La legge 8371, approvata in prima lettura dal parlamento ucraino il 19 ottobre, colpisce in forma indiretta la Chiesa ortodossa non autocefala (storicamente vicina a Mosca). Essa mette in questione la libertà religiosa? Secondo alcuni autorevoli osservatori la risposta è sì, e non hanno timore a parlare di «persecuzione» (qui).
La tragica guerra in atto in risposta all’aggressione russa si avvia a superare 21 mesi di durata. Un contesto che mette in pressione il sistema politico, amministrativo e giuridico. Inoltre la tradizione ortodossa, in particolare quella slava, da sempre fiancheggiatrice del potere politico, e la lunga esperienza sovietica hanno sedimentato una lettura «funzionale» della fede, soprattutto tra i ceti politici e amministrativi.
Il traditore è ovunque
La paura dei traditori e dei collaborazionisti è molto radicata nella società. C’è una forte domanda di colpire coloro che hanno fiancheggiato le truppe russe. Le improvvise sostituzioni nei vertici militari, tra i servizi segreti e nella stessa compagine politica indicano una attenzione che non esime nessun ambiente.
Sono 7.000 i procedimenti giuridici avviati, in particolare nei territori che per breve e lungo tempo sono stati occupati dai russi. Il capo della polizia segreta, Vassyl Maliuk ha detto: «Finché durerà la guerra ci sarà gente che aiuterà il nemico per il denaro o la sintonia ideologica» (Le Monde, 18 novembre).
Fin dall’inizio delle ostilità si sono introdotti nel codice penale un paio di articoli (111-112) volti a colpire le diverse forme di collaborazionismo. I più esposti sono fuggiti seguendo le truppe in ritirata, ma fra quanti sono rimasti come capire chi ha aiutato il nemico e chi, per la propria funzione, ha sostenuto la popolazione in un contesto di occupazione?
Le organizzazioni internazionali per il diritto umanitario sollevano alcuni casi. Un uomo ha dato 20 kg di carne ai militari russi ed è stato condannato a quattro anni di prigione. L’ha fatto per aiuto ai russi o per necessità? Una donna ha distribuito ai suoi concittadini un aiuto umanitario proveniente dalla Russia ed è stata condannata a cinque anni di carcere.
Quasi il 30% delle accuse sono di questo tipo. Il parlamento dovrebbe definire meglio le fattispecie delle violazioni giuridiche, ma è sottoposto alle pressioni dell’opinione pubblica. Cosa potrà succedere se si dovesse liberare la Crimea con i suoi 200.000 funzionari pubblici?
Il diritto e la tradizione
In questo contesto va collocata la possibile approvazione definitiva della legge 8371. Il nuovo testo della legge sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose prevede alcune variazioni di rilievo. In particolare all’art. 5 si aggiunge: «Non sono ammesse attività religiose organizzate, affiliate a centri di influenza di organizzazioni religiose il cui centro di controllo si trovi al di fuori dell’Ucraina, in uno stato che effettua aggressioni armate contro l’Ucraina».
Altre modifiche rilevanti riguardano la possibilità che l’organo statale di controllo sulle fedi possa chiamare in tribunale un’organizzazione religiosa e possa mettere in esame la teologia di una Chiesa che dipenda da un centro collocato in uno stato in guerra con l’Ucraina. Il testo è stato approvato con 287 voti, 15 contrari e 2 astenuti. Dal 2019 si sono succedute diverse proposte di legge di tono similare, ma non hanno mai raggiunto i numeri per essere discusse.
Un dettato legislativo di tale tenore è difficilmente compatibile con una democrazia liberale e non sono mancati coloro che l’hanno rilevato. Fra questi, seppure in forma del tutto strumentale, ci sono i russi che hanno portato la questione al consiglio permanente dell’ONU.
Per il segretario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani, Brands Kehris: «Secondo il diritto internazionale, le restrizioni all’espressione della libertà religiosa sono ammissibili solo quando sono prescritte dalla legge e sono necessarie per proteggere la sicurezza pubblica, l’ordine, la salute o la morale o i diritti e le libertà fondamentali». Quindi esse devono essere correlate e proporzionate allo scopo.
In tre successivi incontri del consiglio di sicurezza dell’ONU sulla libertà religiosa sono state denunciate le palesi violazioni nei territori occupati dai russi (ben 6 diocesi sono state sottratte alla Chiesa non autocefala, quella che Mosca dice di difendere e sono numerosi gli episodi di violenza contro non ortodossi), ma sono emersi anche interrogativi sul sequestro di chiese o sul passaggio forzoso di comunità parrocchiali ad altra obbedienza (la Chiesa autocefala) in Ucraina.
Alcuni vescovi non autocefali hanno denunciato ripetute e ingiustificate perquisizioni delle forze di polizia. L’indirizzo politico è quello di privilegiare l’interlocuzione con la Chiesa autocefala di Epifanio a cui vengono attribuite le due laure maggiori e diverse chiese. Senza tenere conto che Epifanio non ha né monaci per riempire i monasteri, né sacerdoti per seguire tutte le comunità. Inoltre il suo personale non è formato ed è molto eterogeneo. Qualcuno definisce lo stesso Epifanio come «mediocre» e la sua Chiesa come «raccogliticcia».
Chiese impari alla sfida?
Negli Stati Uniti i repubblicani fanno forza sulla «persecuzione» per reclamare un minore impegno finanziario verso l’Ucraina. A difendere l’immagine liberale dell’Ucraina negli USA è arrivata la delegazione dell’organismo che riunisce i rappresentanti delle Chiese e delle religioni in Ucraina. Un osservatore assai acuto ha fatto notare che il privilegio politico concesso a Epifanio potrebbe a breve essere invocato anche contro la comunità greco-cattolica che finora è stata ai margini dello scontro.
E questo senza negare che aree di filo-russimo siano presenti nella Chiesa non autocefala di Onufrio. Si parla di una ventina di vescovi e di un certo numero di preti e monaci. Sono 68 gli ecclesiastici portati in tribunale. Ma Onufrio ha le mani legate: non può mettersi contro perché dividerebbe la Chiesa, né può coprirli perché si espone alle critiche della società.
Onufrio è un monaco di lunga esperienza, efficace nella gestione delle emergenze. La sua lettura degli eventi è di tipo «sacrificale», com’è comune nel contesto dell’ortodossia slava: «Se il Signore ci ha puniti è perché eravamo colpevoli». Se dovesse forzare ulteriormente il distacco dalla Chiesa russa cadrebbe in una condizione priva di riconoscimento inter-ortodosso, in una area «scismatica», facile preda per gli appetiti nazionalistici.
La guerra ha sfregiato anche le Chiese – pur molti diverse fra loro – e c’è chi denuncia la loro inadeguatezza a sostenere la necessaria «ricostruzione» e l’elaborazione di una «visione» per superare le divisioni e assicurare un futuro al paese (qui).
Gravi responsabilità della Chiesa greco-cattolica che sta sfruttando la situazione per dividere l’Ortodossia e guadagnarsi un posto al sole
Più che altro non vogliono avere vicini gli ortodossi russi, in quanto tutte le volte che i russi hanno espanso il loro dominio sulle popolazioni greco-cattoliche queste hanno sofferto dure persecuzioni e/o la repressione della loro identità: è successo dopo la spartizione della Polonia, durante la Prima Guerra Mondiale in Galizia, durante l’Unione Sovietica, nella Crimea e nel Donbass occupati (e persino negli USA!). E questo persino quando i greco-cattolici si sono presentati davanti a loro chiamandoli fratelli!