Perché i nemici (di destra e di sinistra) di Francesco insistono per piegare l’incontro sulla protezione dei minori nella Chiesa verso l’omosessualità? O per sdoganarla e così legittimarla o, viceversa, per condannarla come il demone all’origine di ogni abuso?
L’incontro in Vaticano (21–24 febbraio) con i rappresentanti di tutte le conferenze episcopali, dei religiosi e religiose, delle vittime e degli esperti è così indirizzato dal papa: «Il santo popolo di Dio ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre. Ci vuole concretezza». Non è quindi in questione né la dottrina morale, né la riflessione antropologica fondamentale, né un giudizio sull’ethos contemporaneo, quanto la consapevolezza della gravità degli abusi nella coscienza ecclesiale e lo scambio per arrivare a indicare forme concrete di responsabilità, di «rendere conto» e di trasparenza.
Un intento che i critici non considerano né sufficiente né pertinente. Come esempio della posizione «liberale», cioè di coloro che perseguono la legittimazione piena dell’omosessualità come parte non discutibile della vocazione dell’uomo all’amore richiamo il volume di Frédéric Martel, Sodoma (edito in otto lingue), in corrispondenza dell’incontro vaticano.
Al di là della macchina promozionale e mediale che lo ha sostenuto, così il suo autore giustifica l’intento dell’opera: «La mia inchiesta non è un attacco alla Chiesa, non è un libro scandalistico, ma una inchiesta che esprime una profonda empatia nei confronti dei sacerdoti e ei cardinali che sono intrappolati in un sistema». «Non si tratta di fare outing a questo o quel cardinale. Ho cercato di dimostrare con un approccio sociologico, che l’omosessualità repressa è una chiave per comprendere come ha funzionato il Vaticano negli ultimi decenni».
È la macchina istituzionale e la sua censura all’omosessualità a causare l’incapacità di gestire gli abusi e a provocarne la maggior parte. Secondo l’autore l’80% degli abusi sui minori da parte dei chierici è attribuibile a persone con tendenze omosessuali. Una liberalizzazione toglierebbe di mezzo la parte più consistente degli scandali.
Come espressione dell’altro fronte, quello dei critici tradizionalisti, prendo il testo della lettera che i cardd. Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke hanno fatto avere ai presenti all’incontro. A loro avviso, il problema non può essere ridotto a quello degli abusi. La crisi è ben più vasta: «La piaga dell’agenda omosessuale è diffusa all’interno della Chiesa, promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà». «Si accusa il clericalismo per gli abusi sessuali, ma la prima e principale responsabilità del clero non sta nell’abuso di potere, ma nell’essersi allontanato dalla verità del Vangelo», cioè la negazione della legge divina – naturale e l’integrità della dottrina cattolica.
I primi critici risolvono il problema degli abusi auspicando una Chiesa che si adegua alla cultura delle élites occidentali come l’unico paradigma di umanesimo. I secondi ritengono che la legge naturale interpretata e vidimata dalla dottrina cattolica costituisca la risposta agli abusi e, più in generale, alle difficoltà odierne della Chiesa.
Ambedue ignorano il tema specifico degli abusi, la gravità della sofferenza delle vittime, il peso improprio di un contesto di potere sulle coscienze (clericalismo) e le patologie psicologiche dei «predatori». Sono cioè al servizio di contrapposte ideologie, estranee alla sapienza pastorale e alla riforma ecclesiale. Un confronto che, per fortuna, è assai lontano da quanto succede nel’aula del sinodo in questi giorni.
“Un confronto che, per fortuna, è assai lontano da quanto succede nell’aula del sinodo in questi giorni”. Oddio in questi giorni si va dal: “Se critichi la Chiesa sei amico del demonio” (detto letteralmente dal Papa), alle solite frasi fatte sulle periferie, le pecore, e la Chiesa deve essere donna, moglie e madre. Per carità, Burke mai e poi mai. Ma troppa retorica ha stancato.