Il cosiddetto dialogo fra il Vaticano e la Chiesa cattolica tedesca sembra andare avanti più per lettere ufficiali di ammonizione e reazioni corrispondenti che attraverso incontri colloquiali volti a giungere una reciproca comprensione. Da un lato il richiamo all’obbedienza (il Vaticano), dall’altro l’indicazione a una mancanza di volontà di procedere come concordato (il presidente della Conferenza episcopale tedesca).
Insomma, sarebbe sempre colpa dell’altro – quando, probabilmente, le mancanze sono da registrare su entrambi i lati. L’accanimento terapeutico degli interventi della Santa Sede non fanno altro che mettere in difficoltà i vescovi tedeschi nella loro mediazione rispetto alle Chiese locali. Il disciplinamento burocratico di ogni istanza, profondamente radicato nella mentalità istituzionale tedesca (anche quella ecclesiale), finisce con l’intimorire Roma e irrigidirne la posizione.
L’oggetto del contendere, in questo caso il “synodaler Ausschuss”, è in sé sproporzionato nel diventare materia di conflitto giuridico e magisteriale nella Chiesa cattolica.
Se si guarda a cosa deve fare di fatto questa Commissione, ossia raccogliere gli esiti del Cammino sinodale della Chiesa tedesca, integrarli con quelli che saranno i risultati che usciranno dal Sinodo sulla sinodalità, per giungere a delineare istanze ecclesiali che siano in accordo con entrambi i processi, ci si rende conto che esso è niente più di un gruppo di lavoro. Una commissione, appunto, composta da membri dei due soggetti che si sono fatti carico di far uscire la Chiesa cattolica tedesca dalla crisi istituzionale legata agli abusi, sessuali, di potere, spirituali, che hanno caratterizzato per decenni il suo impianto istituzionale.
Che il Vaticano usi tutto lo strumentario possibile offerto dal Codice di diritto canonico per intervenire sulla creazione di un gruppo di lavoro è atto sostanzialmente senza giusta misura. Però comprensibile – esattamente perché la mens burocratica tedesca ha corredato questa Commissione di una struttura giuridica formale (quando poteva scegliere un modello meno istituito, ma non per questo meno efficace per ciò che concerne i contenuti e le prospettive che si intendono raggiungere con questa Commissione).
Per usare un’immagine, è come se si trattasse di due squadre di calcio che, nel corso di una partita importante, continuano a fare autogoal clamorosi senza accorgersene – anzi, festeggiando come una vittoria ogni rete infilata nella propria porta. A qualsiasi spettatore che assista a una simile partita, sano di mente e che abbia anche solo un briciolo di conoscenza delle regole del gioco, il tutto apparirebbe come qualcosa di assurdo – tra il tragicomico e il drammatico.
Il problema ulteriore è che molti tifosi affacciati sull’arena di questa contesa esultano anch’essi ogni volta che la propria squadra infila un pallone nella propria saccoccia. Tutti, a Roma e in Germania, dovrebbero ritrovare l’arte minima del buon senso, nulla di più – rinsavire da questa follia di una reciproca caccia alle streghe che non fa bene a nessuno. Né a chi vuole una Chiesa più sinodale, né a chi ne vuole una più gerarchica.
Entrambi gli schieramenti danzano poi su un filo di lana: perché la sinodalità può portare la Chiesa anche dove non piace a noi; e perché il gerarca supremo può condurre la Chiesa esattamente là dove non vorremmo mai che fosse. Smettiamola con la Höflichkeit delle lettere e delle contro-risposte, diamo un taglio all’intransigentismo dei fronti, per impegnarsi davvero a trovare un terreno comune verso cui convergere.
Sono sempre più stupito di come taluni cattolici siano così avvinti allo loro ideologia da finire per perdere ogni identità cristiana. E mentre la chiesa, grazie al concilio ed alla testimonianza di Francesco, cammina verso la sua autoriforma, i cattolici tradizionalisti continuano a fare da zavorra, come nel periodo post tridentino, come nell’antimodernismo ottocentesco e come i lefebvriani che rifiutarono il concilio. Altro che scisma tedesco. Non diciamo stupidaggini: il vero pericolo è rappresentato dallo scisma conservatore che ostacola ogni rinnovamento. Uno scisma de facto, anche se non ancora de jure.
passi che io ultimamente non sono affatto contento di come si stanno comportando i tradizionalisti e i conservatori, non le sembra un po’ eccessivo dargli della ‘zavorra’? Se certi movimenti esistono e hanno un certo seguito vuol dire che rispondono a delle esigenze che qualcuno sente, e che magari non trovano sfogo da altre parti. Il volerli isolare e insultare non fa che radicalizzarli e incattivirli, mentre se si prova a parlarci qualcosa di buono può uscirci. In fondo la Chiesa è plurale nelle sue espressioni, e deve essere salvaguardata sia l’unità che la diversità
Anima errante, quando lei manifesterà la sua identità, invece che celarsi dietro un nickname, allora io discuterò con lei.
le ripongo le mie domande:
– ritiene veramente sia corretto dare ad altri cristiani della ‘zavorra’, quasi che l’unica cosa da fare con loro sia buttarli fuori, a mare?
– non ha mai pensato che questo atteggiamento alla lunga possa radicalizzarli, rendendo sempre più difficile il dialogo con loro?
– a mio avviso se il movimento tradizionalista esiste ed ha seguito vuol dire che risponde a delle esigenze sentite da varie persone. Non si può riconoscere l’esistenza di queste esigenze, magari cercando risposte alternative al tradizionalismo?
Ritengo corretto indicare come zavorra una condotta ostile al rinnovamento conciliare. Una condotta che si configura come una ostinata resistenza alle riforme che sono necessarie alla chiesa. Non si tratta di buttare a mare nessuno. Un rifiuto del concilio e di ogni riforma si colloca da sé fuori dalla comunione ecclesiale. É sufficiente conoscere la storia, anche quella recente. Lefebvre non accettò i documenti conciliari e questo suo rifiuto lo portò fuori dalla chiesa. Oggi i suoi epigoni continuano a rifiutare il concilio. Sono loro che si sono posti fuori dal cammino comune. In questo senso io ho usato la parola zavorra. Quando Ratzinger ha teso loro la mano (vedi Traditions custodes) nel tentativo di dialogare e di accoglierli, ha ricevuto un netto diniego e questo significa che con i tradizionalisti non può sussistere alcun atteggiamento dialogante. La loro rigida ed ottusa forma mentis lo impedisce. E per finire: non esistono risposte alternative al tradizionalismo. Non facciamoci illusioni. Il Vangelo, come pure il concilio, richiedono una convinta adesione e la chiesa di Francesco si è posta in cammino sulla strada delle riforme. Quale alternativa ci può essere alle riforme? Nessuna. Quale dialogo ci può essere con chi non vuole dialogare? Nessuno. E quindi? Quindi torniamo al punto di partenza: i tradizionalisti con la loro condotta settaria ed integralista si collocano fuori dal camino della chiesa, fuori dalla comunione. Quando attaccano Francesco rivolgendogli ogni epiteto ingiurioso, quale possibilità ci può essere di dialogo?
Non riguarda il contenuto dell’articolo, ma la forma. Per una corretta comprensione del testo, sarebbe auspicato che accanto a termini in lingua straniera, non è possibile mettere il correspettivo in italiano? Grazie, Giovanni
Perfettamente daccordo con quanto dice Adelmo. Il Papà fa finta di biasimare ma concorda su tutto e alla fine concederà tutto e sarà la morte del cattolicesimo “ufficiale” in Germania. Ciò che non fu de-cattolocizzato da Lutero 500 anni fa oggi viene de-cattolocizzato lentamente dai vescovi stessi nel miraggio di una nuova religione ecumenica che, non essendo di Dio, non porterà a nulla. La soluzione? Tanta umiltà e fedeltà alla Tradizione! Altro che sinodi!!!!
Secondo me non c’è nessuna incomprensione.
Credo, anzi, in un sostanziale accordo.
I tedeschi chiedono 1000 e il papa, che fa finta di rimproverarli, concede 500.
Dopo un po si torna a chiedere 1000 e si ottiene 500, che sommato al 500 precedente fa 1000.
Così tutti sono felici tranne i cattolici che, infatti, lasciano la chiesa tedesca e pure quella italiana.