Scrivo brevemente, pur non amando i dibattiti, per i quali ho anche una scarsa attitudine, così che, specie in questi di così alto livello, finisco per utilizzare un linguaggio poco forbito. Ma ormai non è logico sottrarsi del tutto, vista la convocazione e anche i messaggi di richiesta che giungono con altri mezzi.
Ne va della Chiesa
Procedo, dunque, con una prima reazione, per poi aggiungere alcune brevi riflessioni, soprattutto attorno al nodo Tradizione e tradizioni e alla «pastorale».
La reazione ha due aspetti diversi, un primo attonito e un po’ contrariato, che ha però lasciato spazio per un più ponderato apprezzamento. Attonito perché la parola maschile sulle donne ha sempre aspetti rischiosi, facili da comprendere – non ultimo anche quello della «convocazione» appunto, non rispondere alla quale rischia di lasciar intendere che le «donne» non abbiamo, che so, competenza, coraggio, interesse… A questo mi sono risposta da sola, anche perché non esistono due schieramenti, maschile e femminile, ma molti nomi propri, sia di teologi che di teologhe. Tuttavia, è bene vigilare anche su questi aspetti, che non sono secondari.
L’apprezzamento, invece, sulla linea del ringraziamento espresso anche da Severino Dianich (cf. qui su SettimanaNews), esce dal palcoscenico piccolo di una scaramuccia fra uomini e donne, e attinge un livello ecclesiologico: la questione dell’ordinazione delle donne nella Chiesa cattolica non è una questione muliebre, ma riguarda tutti. L’appassionato e sempre più chiaro dibattito che si è registrato fra i colleghi lo sta a dimostrare: ne va di tutti/e, ne va della figura di Chiesa che viviamo, che desideriamo, che attendiamo.
Tradizione e tradizioni
Quanto al punto in discussione, in prima battuta ho pensato che tra pochi giorni sarà pubblicato il libro Senza impedimenti, curato da Andrea Grillo, per Queriniana e ho pensato di rimandare semplicemente a quello e a quanto già scritto lì; così come al volume curato da Serena Noceti (Diacone. Quale ministero per quale chiesa?, Queriniana 2017) e, ancora per il tema della tradizione, a Anticoncilio (riguardo al Vaticano I) curato da Adriana Valerio (2022) per Carocci.
Però le regole del dibattito sono altre e chiedono brevi sintesi. Dunque, direi che è decisamente appropriato anche, in questo caso, il tema paolino del tesoro in vasi di terra (2Cor 4,7), ripreso anche nel confronto ecumenico in ordine al discernimento, sempre da farsi, fra piccole tradizioni e ciò che ne rappresenta un nucleo condiviso e fondante. Perché, se ci limitiamo adesso alle forme del ministero, non è difficile osservare come la paventata interazione fra messaggio evangelico – non chiamate nessuno padre, nessuno maestro… (cf. Mt 23,9-10), tanto per fare una citazione facile – e cultura/e è presente in ogni sviluppo storico, nel cuore della Scrittura, nei primi secoli cristiani e a seguire.
In epoca antica (patristica) del resto è evidente la levitizzazione che si introduce tramite l’esegesi tipologica, che, in altri contesti, viene presa solo come esemplificativa (la manna, ad esempio) mentre per ciò che riguarda orizzonte e lessico sacerdotale si attanaglia al tema, fino a dar luogo a impostazioni tanto aporetiche quanto difficilmente messe a tema.
Stessa cosa – si è detto fino alla noia in questi anni di ripresa del tema sinodale – si deve dire delle forme delle convocazioni ecclesiali, mutuate dal contesto circostante nel tentativo, che tale resta, di porre in dialogo con le esigenze evangeliche. Quanto entrambi i temi – le forme delle convocazioni ecclesiali, le figure ministeriali – siano debitori degli impianti di genere credo non abbia bisogno di molte dimostrazioni, che comunque sono state ampiamente svolte, forse non sempre lette.
Non più sostenibile
Infine, che dire?
Ritengo che la riserva maschile dell’ordine non sia oggi più sostenibile e che, dunque, il tema sia del massimo interesse per tutti, come i colleghi stanno mostrando, e non solo per le donne, qualunque sia la «soluzione» e quali che siano i suoi tempi, niente affatto scontati, dato il sempre difficile confronto con la modernità e a seguire.
Ritengo, anche, che la questione non si possa però isolare, perché non sta in piedi da sola: non isolata dalla più ampia relazione fra la comunità battesimale nel suo insieme e i relativi ruoli ministeriali (ordinati o meno, maschili o femminili che possano essere), non dal posizionamento della Chiesa nel più largo contesto civile, non dalla riflessione teologica su tutti i temi e non soltanto su quelli ecclesiologici. Certamente, neppure isolabile dalla riflessione sul modo di essere donne e uomini, che attraversa l’insieme e non è cosa secondaria.
“Ritengo che la riserva maschile dell’ordine non sia oggi più sostenibile”.
E’ appunto questo il nodo della questione. Il principio secondo cui non è la Scrittura o la Tradizione ma l’interpretazione dell’uomo presente, e solo quella, che è la base per ogni decisione.
La Chiesa non si regge solo sul principio antropologico. Qualsiasi decisione a livello ecclesiale deve riguardare il tema ma anche il PERCHE’.
Non sono contrario all’ordinazione di diaconesse (risalgono appunto ai primi secoli) ma all’uso della discussione che se ne fa.
Se deve essere l’esito solo dello sviluppo culturale che ha portato all’uguaglianza di diritti e doveri tra uomo e donna, allora dovremmo tutti riflettere sui motivi.