È uscito sul sito Kath.ch il testo del Rapporto sul progetto pilota sulla storia degli abusi sessuali nell’ambiente della Chiesa cattolica romana in Svizzera a partire dalla metà del XX secolo. Questo il titolo per esteso del documento presentato da una commissione storica indipendente sul tema degli abusi (cf. SettimanaNews, qui) il 12 settembre scorso.
La Commissione è stata voluta e sovvenzionata dalla Chiesa svizzera. I numeri essenziali sono già noti: 1.002 i casi registrati dal 1950 al 2022, 510 gli abusanti, 921 le vittime. Il 22% degli abusi è nel primo decennio (1950-1960), il 25% dei casi nel successivo decennio, il 10% nel tre successivi decenni, il 12% negli ultimi 22 anni. Si ripete più volte nelle 140 pagine del rapporto che sono numeri solo iniziali, da aggiornare con ricerche più ampie. Infatti Stefan Loppcher, canonista e direttore della Commissione abusi della conferenza episcopale, nonché responsabile della prevenzione nella diocesi di Coira, ha detto che una stima complessiva potrebbe andare da 10.000 a 15.000 casi.
Il Rapporto è stato compilato nell’arco di un anno di lavoro (2022-2023) da quattro ricercatori, coordinati dalle storiche Monika Dommann e Marietta Meier. Ha interessato gli archivi delle sei diocesi del paese oltre a quello della conferenza episcopale, di quattro congregazioni religiose e di una decina di archivi di stato e dei cantoni.
Cambio di passo solo nel 2000
«È emerso chiaramente che, fino agli anni 2000, i responsabili della Chiesa hanno ignorato, nascosto o banalizzato gli abusi sessuali nella maggior pare dei casi analizzati. Quando sono stati costretti ad agire, spesso non lo hanno fatto pensando alle vittime, ma per proteggere gli abusatori, l’istituzione e la propria posizione. In molti casi, gli abusi sessuali sono stati “messi a tacere”, gli accusati sono stati trasferiti e le persone coinvolte e informate sono state obbligate a rimanere in silenzio. In questo modo, i responsabili della Chiesa hanno accettato che si verificassero altri casi di abuso sessuale. L’esistenza di una legge ecclesiastica parallela alla legge civile ha favorito ulteriormente l’insabbiamento e l’occultamento».
«Solo nel XXI secolo si può osservare un cambiamento fondamentale nel modo in cui gli abusi sessuali vengono affrontati, prevenuti e sanzionati dai responsabili della Chiesa cattolica. Oggi gli abusi vengono puniti in modo più coerente». La svolta è motivata dal cambiamento culturale generale, dalla diversa valutazione dei bambini e delle loro ferite, dal ruolo dei media nella vicenda.
Una delle qualità del Rapporto è la sua estensione oltre le diocesi, alla vita consacrata e agli archivi di stato in ordine non solo ai minori, ma all’insieme delle potenziali vittime, quindi anche agli adulti. Apertura che andrà ulteriormente alimentata con gli archivi delle associazioni cattoliche, delle nuove comunità, delle parrocchie “etniche” e linguistiche, degli archivi della nunziatura e i corrispettivi a Roma.
Si auspica anche una doverosa indagine in ordine alla responsabilità dello stato quando le istituzioni ecclesiali sono state da esso sostenute e promosse. «Finora è stato possibile discutere solo la questione delle caratteristiche cattoliche specifiche che possono aver favorito gli abusi sessuali nell’ambiente della Chiesa durante il periodo in esame. Queste includono, ad esempio, la morale sessuale cattolica, il celibato, le relazioni di genere all’interno della Chiesa, la tensione ambivalente tra la Chiesa cattolica e l’omosessualità, nonché la peculiarità di un contesto cattolico che aveva tacitamente accettato, e in parte sostenuto, le dinamiche di occultamento e negazione sopra descritte. A questo punto, anche altre discipline accademiche sono chiamate ad affrontare tali questioni e ambienti da una prospettiva sociologica, giurisprudenziale e teologica».
Il Rapporto raccomanda di avviare uno studio quantitativo su base sociologica, come già avvenuto in Francia con la Commissione Ciase.
Archivi e testimonianze
Quelle accennate sono le conclusioni di un Rapporto distinto in 10 capitoli: introduzione; storia degli abusi; la strutture della Chiesa cattolica; ambienti e organizzazioni interessate; luoghi degli abusi; come la Chiesa li ha affrontati; conclusione; raccomandazioni; fonti e bibliografia. Entrando direttamente nel problema, i ricercatori hanno percepito la distanza fra i testi di archivio, sia ecclesiali che statali, focalizzati sugli abusanti, rispetto al tono e alla sofferenza delle decine di interviste sviluppate con le vittime.
Le testimonianze sono molto più dettagliate, mostrano le conseguenze negative a lungo termine e i forti disturbi post-traumatici. Gli effetti degli abusi mettono in difficoltà la famiglia, l’apprendimento, i partner e l’orizzonte valoriale. È merito delle associazioni delle vittime aver aperto l’abisso di sofferenza e spinto le istituzioni a prenderne atto. Quelle più attive in Svizzera sono Soutien aux personnes abusées dans une relation d’autorité religieuse (Sapec) e quella di lingua tedesca IG-MikU.
I luoghi e gli spazi più favorevoli agli abusi sono così indicati: la cura pastorale (confessione, colloqui), la liturgia (ministranti) e la formazione (educazione religiosa). Il 50% degli abusi è nell’ambito della cura pastorale. La posizione speciale dei preti nella società e nelle comunità permetteva di considerare marginali le loro malefatte.
«Questa posizione del clero ha permesso che, in molti casi, le persone colpite rimanessero in silenzio o, se decidevano di denunciare, non venissero ascoltate, anzi, addirittura diffamate dall’ambiente e dalla comunità». I responsabili ecclesiali coprivano gli abusi, le comunità si esprimevano tendenzialmente a favore dei pastori, le famiglie o non avevano le forze o, addirittura, non condividevano la decisione di denunciare. Un elemento istituzionale particolare caratterizza la Chiesa svizzera, soprattutto nell’area tedesca e tedesco-francofona, e cioè la presenza di una struttura laicale che affianca l’istituzione parrocchiale e diocesana.
Da essa dipende l’amministrazione economica. Il che ha permesso, ad esempio nell’accettazione del parroco, un diritto di veto esterno alla struttura ecclesiastica. Il Rapporto registra che in alcuni casi questa struttura di doppia istanza ha funzionato per impedire l’insabbiamento e l’occultamento.
Attività formative
Nell’ambito caritativo e formativo l’attenzione dei ricercatori si è soffermata soprattutto sui collegi e sulle attività scolastiche di proprietà ecclesiale, registrando la maggiore vulnerabilità dei bambini quando erano lontani dalle famiglie o appartenevano a nuclei familiari feriti e irregolari. Situazioni che mettevano alla prova non solo i bambini, ma anche gli animatori (religiosi o religiose).
«Uno studio sull’orfanatrofio di Iddazell ha concluso che le suore dovevano affrontare carichi di lavoro enormi e occuparsi dei bambini 24 ore su 24». Il clima complessivo cambia coi nuovi indirizzi pedagogici e formativi degli anni ’70, con il progressivo controllo dello stato e la professionalizzazione degli addetti. Alle comunità religiose tradizionali, occupate in grandi strutture formative, ormai affidate ad altri e progressivamente impoverite di personale, sono subentrate nuove fondazioni e comunità dove la questione degli abusi si è ripresentata. Solo i monaci, i cappuccini e i focolari hanno provveduto a una ricerca interna in merito.
Per tutti i vari ambiti (pastorali, liturgici e formativi) il Rapporto sviluppa due o tre esempi di casi emblematici, raccontando il modo in cui le vittime e gli abusatori si sono comportati, come le istituzioni ecclesiali si sono mosse, come i tribunali hanno deciso e come il contesto sociale e mediale ha reagito. Il Rapporto giunge a specificare alcune caratteristiche che nella Chiesa cattolica hanno favorito gli abusi.
Fra queste, in particolare, il potere sociale, politico ed economico della Chiesa in alcuni contesti, il sistema di occultamento e rimozione, l’immagine sacrale della figura del prete e il suo potere sulla comunità dei credenti.
Si apre qui uno spazio importante e grave non solo sugli abusi sessuali, ma anche sugli abusi spirituali che spesso fanno corona ai primi. Una proposta complessiva della morale sostanzialmente conservativa e intransigente e l’imperativo del celibato hanno a lungo ignorato gli approfondimenti delle scienze e il mutamento del sentire comune. I rappresentanti ecclesiali «continuarono a trasmettere una cultura omofoba» in cui il rifiuto delle tendenze omosessuali si combinava con la pratica della omofilia.
I casi Koch e Fürer
Fino ai decenni recenti gli abusi sessuali sia con i bambini che con gli adulti non venivano percepiti nella loro gravità e si ricorreva quindi a mezzi inadeguati per affrontarli. Fra questi, i trasferimenti ad altre diocesi dei preti implicati o la loro destinazione all’estero. Negli esempi sviluppati per questi ambiti si denunciano le insufficienti risposte di due figure ecclesiali di rilievo.
La prima è quella del card. Kurt Koch, ora prefetto del dicastero per l’ecumenismo e allora vescovo di Basilea. Non sarebbe intervenuto adeguatamente su un prete di origine rumena e attivo in diocesi che, dopo alcuni anni, si è di nuovo incardinato nella diocesi originaria in Romania ma permanendo come attività in Svizzera. Nel complesso intreccio di responsabilità, il card. Koch non avrebbe onorato appieno le indicazioni delle linee-guida approvate dai vescovi.
Più convincente la denuncia verso Ivo Fürer, già vescovo di San Gallo e recentemente morto. Contrariamente alle sollecitazioni della commissione diocesana sugli abusi e della parallela commissione nazionale, non ha sanzionato un prete abusatore.
Ampio spazio il Rapporto dedica alle nuove strutture diocesane e nazionali in ordine alla tutela dei minori e contro gli abusi agli adulti, donne in particolare. Dal 2016 è attiva una commissione nazionale per la riparazione finanziaria per le vittime il cui abuso è in prescrizione. Finora sono stati pagati 2,5 milioni di franchi svizzeri per 168 casi. Si va diffondendo la pratica di un codice di comportamento non solo per i preti ma per tutti gli attivi in strutture ecclesiali, anche se con qualche resistenza.
Metter mano alla morale sessuale
Posso concludere con una citazione che, in termini più frettolosi e meno argomentati rispetto alla Ciase e ai testi sugli abusi delle diocesi tedesche, suggerisce alcune decisioni ecclesiali urgenti.
«I problemi della prevenzione non differiscono in modo significativo da quelli di altri settori della società. Tuttavia, è proprio l’area della sessualità e le implicazioni morali della dottrina della fede che portano a problemi cattolici specifici e a potenziali pericoli. Temi teologicamente centrali, anche emotivamente rilevanti dal punto di vista ecclesiale, come la morale sessuale cattolica, la posizione dei sacerdoti, compreso il celibato, e il sacramento della confessione, devono essere tematizzati nell’ottica della prevenzione degli abusi sessuali.
Per alcuni aspetti, secondo le dichiarazione degli esperti, devono anche essere adattati, perché costituiscono una parte importante del potenziale di manipolazione all’interno delle strutture ecclesiastiche. Allo stesso tempo, essi rappresentano posizioni centrali della Chiesa cattolica. Sebbene alcuni gruppi all’interno della Chiesa chiedano dei cambiamenti, la Santa Sede non sembra voler rispondere alle richieste».
Ma non possiamo fare proprio nulla per la nostra Chiesa italiana?
Sarebbe forse il caso di inviare copia del rapporto svizzero al Vicariato di Roma e al cardinal vicario De Donatis. Magari così possono prendere coscienza di ciò che hanno fatto e soprattutto ciò che non hanno fatto con il CentroAlettiGate. Lo sconcerto e la vergogna che circolano nella diocesi romana tra clero (sano) e fedeli sono davvero indescrivibili
Già! Per ora la CEI sembra fare orecchio da mercanti. In Italia la copertura politico-ecclesiale è forte e storicamente blindata anche dal lato economico con la sovvenzione dell’ 8xmille delle tasse IRPEF.