Le Chiese cristiane scandinave si esprimono congiuntamente sulla responsabilità comune dei cittadini europei e dei paesi dell’Unione verso le migliaia di profughi siriani nella zona di confine tra Grecia e Turchia. Un cristianesimo profetico che fa scorrere diritto e giustizia nelle nostre società, impegnandosi a non cedere alla tentazione dell’idolo nazionalista che lo alletta come nuovo difensore dei valori cristiani.
Siamo nel tempo cristiano della Quaresima. Un tempo di riflessione; un tempo per esaminare le nostre vite personali e la nostra vita come membri di una società. Siamo chiamati a riconoscere i limiti rispetto a quello che possiamo fare; e siamo chiamati a riconoscere quelli che invece dobbiamo superare.
Diritto e giustizia
Le parole dei profeti dell’Antico Testamento ci mostrano la via per farlo. Non dobbiamo essere tra coloro «che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei poveri» (A, 2,7). C’è una linea che non dobbiamo superare. D’altro lato, dobbiamo abbattere i confini esistenti quando si tratta di fare in modo che «il diritto scorra come le acque e la giustizia come un torrente perenne» (Am 5,24).
Oggi i nostri limiti mentali e fisici sono messi alla prova dalla diffusione del nuovo Coronavirus e dagli sviluppi della situazione dei profughi ai confini esterni dell’Europa. Entrambe le sfide richiedono da parte nostra una responsabilità personale e condivisa – attraverso tutti i confini e a prescindere dalle convinzioni politiche. Ci sfidano come popolo e come membri della razza umana. I pesi devono essere condivisi e portati da tutti insieme. Se falliamo in questo perdiamo la nostra umanità.
I rifugiati ai confini tra Grecia e Turchia
Qui però termina la similitudine tra le due urgenze che stiamo vivendo. Un virus deve essere combattuto. Questo non vale per le persone che stanno cercando un rifugio sicuro. Persone che fuggono da condizioni di vita insopportabili possono perdere quasi tutto, ma non i loro diritti umani.
Quello che sta succedendo ai confini tra Grecia e Turchia misura la nostra umanità. Complessi problemi di natura politica, culturale, finanziaria e democratica danno origine a legittime preoccupazioni e timori, che devono essere presi sul serio; ma che non ci devono tenere in ostaggio e impedire di assumerci la nostra responsabilità.
Se vogliamo vivere all’altezza di quello che significa essere umani, non dobbiamo mai accettare la disumanizzazione di persone che fuggono da condizioni di vita drammatiche, e non dobbiamo ridurle a una minaccia. Una risposta degna, un diritto di asilo che funzioni effettivamente e una responsabilità condivisa verso i profughi è ciò che dobbiamo mettere in campo come paesi democratici e come popoli.
Il diritto di chiedere asilo è un diritto umano. Gli stati membro dell’Unione Europea si sono impegnati a non rimandare indietro le persone alle loro condizioni di oppressione e persecuzione. Si tratta di un impegno legale e morale.
Contro l’idolo
Assicurare ordine e prosperità all’interno dell’Europa a costo del caos lungo i suoi confini esterni è incompatibile con quelle persuasioni etiche sulle quali è stata costruita l’Europa in cui viviamo oggi. Pretendere di difendere i valori o le comunità cristiane lasciando fuori coloro che cercano un rifugio sicuro dalla violenza e sofferenza è qualcosa di inaccettabile. Qualcosa che mina in radice la testimonianza cristiana nel mondo e fa dei confini nazionali un idolo.
L’Unione Europea è il frutto di un progetto di pace; ed è proprio questo che l’Unione Europea deve continuare a essere. Non riusciremo mai a rendere sicuri e protetti i nostri paesi se falliamo nell’aiutare a risolvere situazioni di conflitto e oppressione, di crisi ecologica e povertà – tutte ragioni per cui la gente è costretta a fuggire dai propri paesi.
La crisi dei rifugiati in Europa del 2015 è stata il risultato di una lunga crisi dei rifugiati in Siria e Afghanistan – e in molti altri luoghi dove guerra e persecuzione riducono la vita della gente in condizioni di miseria. La cosa peggiore della situazione a Idlib, in Siria, in Turchia e Grecia, è che questa situazione esiste; e non che sempre più persone stanno cercando di oltrepassare i confini europei.
Sappiamo che i confini non possono semplicemente essere aperti, e non proponiamo né una tale soluzione né un’immigrazione senza alcun controllo. Questo rende ancora più importante il fatto che i nostri paesi devono farsi carico della loro responsabilità legale, finanziaria e politica. Siamo responsabili insieme nell’assicurare che la vita possa essere vissuta in quei paesi attualmente segnati da guerra e povertà.
Perdita e apatia dei sensi
Il principale pericolo per l’Europa non viene da migliaia di persone che cercano rifugio ai confini del nostro continente. Piuttosto, il principale pericolo per l’Europa deriva da un degrado della fiducia nel futuro, da una perdita di valori universali e di dignità umana, e da una politica miope che circola ovunque. Il pericolo è che i nostri sensi e la nostra sensibilità diventino apatici fino al punto di perdere la nostra comune umanità.
Vi sono, però, germi di speranza. Esperienze nei nostri paesi scandinavi che dimostrano che i fondamentali dell’umano e la solidarietà verso i rifugiati sono ben vivi. Questo si evince chiaramente da una recente indagine pubblicata dalla Croce Rossa, Save the Children e dalla Chiesa di Svezia. Questo sentire diffuso è, per usare le parole della famosa scrittrice svedese Kerstin Ekman, «una miniera di umanesimo». Che deve far sentire la sua voce e produrre fatti corrispondenti.
Prendere posizione contro tutto quello che calpesta i deboli e gli oppressi, e contro tutto quello costringe gli afflitti a sparire dalle nostre vite, e contribuire affinché la giustizia possa scorrere come un torrente perenne – questo è ciò che vuol dire essere umani. In fin dei conti, siamo tutti esseri umani sotto Dio, che vivono insieme sotto lo stesso cielo.
- Antje Jackelén, arcivescovo della Chiesa di Svezia.
- Tapio Luoma, arcivescovo della Chiesa evangelica luterana della Finlandia.
- Bernd Eidsvig, vescovo della Diocesi cattolica di Oslo.
- Atle Sommerfeldt, presidente ad interim della Chiesa di Norvegia.
- Cardinal Anders Arborelius, vescovo della Diocesi cattolica di Stoccolma.
- Czeslaw Kozon, vescovo della Diocesi cattolica di Copenhagen.
- Peter Skov-Jakobsen, vescovo luterano di Copenhagen.
- Dávid Tencer, vescovo della Diocesi cattolica di Reykjavik.
- Marco Pasinato, amministratore apostolico della Diocesi cattolica di Helsinki.
- Agnes Sigurdardóttir, vescovo della Chiesa di Islanda (Reykjavik).