgere un’analisi di verifica indipendente su tutti i casi di abusi sui minori in seno alla Chiesa spagnola conosciuti – fino ad allora – da diverse fonti e documentati.
L’obiettivo era aiutare e riparare nei confronti delle vittime, come anche collaborare con le autorità sui casi di abusi sessuali avvenuti in seno alla Chiesa in Spagna, indipendentemente dagli strumenti di cui i poteri pubblici potessero dotarsi per effettuare le proprie indagini.
Nello stesso tempo, si raccomandava allo studio di formulare le raccomandazioni necessarie per risarcire i danni causati alle vittime e per prevenire futuri abusi. Lo studio legale aveva un termine di 12 mesi per consegnare il relativo Rapporto alla CEE, impegnandosi a non presentare alcun verbale e a considerare solo le spese.
Presentata in questi termini, era fuori dubbio che l’inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa facesse sul serio, benché non mancassero coloro che avrebbero capito che tanta urgenza non era dovuta a un più che auspicabile radicalismo evangelico per fare giustizia, ma ad un rigoroso e inevitabile intervento del presidente del governo e del parlamento spagnolo per affidare al Difensore del popolo un’indagine in proposito.
A partire da quel momento, è poco ciò che viene divulgato pubblicamente riguardo ai lavori svolti dallo studio, al di là della richiesta di rinvio, una volta trascorso il termine inizialmente concordato per il marzo 2023, fino a luglio 2023 per la consegna del Rapporto. Questo e altri successivi rinvii non piacquero affatto ai vescovi, probabilmente perché l’unica voce che cominciava a propagarsi era quella del Rapporto del Difensore del popolo, presentato a fine ottobre 2023.
Dico che «è poco» ciò che si sapeva dei lavori svolti dallo studio legale, perché i vescovi potevano contare solo sui progressi che l’équipe di Cremades forniva loro, mano a mano che il lavoro veniva completato.
Ma ci furono due fatti che stonarono decisamente.
Il primo. Alfredo Dagnino – ex presidente dell’Associazione Cattolica dei Propagandisti, e direttore di uno dei tre gruppi di lavoro in cui era stata divisa l’équipe di Cremades – fu licenziato dall’ufficio nell’ottobre 2023, perché accusato di aver inviato ai vescovi in estate una presunta bozza del Rapporto finale di oltre 2.000 pagine, sembra molto benevola nei confronti dell’istituzione, e che minimizzava il numero dei casi.
È vero che J. Cremades e altri membri dell’équipe negarono la veridicità del suddetto Rapporto di 2.000 pagine presumibilmente presentato da A. Dagnino ai vescovi, ritenendolo «troppo accomodante nei confronti della Chiesa». Ma è anche vero che questa discrepanza all’interno dello studio di avvocati servirà a far sì che buona parte dei vescovi spagnoli cominciassero a mettere in discussione le cifre e l’opportunità del Rapporto di verifica sugli abusi sessuali nel campo della Chiesa cattolica in Spagna, consegnato dallo studio legale e, alla fine, rilasciato il 21 dicembre 2023 dalla CEE. «Arriva tardi», dirà il cardinale Omella, molto probabilmente alla luce delle cifre avanzate da A. Dagnino e dopo aver conosciuto i risultati del Rapporto del Difensore del popolo.
Il secondo fatto è che la Conferenza episcopale spagnola pubblicò nel giugno 2023 un proprio Rapporto – datato 30 maggio – sulla pedofilia nella Chiesa (che finirà per essere conosciuto come «Per dare luce I». In questo Rapporto erano forniti dati sulla pedofilia nella Chiesa apparentemente molto vicini a quelli che – presumibilmente ancora – avrebbe fornito più tardi A. Dagnino: 728 abusatori dal 1950 e, almeno, 927 vittime.
Il Rapporto del Difensore del popolo
Nel quadro di questo incrociarsi di fughe di notizie interessate e di Rapporti differenziati sulle cifre sulla pedofilia nella Chiesa e di una relazione – sempre più conflittuale tra la CEE e lo studio Cremades –, a fine ottobre viene pubblicato il Rapporto del Difensore del popolo (775 pagine).
Il 1° novembre 2023 ho pubblicato su El Diario Vasco un commento su quel Rapporto che ritengo opportuno trascrivere.
Ho letto con attenzione – così iniziava il mio articolo – la “Presentazione” del Rapporto sugli abusi sessuali nell’ambito della Chiesa cattolica e il ruolo dei poteri pubblici. Una risposta necessaria (27 ottobre 2023).
Ho letto attentamente anche l’ottavo capitolo, dedicato alle «conclusioni e raccomandazioni» formulate dal Difensore del popolo. E, «in maniera trasversale» il resto del documento. Di quella lettura mi rimane una strana sensazione, allo stesso tempo, di speranza e di sconforto.
Di speranza, perché – nel pieno della tragedia – al centro della diagnosi sono state poste le vittime: «Quello che è successo è per esse e per l’intera società un vero disastro».
E anche di conforto, perché si formulano orientamenti che mirano a un loro riconoscimento e alla riparazione; perché si ricorda l’importanza di consentire un sostegno psicologico alle vittime, come pure di rafforzare la loro fiducia nel sistema giudiziario; perché si sottolinea la centralità della prevenzione, della formazione, della sensibilizzazione e la necessità di continuare a investigare, dal momento che è ancora tanta la sofferenza da ascoltare e da conoscere. E anche perché c’è urgente bisogno di riparare, simbolicamente ed economicamente.
Di speranza, ancora, perché si evita di classificare le vittime in prima e seconda categoria, allorquando il Rapporto sostiene che «l’abuso sessuale sui minori non si limita a una istituzione (la Chiesa) e riguarda, in un modo o nell’altro, tutti gli ambiti (civili) di socializzazione dei minori di età».
Infine, mi sento confortato perché il Rapporto sostiene due punti che – riferiti alla Chiesa cattolica – mi piacerebbe non passassero inosservati: in primo luogo, la denuncia che il modello abituale di questa istituzione, «almeno a livello ufficiale», è stato quello di minimizzare o di negare del problema; cosa particolarmente grave, vista «la sua aspirazione ad esercitare una leadership morale».
In secondo luogo, il riconoscimento che la Chiesa cattolica ha bisogno di «un cambiamento strutturale (…) in linea con quanto richiesto dai Rapporti diffusi in altri Paesi».
Ma ho detto – proseguivo – che la lettura del Rapporto, oltre ad aprirmi alla speranza sui punti appena indicati, mi ha anche sconfortato e, quindi, necessariamente, mi ha reso critico.Considerato quanto accaduto in Francia con il Rapporto CIASE sulla pedofilia nella Chiesa, era necessario che il Difensore del popolo commissionasse un’indagine demoscopica su questa vicenda? Non sarebbe stato meglio offrire una diagnosi – come hanno fatto gli investigatori tedeschi e svizzeri – sulla base di casi incontestabilmente conosciuti o riconosciuti?
Il mio sconforto aumenta quando si ascoltano le estrapolazioni a cui si presta questa indagine demoscopica, come è già avvenuto in Francia. E con le estrapolazioni, i commenti stonati e le interpellanze ancorate al «e tu, ancora peggio». Com’è possibile – sentiamo dire in Francia dal 2021 – che prestiamo attenzione ai presunti 330.000 abusati da sacerdoti, religiosi o laici al servizio della Chiesa e non ci preoccupiamo, come meriterebbero, dei presunti 5,2 milioni di bambini o di francesi vittime di abusi sessuali in altre istituzioni civili?
In questi giorni assistiamo a una versione spagnola di questo increscioso scivolone, delle estrapolazioni a cui si presta e del torbido dibattito che suscita: come è possibile – sento dire – che venga data più importanza, secondo l’estrapolazione fatta da alcuni mezzi di comunicazione, ai presunti 440.000 abusati nella Chiesa cattolica e non si tengano presenti i milioni di soggetti (circa cinque milioni) che, anch’essi presumibilmente, avrebbero subìto abusi, ad esempio, in ambito familiare, in luoghi pubblici o nelle scuole non religiose?
Ecco la causa del mio sconforto. Cosa che il Difensore del popolo avrebbe potuto evitarmi se avesse messo da parte l’indagine demoscopica, alla luce del violento e stucchevole dibattito apertosi in Francia, sottolineando invece l’accoglienza registrata in Germania e in Svizzera dei rispettivi Rapporti, basati su casi reali e incontestabili.E concludevo il mio contributo formulando e rispondendo alla seguente domanda: che prezzo possiamo finire per pagare, oltre a quello della credibilità di alcuni mezzi di comunicazione sociale che hanno promosso o applaudito una delle estrapolazioni a cui si presta l’indagine sociologica occultandone altre possibili?
Credo che siano due: lo spostamento, innanzitutto, della centralità che devono avere le vittime – come invece molto bene evidenzia il Rapporto – e non, aggiungo io – le fobie e i pruriti sessuali.E il secondo, l’irrilevanza in cui rischia di impantanarsi la raccomandazione – fortemente sottolineata nel Rapporto – di continuare a trasformare la società e le sue istituzioni; una raccomandazione che, nel caso della Chiesa, implica l’adozione non solo di «impegni pubblici» a riconoscere le vittime e a riparare il danno causato, ma anche a procedere con «riforme istituzionali, se necessarie». Spero che i miei timori siano infondati.
Dopo aver scritto questo articolo di opinione, ho sentito il direttore di quella indagine demoscopica affermare che l’estrapolazione compiuta da alcuni mezzi di comunicazione non era altro che un «delirio statistico». Era evidente che sarebbe stato difficile – e molto – mantenere la lucidità di mente (per fare una diagnosi attendibile e procedere di conseguenza) e il cuore caldo (per non perdere di vista la centralità delle vittime e mettere da parte sia gli interessi ideologici, sia i pruriti e le fobie in gioco).
Con questa situazione – che alcuni definiranno «melmosa» – si arriva al 21 dicembre 2023, data in cui i vescovi spagnoli, mentre diffondono il rapporto di verifica commissionato allo studio legale Cremades & Calvo-Sotelo, ne pubblicano un altro, della stessa Conferenza episcopale spagnola, dal titolo «Per dare luce II», in continuità con la pubblicazione del giugno dello stesso anno, e in cui vengono forniti dati che non coincidono né con quelli forniti dall’analisi di Cremades e nemmeno con quelli comunicati dal Difensore del popolo.
Andiamo per parti, a cominciare dal cosiddetto Rapporto Cremades di 956 pagine.
Il Rapporto di verifica di J. Cremades & Calvo Sotelo
Il Rapporto, come si può capire da quanto fin qui esposto, arriva –a differenza di quello già presentato dal Difensore del popolo – con un «colpo d’ala», non solo per i suoi sospetti rinvii e conseguenti ritardi, ma, soprattutto per il “caso” A. Dagnino (materia per un romanzo poliziesco) e, altrettanto, per le reticenze che – filtrate dai suoi critici mediatici – si sarebbero attivate in alcune diocesi e congregazioni circa la qualità della metodologia utilizzata e il lavoro svolto sul campo, nonché per le denunce delle vittime.
A queste critiche al Rapporto Cremades – per nulla innocenti – va aggiunta la conoscenza delle spese sostenute, che ammonterebbero a oltre un milione e duecentomila euro; una constatazione che persone vicine allo studio si fanno carico di precisare, facendo intendere che il lavoro svolto dagli avvocati – e non a carico della CEE – costerebbe – al prezzo attuale di mercato – circa dieci milioni di euro.
Una volta descritte queste precauzioni – e, in molti casi, probabilmente perplessità interessate –, nel Rapporto si legge che «il numero totale delle denunce delle istituzioni ecclesiastiche ammonta a 961». Ad esse vanno aggiunte 118 «comunicate esclusivamente al Difensore del popolo»; altre 305 provenienti dal Dicastero vaticano per la dottrina della fede; 55 le denunce estratte dal canale dello stesso studio legale, che si riducono a dieci nuove, per concludere: «un totale di 1.383, con un numero imprecisato di vittime».
Tuttavia – secondo il Rapporto –, si può giungere, in base a queste denunce, a «un minimo di 2.056 vittime, anche se è oggettivamente evidente che il numero è superiore». Le date in cui sono stati commessi i fatti riportati fin qui vanno dall’anno 1905 ad oggi.
Successivamente, riferiscono che «il luogo di maggiore frequenza dei fatti sono le scuole e i seminari minori e maggiori», e descrivono l’autore del reato con il seguente profilo: «per lo più un sacerdote/religioso, professore/professoressa responsabile accademico del minore, con una percentuale approssimativa nel 99% dei casi», anche se «troviamo casi di custodi, responsabili dell’amministrazione, di attività extrascolastiche e catechisti».
In un altro passaggio, sottolineano che, spesso, la gravità dei fatti impedisce alle vittime di raccontare l’accaduto, precisando che il termine «abusi o toccamenti abbraccia una realtà molto eterogenea», sebbene si riferisca anche a «fellazioni, violazioni, introduzione del pene o di oggetti negli organi genitali o in bocca, toccamento dei genitali, toccamenti del sedere, seni, contatti libidinosi, baci non consentiti, abbracci libidinosi, leccamento del collo e del viso, contatto fisico non consentito, nudi non consentiti».
Riguardo alle conseguenze, si osserva che «né la Chiesa né alcuna istituzione può oggi sostenere di non essere consapevole della portata della tragedia».
Quanto alle esigenze, si indica l’urgenza di una «riparazione integrale nei confronti delle vittime», cioè «di riconoscere il danno causato e rispettare la sofferenza delle persone che sono state vittime di qualsiasi forma di violenza in seno alla Chiesa, si tratti di bambini, di bambine e di adolescenti come di adulti, chiedendo pubblicamente perdono non solo per il danno ma per il silenzio sui fatti».
Allo stesso modo, è necessario «adottare le misure preventive necessarie per cercare di evitare che ciò accada di nuovo» e offrire alle persone che sono state vittime risorse di qualità per riparare i danni loro arrecati», cosa che implica «vari tipi di risorse, tra cui quelle psicoterapeutiche di qualità, consulenza legale e indennizzo economico». «Il trauma non si dimentica, ma si può integrare e recuperare la possibilità di un pieno sviluppo. È un processo lento e non lineare ma, con l’accompagnamento necessario, la guarigione è una realtà innegabile», segnalano dallo studio degli avvocati.
Colpisce l’attenzione posta sulla necessità di una Commissione indipendente che si incarichi di effettuare detta «riparazione integrale», senza escludere «la richiesta di responsabilità penale per l’autore del reato, laddove la riparazione sia concordata con la vittima». Inoltre, «quando la vittima lo desideri, la procedura per determinare la dovuta riparazione dev’essere pubblica e, in nessun caso, deve implicare l’esenzione della responsabilità penale per la persona che ha compiuto il reato».
Ovviamente, detta Commissione è tenuta a garantire che il servizio di riparazione sia effettuato «da personale specializzato, esperto e con una formazione specifica in materia di violenza sui minori e, in particolare, in abusi sessuali».
Inoltre, il Rapporto sollecita la CEE a istituire, parallelamente, una seconda Commissione, denominata “Controllo e valutazione delle raccomandazioni incluse nel presente Rapporto”. Questa Commissione «deve avere una composizione multidisciplinare e includere persone capaci di un intervento diretto. E deve impegnarsi a garantire la trasparenza e il rendiconto del processo elaborando un Piano di prevenzione».
Deve coesistere con «un’équipe coordinatrice del processo» e con un servizio di consulenza legale in ciascuna diocesi, nonché «di una figura di accompagnamento delle vittime con formazione in psicologia che possa accompagnare la persona abusata e svolgere gli incontri necessari fino a quando si potranno definire le esigenze di riparazione di cui la persona necessita».
Infine, merita di essere segnalata – tra le tante – la raccomandazione di creare un «fondo» al quale «partecipino alla riparazione la Conferenza episcopale spagnola e la Conferenza spagnola dei religiosi, inizialmente dotato di 50 milioni di euro». Gli indennizzi andrebbero valutati «in ciascun caso» e potrebbero oscillare «tra 6.000 e 100.000 euro».
Il Rapporto «Per dare luce II» della Conferenza episcopale spagnola
Come ho accennato prima, nello stesso momento in cui viene pubblicato il cosiddetto Rapporto Cremades, il 21 dicembre 2023, lo stesso giorno, la Conferenza episcopale spagnola rende noto un altro Rapporto, – continuazione di quello del 31 maggio 2023, e pubblicato nel giugno dello stesso anno – dal titolo «Per dare luce II» (1.039 pagine).
In questo Rapporto, gli autori offrono la loro radiografia della pedofilia nella Chiesa e propongono una tabella di marcia, indicando l’esistenza di un altro volume, che non sarà pubblicato, in cui sono raccolti tutti e ciascun caso finora registrati, sia dalle diocesi e dalle congregazioni sia quelli arrivati attraverso la giustizia civile, i dossier del rapporto di El País, dal Difensore del popolo o, direttamente, dalle istituzioni religiose. Ciascun caso – si informa – contiene una scheda in cui è specificato se la denuncia è provata, non provata, ma plausibile; non provata; esclusa dall’ambito dello studio; in corso di indagine; se si tratta di una falsa denuncia o se è manifestamente infondata.
In concreto, cosa dicono i vescovi spagnoli in questo Rapporto, definito anche “Macrorapporto antiabusi di sintesi” con le verifiche del Difensore del popolo e dello studio legale Cremades? O, più precisamente, quali punti richiedono l’attenzione su questo spaccato di dati e su questo approccio al tema dal punto di vista ecclesiale, storico, sociologico e legale, come anche l’analisi delle proposte in materia di giustizia riparatoria e di prevenzione, e la loro traduzione in misure concrete?
In primo luogo – dopo aver raccolto fino a 98 osservazioni a partire dalle proposte dei Rapporti Cremades e del Difensore del popolo – i vescovi hanno formulato 47 raccomandazioni allo scopo di attuare la «tolleranza zero» contro questa piaga. Tale raccolta e le successive raccomandazioni sono state selezionate e formulate da un’équipe interdisciplinare della conferenza episcopale. E lo ha fatto in base alla radiografia che del dramma della pedofilia forniscono i Rapporti del ministero degli Interni, della Procura, della Fondazione ANAR e di Save the Children.
In secondo luogo, gli autori del Rapporto costatano che, incrociando i dati, hanno registrato 806 casi, 413 nelle diocesi e province ecclesiastiche, 369 negli istituti religiosi, 13 in seno all’Opus Dei e un caso negli istituti secolari. Di tutti questi casi, 205 sarebbero completamente provati, il che non significa che i restanti siano considerati come nulli. In effetti, in questo Rapporto si riconoscono solo tre casi falsi, il che indica che quello inventato da un membro dell’Opus Dei, con l’intenzione di mettere in dubbio la credibilità del Rapporto del Difensore del popolo come quello di El País, appare come «non provato».
In alcune dichiarazioni rilasciate alla rivista Vida Nueva (n. 3346) da fonti della conferenza episcopale, si spiega che il fatto che siano state registrate 806 denunce «non significa che questo sia il numero reale delle vittime né vogliamo cadere nella trappola di vedere che «diamo per certi solo questi casi». «Sono di più, ma non vogliamo entrare in una guerra di numeri: mostriamo ciò che abbiamo verificato, e nient’altro». La questione delle cifre non è quindi chiusa, perché potrebbero esserci vittime che «non vogliono raccontare il loro caso».
Riferendosi ai dati forniti dal Rapporto Cremades, gli autori di questo Rapporto sottolineano che un’attenta analisi dei casi avrebbe dovuto portarli a ritenere che il numero totale delle denunce – secondo la metodologia da loro utilizzata – ammonta in realtà a 1.302, cioè 81 in meno. Inoltre, è molto probabile che – sommando le 305 denunce pervenute dal Dicastero per la dottrina della fede con quelle già comunicate dalle diocesi e dalle congregazioni – «queste denunce siano il doppio», poiché dal 2001 le denunce ricevute nelle diocesi e nelle congregazioni sono comunicate al detto Dicastero: la sua è una cifra che risulta dalla raccolta «dei casi emersi in studi precedenti, senza effettuarne uno studio approfondito».
In terzo luogo, colpisce che – come ho anticipato – gli autori del Rapporto facciano proprie le raccomandazioni e i suggerimenti sia del Difensore del popolo sia del Rapporto Cremades e, dopo averli valutati, traccino, a partire da adesso, la propria linea di condotta, sottolineando la necessità di migliorare il processo di selezione e di formazione degli aspiranti al sacerdozio o di dotare di maggiori risorse gli uffici di attenzione alle vittime in modo che siano qualcosa di più di un semplice sportello di denuncia.
Altrettanto sorprendente – visti i casi registrati e come parte di essi siano già stati risolti – è la decisione di non creare un fondo di riparazione, senza, però, trascurare l’approccio di una riparazione integrale, come approvato nell’Assemblea plenaria d’autunno, tenutasi a fine novembre.
Infine, vale la pena tener presente la conclusione: «Questo rapporto non è definitivo. Fin dall’inizio abbiamo detto che «Per dare luce II» è un rapporto vivo, che continuerà a raccogliere dati, documenti, informazioni e a pubblicare le sue conclusioni. Quanto presentato finora rappresenta già una luce nel mondo tenebroso degli abusi sessuali sui minori, ma resterà sempre un lavoro da compiere.
Alcune reazioni
Fra le numerose reazioni ricevute finora, ne ricordo quattro.
Secondo la rivista Vida Nueva (21 dicembre 2023) il Rapporto «Per dare luce» non sarebbe una «controprogrammazione allo studio Cremades & Calvo-Sotelos, ma una macrosintesi di questa verifica e di quella del Difensore del popolo incrociando dati, affrontando il tema dalle prospettive ecclesiali, storiche, sociologiche e legali, nonché analizzando le proposte in materia di giustizia riparativa e di prevenzione, e traducendole in misure concrete da adottare».
Secondo Jesús Bastante (Religión Digital, 22 dicembre 2023), «la Conferenza episcopale, che ha speso più di 1,3 milioni di euro in un rapporto commissionato allo studio Cremades & Calvo-Sotelo, ritiene ora che quel lavoro non è professionale». Inoltre, i vescovi ignorerebbero volentieri «alcune delle raccomandazioni più esigenti dello studio, come quella di istituire un fondo creato dalla Conferenza episcopale spagnola e dalla Conferenza spagnola dei religiosi per la riparazione, inizialmente dotato di 50 milioni di euro e con una scala di indennizzi compresa tra 6.000 e 100.000 euro».
«I vescovi spagnoli – sottolinea Bastante in un altro passaggio – hanno l’onore di essere l’unico episcopato del pianeta che, invece di prendere coscienza di un problema reale, si dedica a scovare possibili false accuse (…), arroccandosi in una strenua difesa.
Come non bastasse, «non hanno avuto la decenza di invitare le vittime a parlare e a chiedere loro di cosa hanno bisogno e soddisfarlo. È così semplice. «Non si chiedeva altro, né si chiede di più».
Per il quotidiano El País (23 dicembre 2023), il Rapporto «Per dare luce II» sarebbe arrivato al culmine di una prestazione sbagliata della Conferenza episcopale nel suo obbligo di fornire, dopo aver fatto luce, «spiegazioni per crimini molto gravi e a riconoscere e risarcire le loro vittime». Tutto ciò sarebbe una conseguenza del «percorso anomalo» intrapreso dai vescovi spagnoli, «molto diverso dai loro omologhi di paesi come Stati Uniti, Germania, Francia o Portogallo, che, consapevoli della portata del problema, hanno preso l’iniziativa di chiarire i fatti, hanno commissionato motu proprio approfondite indagini indipendenti e si sono assunti le loro responsabilità». A differenza di quelle conferenze episcopali, la Conferenza spagnola ha scelto di «cercare di screditare le inchieste giornalistiche che hanno fatto conoscere lo scandalo all’opinione pubblica» e di «avviare un’indagine solo quando il Congresso aveva già preso la decisione di incaricare un’istituzione ufficiale per un Rapporto sugli abusi». E conclude: «La società spagnola continua a meritare risposte e, inoltre, un modo coerente di comportarsi da parte dei vescovi».
Infine, Fernando Prado, vescovo di San Sebastián, ha dichiarato al Diario Vasco (23 dicembre 2023) che «le cifre non riflettono la verità del problema perché includono solo i casi denunciati nel corso di decenni, cioè di molti anni». E ha proseguito: «Senza togliere alcuna responsabilità alla Chiesa, voglio dire che ciò che è venuto alla luce è un problema molto serio anche nella società. Questo è ciò che ci dicono i Rapporti. Al di là dei numeri, quello che conta sono le vittime e tutte le persone che non hanno denunciato i casi. Il problema è molto serio. Non solo nella Chiesa, ma nella società, e dobbiamo affrontarlo. A partire dalla brutta e triste esperienza che abbiamo vissuto nella Chiesa come istituzione, dobbiamo aiutare anche la nostra società ad affrontare una questione che riguarda tutti i gruppi».
Dopo queste considerazioni, ha concluso dicendo che «ai Rapporti del Difensore del popolo e a quello di Cremades se ne aggiunge un altro interno che si definisce Per dare luce II. L’intenzione è quella di portare a noi tutti gli aspetti positivi e preziosi di questi due Rapporti per compiere ulteriori passi verso una riparazione integrale e soprattutto per pensare al futuro affinché ciò non si ripeta».
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