Sempre più spesso le lettere pastorali dei nostri vescovi hanno il tono del sostegno e dell’incoraggiamento, con l’intento di una lettura positiva delle sfide e della crescente fragilità istituzionale delle comunità cristiane. La dimensione della fiducia caratterizza la lettera di Lauro Tisi, arcivescovo di Trento, che porta la data del 26 giugno e il titolo Lievito e sale.
In una ventina di agili paginette si snoda un’esortazione che parte dall’evento del battesimo di una cinquantenne signora nigeriana.
Nell’esperienza di cosa significa accogliere e accompagnare da parte di un gruppo di credenti si accenna al ruolo della Parola e delle “parole che curano”. Esse richiedono la difficile arte dell’ascolto e lo sviluppo dei sentimenti di cura dentro e fuori la comunità. Essa deve appunto diventare un laboratorio in cui l’intensità dell’adesione alla Parola e al sacramento sviluppa cammini percorribili di accoglienza e accompagnamento.
Solo nella centralità di Gesù, nel racconto che arriva a noi dal Vangelo, possiamo ancorare la salda radice della testimonianza cristiana. «A chi ha il dono della fede e a quanti riconoscono la bontà di una vita costruita sulla cura dell’altro, Gesù di Nazaret si pone come straordinario modello di credibilità. Lo fa assumendo come forma fondamentale di comportamento la povertà. Non si tratta di pauperismo o di miseria subìta… la sua è un’opzione volontaria, espressione di libertà radicale e di fiducia incondizionata nel Padre».
Da qui nasce il futuro di una comunità ormai minoritaria (in una società fatta di minoranze) in cui riscopre l’instabilità della “tenda”, l’abitazione del popolo nel deserto, e la ricerca condivisa per salvare l’umano comune, al di là di un arroccamento in una pretesa e rigida verità.
Questa, del resto, è la condizione iniziale della comunità cristiana trentina. Attorno al vescovo Vigilio nasce la Chiesa che apre da subito un luogo di cura e di accoglienza. La lunga radice storica corrisponde sorprendentemente alle inquiete sfide di una società che trova nella “rete” il suo legame e la condanna alla solitudine.
Impasto locale
Il testo si impasta nelle esperienze ecclesiali locali (il caso del battesimo della donna nigeriana) come negli interventi dei lettori sui media, in canzoni di qualità come nelle decisioni per dare continuità alla presenza del convento cappuccino lasciato libero dai religiosi.
Vi sono cenni brevi ma consapevoli a temi di particolare urgenza. Fra questi la recezione interiore di non essere più una cristianità intenta ad occupare l’intero “spazio” territoriale e la sua rappresentatività. «Come ogni stagione della vita, anche quest’ora (post-cristianità) può diventare per la Chiesa una grande risorsa… Diventiamo empatici nei confronti della storia contemporanea e dei suoi abitanti».
La progressiva disaffezione dalle fonti di informazione corrisponde alla pervasiva presenza della “rete” e impone a tutti la sfida della “credibilità”. Enfatizzata davanti alla travolgente forza dell’intelligenza artificiale che vorrà ridefinire l’intero spettro del reale.
Il tono narrativo e piano traccia una scia di molti piccoli cenni non solo nell’ambito biblico, ma anche nella cultura contemporanea. È sufficiente l’elenco dei nomi citati con discrezione: da Eugenio Borgna e Emmanuel Levinas, da Franco Battiato a Lorenzo Milani, da Paolo Benanti a Dietrich Bonhoeffer, fino alla lezione della critica dell’Illuminismo di Herbert Marcuse.
Caspita una lettera pastorale di venti pagine. Complimenti al vescovo che, forse, è uno dei pochi in Italia ad avere coscienza che in pochi leggono le lettere pastorali, ad eccezione di quelle dell’amato cardinal Martini (che erano molto agili anche quelle).